Omelia (18-10-2009) |
padre Antonio Rungi |
La via maestra dell'umiltà e della fiducia in Dio Celebriamo oggi la XXIX Domenica del tempo ordinario e la parola di Dio ci mette di fronte alla via maestra dell'umiltà e del servizio. Il cristiano, sul modello del Cristo che da ricco si fece povero, è chiamato a vivere la radicale scelta dell'ultimo posto, nel servizio umile e disinteressato. Il modello etico a cui ispirare la propria condotta di vita non potrà essere un uomo qualsiasi assetato di potere e dei primi posti, come era al tempo di Cristo e come è stato sempre, soprattutto a nostri tempi. La storia conta tantissimi dittatori di ogni genere, quelli che hanno seminato solo morte e distruzione, quelli che hanno messo in moto uno stile di prepotenza e di arroganza dal quale per liberarsene l'umanità ha avuto necessità di fare guerre e rivoluzioni. Se la logica del mondo segue i parametri del potere, la logica della Croce e del Vangelo segue le regole del servizio e del distacco dalle cose. Il vero credente e discepolo del Cristo non si fa affascinare dai bagliori delle potenze economiche, militari, mass-mediali, non va alla ricerca della ribalta, ma se per caso dovesse trovarsi involontariamente in tali situazioni non deve fare altro, in ragione della sua posizione favorevole e vantaggiosa di servizio, di farsi schiavo per gli altri, di rinunciare alle proprie vedute delle cose, per dare spazio alle vedute degli altri, a non rivendicare diritti, ma sentirsi in dovere di scegliere l'ultima posizione della gerarchia e della valutazione umana. Per il cristiano conta l'essere primi al traguardo della vita, cioè nella condizione, in base alla vita svolta di servizio e generosità verso gli altri, di trovarsi degni di essere accolti nella gloria del cielo. Correre verso questo traguardo, significare dare spazio a Dio nella nostra vita e non cercare spazio per noi stessi, magari togliendo lo spazio anche a forza di gomitate a chi ha diritto di occuparne almeno una parte. Proprio perché vogliamo a tutti i costi primeggiare spesso ci troviamo di fronte ai primi che sono primi davvero in senso di testimonianza di santità a non essere considerati ed esclusi, mentre gli ultimi, quelli che sono l'opposto della virtù, del bene, ad occupare posti che non meritano, anche perché sono di scandalo e non di esempio. Il testo del Vangelo di oggi è molto esplicito e chiaro, non necessita di commenti, ma solo di concreta attuazione nella vita quotidiana, dovunque ci troviamo ad agire. E' chiaro che la superbia e l'arroganza non si coniugano per nulla con l'insegnamento di Cristo, che è venuto a servire e non per essere servito, si è fatto letteralmente schiavo per liberare noi dalla schiavitù del peccato. Considerare questo per un cristiano di oggi, è andare all'origine stessa, ai fondamenti della nostra fede. Una fede non solo di dogma, ma soprattutto di vita il cui modello principale è il Cristo Crocifisso. Al mistero della Croce e del Crocifisso fanno direttamente riferimento i due altri testi biblici di oggi, la prima e la seconda lettura, tratti rispettivamente dal Libro del Profeta Isaia e dalla Lettera, di scuola paolina, agli Ebrei. Due brani di ampio spessore dottrinale e dogmatico. Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Come non leggere in questo brano il mistero della Croce di Gesù. Si prefigura qui l'uomo del dolore, ma anche il redentore, colui che porta la salvezza, porterà la luce all'umanità, quella luce della grazia mediante la quale noi possiamo rivolgerci a Dio e chiamarlo Padre e ottenere da Lui la pace e la riconciliazione. La prefigurazione del Cristo Redentore dell'umanità, che Isaia ci delinea in questo brano, pur riferendosi ad altre realtà del suo tempo e della sua personale esperienza di profeta del Signore, ci aiuta a capire come fin dal tempo di Israele il discorso della salvezza è posto al centro della propria esperienza di popolo di Dio, un popolo di salvati, un popolo eletto, un popolo unico, perché caro a Dio, Padre di tutti. Non in Cristo una salvezza ridotta ad un solo popolo, ma estesa all'umanità intera. Ecco il senso di quella discendenza numerosa che scaturirà della Croce del Signore, ovvero tutti coloro che seguendo Cristo, patendo e soffrendo con Lui, per Lui ed in Lui, troveranno la forza per guardare nell'orizzonte della luce che salva, la luce della croce e del Calvario. E' proprio sul sacrificio di Cristo in Croce che si sofferma per nostro personale insegnamento il breve brano della lettera agli Ebrei. In questo Dio Crocifisso dobbiamo mettere tutta la nostra fiducia e riporre ogni nostra speranza. Egli sa prendere parte alle nostre sofferenze e non chiude il suo cuore davanti alle nostre richieste di perdono e misericordia per i peccati commessi. Bisogna accostarsi con fiducia a questo trono non del giudizio, ma della misericordia. Per troppo tempo abbiamo nascosto o non considerato adeguatamente il volto misericordioso di Dio Padre, facendo risaltare più il Dio Giudice, il Dio che condanna, che punisce, il Dio terribile. In realtà il Dio che Cristo ci ha rivelato è il Dio Amore, carità, pazienza, compassione, misericordia, gioia che fa festa per ogni peccatore che si converte, che vuole la salvezza di tutti, che va alla ricerca della pecorella smarrita e che ha perso l'orientamento morale ed etico e si è smarrita nel dedalo delle tentazioni della carne e delle passioni umane. Anche questi sono figli di Dio, sicuramente più bisognosi del suo aiuto e della sua dolcezza e tenerezza di Padre. Ecco perché bisogna accostarsi con fiducia alla misericordia, mai disperare della salvezza eterna, anche se la nostra vita è stata contrassegnata da tanti peccati e tante fragilità. Dio non vuole la nostra morte spirituale definitiva, ma che ci convertiamo e viviamo. Ed ogni tempo è opportuno perché questo avvenga se siamo docili alla grazia di Dio, allo Spirito Santo e se ci facciamo guidare da persone sagge e sante e non da esaltati e fanatici che distorcono il senso della vera fede cattolica. Sia questa la nostra preghiera domenicale, che ci introduce nella celebrazione eucaristica, ma soprattutto ci immette in quel clima di fiducia nel Signore che mai deve venir meno anche se abbiamo toccato il fondo della nostra debolezza e immoralità: "Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell'unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio". Amen. |