Omelia (11-10-2009) |
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Commento Marco 10,17-30 COMMENTO ALLE LETTURE A cura di don Gianni Caliandro Perché i discepoli, di fronte all'affermazione di Gesù su quanto difficile sia per un ricco entrare nel regno dei cieli, si spaventano così tanto? Essi arrivano ad esclamare: "E chi può essere salvato?", eppure non si trattava certo di persone molto ricche. Le notizie che della comunità di Gesù abbiamo dal Nuovo Testamento non ci parlano di persone abbienti, tanto che il piccolo gruppo ha bisogno dell'aiuto di alcune donne che offrono il loro sostegno anche economico (cf. Lc 8,1-2). Erano pescatori, alcuni di loro forse avevano quelle che noi oggi chiameremmo piccole imprese a conduzione familiare, e allora... perché i discepoli si impauriscono così tanto? Forse perché, in realtà, c'è una ricchezza che tutti possediamo, e che ci accomuna tutti, un bene che è allo stesso tempo preziosissimo e rischioso. È la nostra stessa vita personale, la nostra identità di donne, di uomini. È questa la più grande ricchezza che abbiamo, molto più preziosa e bella di tutti i beni materiali che una persona possa accumulare, tanto che, in realtà, noi la inseguiamo tutta la vita. Non è forse vero che, in tutti i giorni della nostra esistenza, quello che noi cerchiamo è proprio di essere sempre di più noi stessi? Che cerchiamo per tutto il tempo della nostra vita di dare forma alle cose che ci portiamo dentro, ai desideri, ai sogni, alle intuizioni? Prendere in carico noi stessi, sviluppare la nostra identità sempre di più, è il miglior investimento che possiamo fare. Davvero siamo tutti ricchi, in questo senso. Se ne fossimo un po' più consapevoli, forse smetteremmo di cercare fuori di noi ciò quel valore che invece siamo noi stessi, diminuirebbero tanti nemici della vita: l'invidia, la gelosia, la mancanza di trasparenza pur di accumulare beni, la volontà di dominio sugli altri, la paura e la diffidenza con cui ci chiudiamo per non rischiare che ci sia rubato ciò che in realtà nessuno può rubarci, se non lo vogliamo noi stessi. Sì, siamo tutti ricchi, per fortuna. E allora? Perché Gesù ci mette in guardia e arriva a spaventare i suoi discepoli? È così pericoloso voler essere se stessi? Se Gesù è così perentorio, è perché persino la nostra più grande ricchezza, che abbiamo detto essere la nostra esistenza personale, la nostra identità, il fatto che siamo vivi, e originali, e irripetibili, ebbene tutto questo ha bisogno di trovare una ragione per essere donato: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». In queste parole di Gesù la cosa più importante è l'ultima che egli dice al "tale" senza nome che lo sta interrogando. Gli sta proponendo di seguirlo, di avere un rapporto con lui di discepolo, di lasciare tutto il resto per questa relazione personale e coinvolgente. Insomma, gli sta proponendo uno scopo verso cui far convergere tutto ciò che egli è e ciò che egli ha. Ecco il rischio di quella cosa pur bellissima e preziosa più dell'oro che siamo noi stessi: non riuscire a trovare una direzione, una ragione per cui vivere, una persona verso la quale incamminarsi con tutta la propria ricchezza esistenziale. Sì! È così: il nostro più grande tesoro, che siamo noi stessi, può diventare la nostra più grande prigione se non sappiamo farne dono a nessuno. Nelle letture di oggi mi sembra che quasi si possa delineare un itinerario per rimanere lontani da questo rischio terribile. Per gustare fino in fondo la bellezza di essere noi stessi, fino a volerne fare un dono ad un altro, ecco almeno due tappe: - occorre innanzitutto lasciarsi denudare dalla Parola di Dio (II lettura). Quando