Omelia (18-10-2009) |
mons. Antonio Riboldi |
Sono venuto per servire Mi sono chiesto tante volte cosa spinga tanti a 'farsi avanti', ad essere - secondo un gergo che va di moda - 'uomini o donne da copertina', 'di successo', e questo, non solo nel mondo dello spettacolo, ma nella politica, nell'economia e, incredibile anche solo a pensarlo, nella violenza, nel bullismo, nella criminalità organizzata o meno. È venuto fuori che, considerate fondamentali per il 'successo', sono tre le sirene che attraggono irresistibilmente: il denaro, il potere, il piacere.. È difficile, quindi, sottrarsi al fascino di queste sirene e, se si ha l'occasione, ci lasciamo sedurre. Una persona cosiddetta 'di successo' finisce sulla bocca di tutti, entra nella vita di tanti, può diventare un 'sogno' per molti. Poco importa se, per arrivare al successo, attraverso la ricchezza e il potere, si debbano percorre vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale e, soprattutto, a ogni sentimento di solidarietà. Purtroppo molte volte il potere, il prestigio, in ogni campo sociale, esigono di porre il proprio interesse e profitto come principio insindacabile, da non mettere mai in discussione. Anche se è un principio che ha come conseguenza un prezzo altissimo da pagare: masse di affamati, moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati. Prestigio, potere, ricchezza sono padroni senza cuore che esigono dagli altri un 'servizio' che rende abbietti, distruggendo la meravigliosa uguaglianza che solo l'amore, che è servizio, sa costruire. Ricordo una visita in un carcere. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Da uno di loro in particolare. Mi fece attendere un'ora. Quando comparve, con molta delicatezza gli feci rilevare l'inopportunità di questo suo atteggiamento. La risposta fu brutale - di quelle che danno la misura di cosa sia un 'trono' che ci si è costruiti 'dentrò, con fondamenta inaccettabili. 'Ma nessuno le ha mai detto - mi aggredì - chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che nella mia vita sono arrivato ad uccidere 27 personé. Gli risposi con calma: 'Di fronte a quanto lei afferma, mi sento davvero di essere un nulla. Non ho mai torto un capello ad alcuno. Sono qui per servirla e quindi sono un niente, ma scelgo il mio niente senza morti, con tanti servizi, anzi con la mia vità. Mi fissò....senza convinzione! Anche gli Apostoli, prima della Pentecoste, non ancora trasformati dallo Spirito Santo, ragionavano come noi uomini. Immaginavano, insomma, che, stando vicino a Gesù, sarebbero usciti dalla loro povertà e sarebbero divenuti uomini di potere e di prestigio. Così Gesù ci ammaestra, oggi: "In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: 'Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo. Egli disse loro: 'Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: 'Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistrà. Gesù disse loro: 'Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?: Gli risposero: 'Lo possiamo'. E Gesù disse: 'Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato'. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatili a sé disse loro: 'Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di loro il potere. Fra voi però non sia così, ma chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, e chi vuol essere il primo sia il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 35-45). Certamente, in quel momento, gli apostoli difficilmente avranno capito la risposta di Gesù. Solo dopo la Pentecoste sarà per loro tutto chiaro... sino a dare la vita! E lo stile di vita di Gesù - 'essere servo di tutti' - dovrebbe essere lo stile di ogni cristiano... altro che assalto al prestigio e al potere! Affidiamoci alle parole di Paolo VI: "Quando parliamo di servizio, ci sembra di notare una duplice reazione nell'uditorio: la prima abbastanza negativa. L'uomo moderno non vuole sentirsi servitore di nessuna autorità e di nessuna legge. L'istinto sviluppato in lui, di libertà, lo inclina al capriccio, alla licenza e persino all'anarchia. E in seno alla Chiesa stessa, l'idea di servizio, perciò di obbedienza, incontra molte contestazioni, anche in seminario. Sarà bene ricordare che questa idea di servizio è costituzionale