Omelia (25-10-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
"Coraggio, alzati, ti chiama" Aprire gli occhi al cieco è espressione di gioia, liberazione e salvezza e chiunque nella Bibbia venga reso destinatario di questo beneficio da parte di Dio, viene dallo stesso Signore reso oggetto di amore e di predilezione nella consolazione e nella novità della vita nuova. E' sempre il Signore che opera il prodigio, soprattutto nel significato profondo della novità di vita che Dio apporta a tutti coloro che, seppure non vedono materialmente, dispongono di un cuore capace di covare amore per il Signore, fedeltà e disposizione nei confronti della sua Parola. Aprire gli occhi ai ciechi vuol dire non solamente guarire in senso fisico ma anche liberare dalla cecità della presunzione e dell'orgoglio che precludono la sen Questa è la promessa divina nel profeta Geremia 31, 8 (I Lettura): "Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla." E anche in Isaia: "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri..." (Is 42, 6 - 7). Esiste una cecità ostinata in quanto presunzione e perversità di spirito, che fa ostruzionismo a che il cuore si disponga nei confronti della parola di Dio. Si tratta della cecità abominevole della miseria morale e della cattiveria, della presunzione di autosufficienza e di autoaffermazione che conduce all'illusione di poter procedere indipendentemente da Dio e dalla Sua Parola. Si è ciechi quando si è vittime del nostro falso orgoglio e della perversità e quando ci si ostina nell'errore nonostante l'evidenza della perversità e dell'inutilità del male e già altre volte una tale incapacità di vedere è stata rimproverata dallo stesso Gesù in occasione, per esempio, della guarigione del cieco nato alla piscina di Siloe. E' appunto su questo malessere che il Signore vuole intervenire, concedendo il massimo della sua "luce", il lume della sua parola che permetta di distinguere le cose e saperle valutare: nessuna fonte luminosa, naturale o artificiale, è mai stata in grado di sanare le infermità oftalmologiche perché nessuna luce in quanto tale serve a curare la cecità, ma occorre qualcosa che oltre che a permettere la visione favorisca anche che si distinguano gli elementi, si valutino attentamente e si soppesino. Ora, la "luce" del Signore è quella fonte luminosa che per l'appunto permette sia di guardare che di vedere. E' la luce delle nazioni promessa dalla persona del Servo Sofferente del Signore e soprattutto la "luce del mondo" che Dio promette nel suo Figlio, che ci si propone universalmente come tale. Unica condizione che si chiede perché l'effetto di questa luce possa essere reale e consolante è quello della fede, cioè di quella prerogativa per cui si crede e ci si affida senza riserve forti di una fiducia disinvolta e indiscussa il Colui che semplicemente vuole rinnovare per salvare, trasformare fino in fondo per rinnovare ed è in forza di questa fede da parte del popolo, della sua indiscussa fedeltà e della sua disposizione di cuore che Dio potrà favorire il recupero della vista ai ciechi sia in senso materiale sia nel significato più profondo della trasformazione nello spirito. Di questa fede che permette la visione definitiva si parla anche nel Vangelo e il passo odierno ne è solo un piccolo esempio. Forse questo di oggi è l'unico brano in cui Gesù chiama di sua iniziativa il destinatario della sua misericordia guaritrice, fatta una certa eccezione per Zaccheo (che viene chiamato da Gesù anche se non per un miracolo): dopo che il non vedente lo aveva invocato come "Figlio di Davide", delineando così l'importanza della sua discendenza terrena, è Gesù stesso che chiede esplicitamente che venga portato al suo cospetto per cui manda alcuni emissari a dirgli: "Coraggio, alzati ti chiama." Il povero non vedente beneficia così di un privilegio unico che si equipara alla ricezione di un servizio senza precedenti: Gesù cioè si mette a sua disposizione pronto a servirlo ed eventualmente anche ad esaudirlo. Evidentemente riscontra in questo povero non vedente, finora costretto all'elemosina e all'abbandono e al disprezzo da parte di tutti, una disponibilità recondita ad immedesimarsi nel Mistero della presenza del Regno di Dio nelle parole e nelle opere di Cristo e ad assimilare la portata della Buona Novella nelle stesse opere che la misericordia del Padre rende manifesta nel Figlio. Insomma vede in lui una grande disposizione di fede per la quale i miracoli vengono riconosciuti come la realtà in atto del Regno di Dio e il loro fautore come la Rivelazione definitiva di questo Regno medesimo e questo gli merita non soltanto la guarigione fisica ma anche le attenzioni personali del Messia. Pertanto l'intervento guaritore di Gesù è ben lungi dall'essere un mero atto di compassione o di pietà meschina propria di chi vuole accontentare chi ora lo sta importunando, quanto piuttosto un riconoscimento della profondità e della trasparenza di una fede sincera, convinta e profonda che merita queste e altre ricompense: "La tua fede ti ha salvato". Il recupero della facoltà visiva che il Signore opera favorisce anche che a questo pover'uomo si dischiudano le porte della vita nuova in Cristo e della novità del Regno che si dispone ad assimilare immediatamente: una volta guarito egli si mette subito alla sequela di Gesù, senza esitare né trattenersi segue le sue vie e i suoi sentieri di vita poiché adesso il non-più- cieco non solamente è in grado di vedere, ma anche Dio guardare oltre le apparenze, interpretando la realtà che lo circonda nell'ottica della volontà di Dio e per opera della fede la "luce" di Cristo ha potuto avere il suo benefico effetto. Chiunque abbia la disponibilità a voler vedere oltre le apparenze dell'ordinario meschino e peccaminoso per assimilare in tutto Gesù come il Salvatore per porsi alla sua sequela, riceverà lo stesso monito di incoraggiamento da parte sua e verrà direttamente da lui "chiamato" a vedere la realtà nuova del Regno per poterne usufruire e pertanto il dono della fede sincera e disinvolta non va affatto sottovalutato nella nostra esistenza ma ravvivato e messo continuamente in atto. |