ti metti davanti alla Bibbia, la puoi usare come uno specchio, per capirti di più, conoscerti meglio, lasciare che anche le dimensioni più profonde di te emergano. È vero, la Scrittura ci aiuta a capire dimensioni del nostro cuore che altrimenti non scorgiamo immediatamente, e a volte accade che ci aiutano a capire che non tutto in noi e di noi è bello, luminoso, pulito. A volte la spada entra dentro, fino a farci male. Ma questo lavoro è molto sano, ci fa camminare verso una immagine di noi realistica, completa, fa cadere le maschere e allo stesso tempo consola, ci fa scendere dai piedistalli e però ci insegna a camminare con i nostri piedi, per la nostra strada. È una spada a doppio taglio, da un lato ferisce e fa sanguinare e dall'altro guarisce e fascia, da un lato fa male e brucia, e dall'altro fa uscire vita nuova proprio da ciò che ti fa soffrire. Non si può spiegare in modo astratto, occorre provare, occorre imparare a mettersi con verità davanti alla Parola di Dio contenuta nelle Sante Scritture, per vedere come essa ci aiuti a diventare sempre più vivi. - il secondo passo da fare è quello di lasciarsi spingere dal vangelo verso territori sempre nuovi, il centuplo di cui parla Gesù (III lettura). Quando, pian piano, la parola di Dio ti ha aiutato a conoscerti meglio e ha abbattuto tutte le false immagini che hai di te stesso, essa ti mette davanti l'orizzonte dell'amore, ti fa alzare gli occhi e ti invita a guardare ciò che accade intorno a te. Il tuo cuore, spezzato ma pulsante, oramai ha acquisito una nuova sensibilità, sa bene che tutto ciò che accade agli altri accade anche a te, ti riguarda, trova posto dentro di te. È davvero una nuova sapienza (I lettura). E allora improvvisamente la tua casa diventa cento altre case, la tua famiglia si allarga ed entra in relazione con altre cento famiglie, i tuoi fratelli di sangue non ti bastano più e cominci a sentire fratelli anche coloro che la vita ti dà di incontrare vicino a casa, sul lavoro, per le strade dell'amicizia. Non riesci più a stare tranquillo, anche una cosa letta sul giornale senti che ti arriva dentro, e ormai nessuna indifferenza ti sembra più possibile. Certo, è un cammino mai compiuto, perché nessuno di noi ha una sensibilità e un cuore infiniti, eppure senti che i tuoi confini si spostano sempre un po' più in là. Ecco il centuplo di cui parla Gesù, promesso ai suoi discepoli. Sei ricco, sei te stesso, hai dentro la vita, ma questa ricchezza non è più un pericolo, una prigione: senti che essa è legata alla vita che scorre dentro le altre persone, che la tua strada e quella degli altri hanno mille punti in comune, che la tua felicità cresce se cresce la felicità intorno a te. E allora ti coinvolgi, non stai sempre alla finestra a guardare che cosa succede, cerchi di realizzare qualcosa per gli altri, ti butti a lavorare insieme ad altre persone a qualche progetto nel quartiere, nella scuola di tuo figlio, nella tua parrocchia. Doni le cose che sai fare, le cose che hai capito nella vita, le tue competenze. Le doni, le regali, le condividi gratis. Perché se vuoi sempre e solo ricavarne un guadagno per te stesso, alla fine quella diventa la tua prigione. Dorata, forse, ma pur sempre una prigione. L'unica cosa che spalanca le porte delle nostre carceri, che allarga le sbarre delle nostre finestre, è la gratuità, l'amore, il coraggio di fare qualcosa senza volere niente in cambio. Così, passo dopo passo, man mano che cammini nella vita, forse senza neanche accorgertene, sei entrato nel regno. Sei ricco, sei ricco di te stesso, ma non sei prigioniero di te stesso. E chi è ricco, e sa donare la sua ricchezza agli altri, entra nel regno di Dio! |