per lo spirito di ogni cristiano, e, tanto più, per il cristiano chiamato all'esercizio di una qualsiasi funzione: di esempio, di carità, di apostolato, di collaborazione, di responsabilità, e ciò specialmente nell'ambito ecclesiale, in cui la solidarietà, l'unità, l'amore, hanno esigenze di stimolante continuità. Non dimentichiamo l'esortazione dell'Apostolo: 'Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo'. È certo che anche l'ufficio gerarchico (sacerdoti, parroci, vescovi, operatori) esiste per la comunità e non viceversa; e che la potestà nella Chiesa non è tanto per sovrastare quanto per giovare; non per il proprio prestigio, ma per l'altrui utilità". (marzo 1969) Chi, come me, medita queste meravigliose parole di Gesù, che designa lo stile del cristiano, 'servire e non essere servito', sa come il servire è davvero la nostra identità. A volte la gente vede in noi, parroci o vescovi, - anche per i nostri atteggiamenti - un'autorità cui inchinarsi come davanti a 'padroni' da servire. La realtà è o dovrebbe essere molto diversa. I fedeli devono poter vedere in noi solo la guida, in quanto siamo persone chiamate e scelte da Dio stesso per essere servi della Sua Grazia. La nostra 'autorità', infatti, è tale solo quando si tratta di guida al servizio del Vangelo, della Grazia, dell'unità nella comunità,...tutto, sempre, solo, in spirito di servizio. Ogni altro atteggiamento, che deturpa questo aspetto, offende la carità e l'umiltà. A volte questo spinto di servizio ci chiama a gesti che mettono a nudo la verità. Un ricordo: immediatamente dopo il terremoto del Belice, che ci colse in piena notte, il 16 gennaio 1969, il primo dovere che si affacciò a me e ai miei coadiutori, che avevamo la cura di quella comunità, Donai dispersa e senza casa, fu quella di mettersi al servizio, cercando tra le macerie eventuali superstiti o vittime rimaste intrappolate. Un compito che, a pensarlo ora, sapeva di incoscienza, perché la terra continuava a tremare e avevamo le mani 'nude'. Per tutta la notte si percorsero le vie della cittadina distrutta e così salvammo parecchie vite. Da quella notte capii che essere parroco voleva dire rischiare tutto per servire la mia gente ed accompagnarla poi nella difficile via della ricostruzione. In questa seconda fase molti nomapirono, pensando forse a 'motivi' sotterranei - che non esistevano - come quello di cercare prestigio o 'visibilità'. Ricordo come una domenica, volendo spiegare alla mia gente, durante la S. Messa, la ragione del nostro servizio, che non conosceva limiti né rischi, dissi: 'Vi domandate perché facciamo tutto questo. La risposta è una sola: l'amore che abbiamo per voi e l'amore è sempre e solo servizio. Niente altrò. Non dimenticherò mai il pianto che seguì e non cessava, tanto da dover lasciare l'altare e ritirarmi per un tempo in baracca, per poi poter continuare la Messa. Così come, da vescovo, convinto che un pastore non può accettare che la sua gente viva sotto l'incubo e l'egemonia della malavita organizzata - la camorra - mi ribellai, raccolsi la gente e l'accompagnai nel cammino verso la conquista della sua serenità e libertà. Un servizio che mi costò un lungo periodo di 'scortà o difesa. Finì, in un certo senso, la mia libertà di movimento, ma iniziò il cammino di libertà della mia gente. Del resto sappiamo tutti che Gesù demolì la potenza e il prestigio umano fino all'umiliazione della croce, dove veramente si manifestò il nulla che siamo noi e il tutto che è Dio per noi nella Resurrezione. Ed è quello che afferma Isaia oggi: "Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a Lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, Uomo dei dolori, che ben conosce il patire. Al Signore è piaciuto prostrarlo con i dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo, la volontà del Signore" (Is 53, 2-3). Con Mons. Tonino Bello, preghiamo così Maria: "Santa Maria, Donna del terzo giorno, donaci un poco di pace. Impediscici di intingere il boccone traditore nel piatto delle erbe amare. Liberaci dal bacio della vigliaccheria. Preservaci dall'egoismo. E regalaci la speranza che, quando verrà il momento della sfida decisiva, anche per noi, come per Gesù, Tu possa essere l'arbitro che omologherà la nostra vittoria". |