Omelia (18-10-2009) |
don Marco Pratesi |
Umiliazione e glorificazione del Servo La prima lettura ci presenta un breve passo di quello che normalmente viene chiamato "quarto canto del Servo del Signore". In esso il profeta, quasi quinto evangelista, traccia i tratti di un misterioso personaggio sofferente nel quale, per chi abbia letto i Vangeli, è immediato vedere Gesù nella sua passione. Si tratta di una vicenda al tempo stesso di estrema umiliazione e di estrema esaltazione, che per ciò stesso rappresenta qualcosa di assolutamente inaudito per l'umana ragionevolezza. Lo stupore di fronte al suo volto sfigurato si tramuta in stupore davanti alla sua gloria. Le potenze umane non hanno su ciò parola alcuna da dire, "vedono un fatto mai ad essi raccontato, comprendono ciò che mai avevano udito". Egli è servo del Signore, ma questa sua intima relazione con Dio rimane nascosta. Ha rinunziato alla sua gloria, a svelare chi in realtà egli sia, e perché soffra. Non ha apparenza, al punto da essere tenuto in dispregio. Egli soffre, ma il suo dolore è per noi. È per noi perché egli si riveste dei nostri dolori, vive quella sofferenza che è non sua, ma nostra. È per noi perché quel dolore è il risultato del nostro rifiuto, del giudizio di condanna emesso da noi su di lui nell'indifferenza generale. È per noi perché porta a noi un frutto che si chiama pace (v. 5, la versione CEI ha "salvezza") e giustificazione (v. 11): ci rimette nella giusta relazione con Dio, con l'uomo, col creato. Il suo dolore arriva fino al punto estremo: il Servo soffre per noi sino alla morte e alla sepoltura. Fin lì viene a raggiungerci. Ma proprio allora, nell'estremo abbandono di una morte condivisa con noi malfattori, nel fitto buio di una tomba, ecco brillare una luce nuova, fiorire una nuova vita. Egli diventerà così il primo di una grande famiglia, primogenito fra molti fratelli, trascinati fuori - da lui e con lui - dalle tenebre e dall'ombra della morte, per camminare insieme sulla via della pace (cf. Lc 1,79). Il testo ripropone la dialettica uno-molti, in un senso duplice. In primo luogo possiamo leggere la figura del servo in modo fluido, come un singolo e come la sua comunità. Se ne possono ravvisare i tratti in Giosia, in Geremia, in altri ancora, nel popolo di Israele e in qualche modo in ognuno dei suoi membri; in modo tutto speciale in Gesù e poi nel popolo della nuova alleanza e in ciascuno dei suoi membri. La vicenda del servo è tipica. In secondo luogo, il Servo porta il male dei molti, e proprio in ciò porta ai molti il bene: il male che egli si accolla e vive nella fede paziente diventa riparazione per tutti. Si tocca qui il mistero della solidarietà che unisce in radice tutta la famiglia umana: non mi salvo da solo, bensì entrando in quel movimento di comunione per il quale ricevo il bene dal sacrificio di altri - e in particolare di Gesù -, e sono per ciò stesso invitato a offrire a mia volta me stesso come sacrificio per altri. I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |