Omelia (18-10-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Partire dall'umiltà Servire il prossimo e amare gli altri come lui ci ha amati è prerogativa irrinunciabile del cristiano; il perdono e l'amore verso i nemici è il distintivo specifico del discepolo e la carità, come denuncia anche Paolo nelle sue Lettere è il valore eterno che esteriorizza, concretizzandola, la nostra fede. Ma lo stesso apostolo afferma che l'amore "deriva da un cuore puro, da una retta coscienza e da una fede sincera" (1 Tm 1, 5) e ora in queste pagine tale idea sembra emergere ulteriormente e più marcatamente, delineando quali siano le condizioni del servizio realmente gradito a Dio. Il dare in elemosina infatti non sempre corrisponde a carità e abnegazione poiché, nella generosità, vi sono sempre stati casi di ostentazione di vanità personali e non di rado la falsità l'ipocrisia tendono alla vanagloria, all'esibizionismo e all'acquisizione dell'altrui consenso: molte volte chi dà ai bisognosi può farlo solo per mera presunzione e orgoglio personale, aspettando il plauso e l'approvazione degli altri o peggio ancora aspettandosi di ricevere un contraccambio proporzionato a quello che perde. L'eroismo della carità dovrebbe comportare che, quando doniamo del nostro per favorire chi versa in necessità, non ci limitassimo alla sola distribuzione del nostro superfluo ma che, fatto salvo il perseguimento delle nostre necessità essenziali, fossimo disposti a donare anche quello che ci tornerebbe comodo, eppure c'è chi da in elemosina quasi "mercanteggiando" con se stesso e con il prossimo, ossia calcolando di avere la botte piena e la moglie ubriaca. La carità invece non deve avere finzioni (Rm 12, 9), il servizio non deve avere altra motivazione se non la trasparenza di un cuore risoluto, che tende ad acquisire contentezza e gioia quando si può realmente aiutare chi ha bisogno poiché c'è soddisfazione nell'essere utili agli altri, molto più di quanto non ve en sia nel curare oltremisura noi stessi; anche per personale esperienza ho riscontrato che quando si raggiunge il traguardo di aiutare chi (realmente) versa in gravi necessità materiali e su questo ci si prodiga volentieri ci si sente sempre rasserenati e rinvigoriti anche in presenza di dispiaceri e delusioni e si è spronati ulteriormente nel bene. Il Signore non ama chi dona; Egli ama chi dona con gioia (2Cor 9,6). Ecco perché Gesù non può approvare l'atteggiamento di questi due discepoli che sa di orgoglio, presunzione e arrivismo, che preclude ogni possibilità di amore effettivo e reale e che mostra mancata assimilazione degli insegnamenti profondi e sinceri di Gesù. Infatti, che cosa significa sedere alla destra (e alla sinistra)? Nel linguaggio biblico la "destra" è la posizione di chi sta poco meno al di sotto di Dio, come si rileva al Salmo 110 scritto probabilmente in occasione dell'intronizzazione di un re: il monarca, essendo chiamato a svolgere un mandato di provenienza divina, al momento della sua intronizzazione sedeva nel tempio nel trono alla destra del Santissimo; lo stesso Gesù si dice che "siede alla destra del Padre" e nel salmo 117 la "destra" indica addirittura la divina onnipotenza: "la destra del Signore ha fatto meraviglie. La pretesa di sedere alla destra e alla sinistra di Dio corrisponde quindi a pensieri arrivistici di grandezza e di alto locazione quasi propria del divino che non dovrebbero essere propri di chi si dispone a servire il prossimo e ad amare con la disposizione contraria dell0'umiltà e della fuga da se stessi; è chiaro dunque che questi due discepoli (che qui rivolgono essi stessi la richiesta a Gesù, mentre Matteo la fa rivolgere alla madre di uno di loro) assurgono una pretesa di gloria e di vanità veramente esagerata e sproporzionata che effettivamente meriterebbe il rimprovero dei compagni. MA Gesù, come sempre, anziché ricorrere alle riprovazioni e alle condanne, giunge al cuore del problema chiamando in causa la vera natura del servizio, i requisiti reali di chi dona con gioia se stesso agli altri, senza pretesa di ricompensa alcuna o di contraccambio poiché queste verranno certamente da Dio. Gesù insomma rivendica l'umiltà, la sincerità e la sottomissione come reali segni distintivi dell'amore che emergono da quella parola isolata e spesso da noi trascurata che è il "calice": "Potete bere il calice che io bevo?" Con questo termine nella Bibbia si intende un giudizio severo da parte di Dio che indica condanna e punizione (Salmo 75: Nella mano del Signore è ricolmo un calice di vino drogato. Egli ne versa, fino alla feccia ne dovranno sorbire...) ora Gesù afferma di sottoporsi ad esso risolutamente: egli, sebbene innocente, riceverà il calice "punitivo" di Dio nella croce, a riscatto e a salvezza degli uomini (Ravasi) e chiama anche i suoi discepoli a condividere con lui questo destino. Gesù è colui che serve senza restrizione e donando se stesso in profondità privandosi oltre che delle sicurezze o delle garanzie, anche della propria dignità personale e della reputazione davanti al popolo e pertanto spogliando annichilendo e abbandonando se stesso in modo inaudito. Anche il "battsimo" tratteggia in questo caso il morire sommersi dalle acque, in sintesi il morire di Gesù scacrificale per la salvezza di tutti. Altro che destra e sinistra! Gesù segue le sorti dell'agnello mansueto e innocente condotto al macello che viene privato anche della parvenza esteriore e che si sottomette alle percosse e alle umiliazioni (Is 53) non ricusando nulla di quello che umanamente è aberrante e tutto recando sulle proprie spalle. Piuttosto che ambire sogni pretestuosi di grandezza e posizioni di gloria sovraumana è necessario pertanto disporsi a seguire Gesù nel vero servizio che si appella all'amore sincero e per ciò stesso all'umiltà e alla sottomissione che fuggono ogni vanagloria, orgoglio e tendenza di presunzione e di prevaricazione sugli altri. In qualche luogo Sant'Agostino definiva l'umiltà per tre volte superiore alle altre virtù perché in effetti è proprio essa la rampa di lancio dell'amore e la condizione per cui il bene possa davvero scaturire da una fede sincera e da un cuore puro: l'umiltà è la libertà di poter amare senza i gravami della presunzione e della tracotanza e privi di ogni fardello che sia di ostacolo al vangelo e si stempera in tutte le altre virtù e prerogative della vita cristiana. Il mistero dell'Agnello Trafitto ci svela inoltre l'indubbia certezza che l'umiliazione e l'annientamento sono la radice di ogni umiltà, mansuetudine e pazienza. |