Omelia (11-10-2009) |
padre Antonio Rungi |
La ricompensa del Signore per coloro che hanno abbandonato tutto per seguirlo Celebriamo oggi la XXVIII domenica del tempo ordinario e la parola di Dio ci pone di fronte alla radicale scelta che possiamo e dobbiamo fare per il Signore se veramente crediamo ed abbiamo fiducia in Lui. Il Vangelo di oggi è molto esplicito al riguardo, non ammette tentennamenti, dubbi, né induce a formule compromissorie, ma richiede totale disponibilità, distacco da ogni cosa, fedeltà alla legge di Dio e alla coscienza, risposta alla speciale vocazione che il Signore può rivolgere, in qualsiasi momento, ad ognuno di noi. Il testo che leggiamo è tra i più significativi per capire quanto sia difficile lasciare ogni cosa, soprattutto gli affetti e i beni della terra per seguire davvero il Signore. Molti, a partire dagli apostoli, hanno avuto il coraggio di farlo e la chiesa in oltre 2000 anni di storia ci ha lasciato mirabili esempi di questo totale distacco dai beni della terra e del mondo per mettersi alla sequela di Cristo e per annunciare il Vangelo. I santi del passato e dell'oggi della Chiesa, come un Francesco d'Assisi, un Paolo della Croce, un Gabriele dell'Addolorata, sono forti richiami di impegno sulla via del vangelo e per il vangelo. Tutto si lascia per seguire Cristo. Il ragazzo del Vangelo non ebbe il coraggio di lasciare i suoi beni per seguire Gesù. Ecco perché Gesù coglie l'occasione per fare una doverosa osservazione: è' difficile entrare nel regno dei cieli, cioè mettersi al servizio del Vangelo, per coloro che pensano a godersi i beni che hanno, a divertirsi e a progettare solo cose mondane. Non vogliamo entrare nel merito del destino eterno e della salvezza eterna, di cui solo Dio è giudice, ma certo dobbiamo presupporre in base alla parola di Dio che è davvero problematico salvarsi l'anima se pensiamo solo a goderci la vita senza neppure avere quell'attenzione alla solidarietà e alla bontà verso chi non ha nulla e vive nella condizione della povertà più o meno assoluta, anche dalle nostre parti. Oltre tre milioni di famiglie in Italia vivono al di sotto della miseria alimentare, in poche parole non hanno l'essenziale quotidiano per alimentarsi. Il ricco del Vangelo di fronte al discorso della povertà come scelta radicale di vita, preferisce non rispondere alla chiamata di Dio e continuare a vivere come viveva. Più che legittima allora la domanda degli apostoli fatta a Gesù in questo preciso contesto comunicativo e morale. Noi che abbiamo lasciato tutto per seguire te, cosa avremo mai nel tuo regno? La risposta del Signore è immediata e si comprende nella sua essenza, avremo molto di più rispetto a quello che abbiamo lasciato. Basta pensare ai sacerdoti, ai religiosi, ai missionari sparsi in tutto il mondo. Hanno lasciato una patria, una famiglia, una casa, affetti e hanno trovato nel volto sofferente della gente povera che servono migliaia di fratelli e sorelle più bisognose di un sorriso e di un aiuto. Niente di quello che facciamo per il Signore e nel nome del Signore andrà perduto in questo momento e in quello futuro. E' la parola stessa di Gesù a metterci al riparo da qualsiasi fallimento. Su Lui possiamo investire senza paura di andare in fallimento di essere soggetti ad usurai e sfruttatori di ogni genere. Lui è generoso verso tutti dà il centuplo a chi da solo uno, basta che si dia con il cuore e con l'amore. Bisogna entrare in quella dinamica sapienziale che ci porta a valutare con serenità le cose che possediamo. Niente è nostro e tutto potrebbe perdersi in un attimo: la vita, i beni, le case, la salute e tutto il resto. Le lezioni che continuamente ci vengono dalle tante tragedie e calamità naturali che portano con sè morte e distruzione ovunque (vedi Messina, L'Aquila, Indonesia, ecc.) ci devono insegnare a valutare con sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni eterni. Ce lo ricorda in modo esplicito il testo della prima lettura, tratto dal Libro della Sapienza. Come siamo lontani dalla mentalità di oggi e dagli schemi di vita di tanti che pure cristiani e cattolici vivono totalmente immersi nelle cose materiali e si crogiolano di esse. Dovremmo chiedere davvero al Signore in questa emergenza educativa ai valori e alle cose che contano la forza di cambiare rotta, perché il mondo è terribilmente diviso in due realtà: quello dei ricchi e quello dei poveri. Ai ricchi viene chiesta la disponibilità a lasciare ogni cosa e ai poveri di accogliere il dono e la generosità. E ciò a tutti i livelli, non solo materiali, ma anche spirituali ed interiori. Per realizzare questo progetto di conversione e santità dobbiamo partire dall'accogliere senza fraintendimenti la parola di Dio e lasciarci permeare da essa. Non cambieremo mai strada se non ci lasciamo toccare dalla parola del Signore, se la rifiutiamo pregiudizialmente, se la mettiamo in discussione, se non la riteniamo attendibile e certa di un bene che promette ed assicura, in quanto è la parola stessa di Dio. La lettera agli Ebrei che ascoltiamo oggi come seconda lettura, ci introduce a questa riflessione che non può limitarsi ad oggi, ma che si estende a tutta la nostra vita. Sappiamo che dobbiamo rendere conto a Dio della nostra vita e tutto è sotto il suo sguardo ed ogni nostra azione è soppesata dal suo giudizio, che è amore, misericordia e non terrore. Ecco perciò che possiamo elevare a Dio questa meravigliosa preghiera, all'inizio della nostra celebrazione eucaristica: "O Dio, nostro Padre, che scruti i sentimenti e i pensieri dell'uomo, non c'è creatura che possa nascondersi davanti a te; penetra nei nostri cuori con la spada della tua parola, perché alla luce della tua sapienza possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno". Amen. |