Omelia (11-10-2009)
don Daniele Muraro
La Parola che fa entrare nel riposo

In questo anno sacerdotale l'episodio del giovane ricco e le successive riflessioni di Gesù assumono un risalto particolare.
In due quadri ci viene presentata prima la richiesta del giovane su come fare per avere in eredità la vita eterna e di seguito la rassicurazione di Gesù a Pietro e agli altri che avevano lasciato ogni cosa e lo avevano seguito.
L'evangelista non specifica direttamente l'età del nuovo interlocutore, ma molti elementi ci inducono a considerarlo un giovane maturo ormai all'ingresso della vita adulta.
Della giovinezza questo tale, destinato a rimanere innominato, ha l'impeto; infatti con un atto repentino corre incontro al Signore e gli si getta davanti in ginocchio.
Dell'età adulta comincia a assumere la consapevolezza come capiamo dall'oggetto della sua domanda: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" Egli ha tutta la vita davanti. Appressandosi ad uscire dalla tutela dei genitori e degli educatori, o avendolo ottenuto di recente, si preoccupa di come impegnare le sue forze in vista del bene.
Non va in cerca di qualcheduno a cui raccomandarsi non chiede appoggi, ma essendo nel pieno vigore delle forze si sente pronto a fare qualcosa e lo dichiara con slancio.
L'appressarsi dell'età adulta lo aveva confermato nel valore da attribuire alla ricchezza materiale, quella misurabile in danaro contante. Si era accorto che nella società di solito uno viene considerato per quello che possiede, che ha a disposizione e che può far pesare nel confronto diretto.
Tuttavia il giovane è animato anche da un sincero spirito religioso. Egli chiede non come comprare la vita eterna e neanche solo come ottenerla, ma vuole fare qualcosa per averla in eredità. Forse si immagina che come i suoi genitori gli hanno lasciato o gli lascieranno un consistente patrimonio, così Dio Padre ai suoi devoti può assicurare una cospicua rendita. Egli chiede che una parte dell'eredità di Dio possa toccare anche a lui e si rivolge a Gesù riconoscendo nella sua persona una figura di riguardo.
In effetti la caratteristica del "clero" è di costituire il ceto di coloro che sono stati chiamati ad avere parte dell'eredità del Signore. Si tratta di un impegno da parte di Dio già in vigore verso i leviti dell'Antico Israele che Gesù conferma per i suoi discepoli. Essi avrebbero ricevuto in sorte la familiarità con Dio e nello stesso tempo la partecipazione ai suoi beni.
L'ingresso nella casta dei leviti era preclusa a qualsiasi estraneo, in quanto ristretta ad una determinata tribù, appunto quella di Levi. Con Gesù le cose cambiano; si entra nel gruppo dei discepoli per chiamata. Il giovane che qualcosa aveva capito vuol mettersi anche lui, se non proprio nella lista degli effettivi, almeno nell'elenco dei simpatizzanti.
Gesù, saputo che aveva praticato i comandamenti fin dalla sua infanzia guarda il giovane con affetto e predilezione e lo mette a parte dell'ultimo segreto: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!"
La conclusione dell'episodio la conosciamo; non era per niente scontata, rientrava nelle possibilità del libero incontro di due volontà, quella della persona di Gesù ricca della carità di Dio e quella della personalità del giovane.
Costui doveva scegliere se svuotarsi del suo egoismo e riempiersi dell'amore di Dio, oppure se afflosciarsi lentamente perdendo slancio. Il giovane se ne va triste. Ha fatto la sua scelta e già si sente sgonfiato nella sua presunzione non più sostenuta dall'afflato dello Spirito santo. Essere entusiasti significa avere Dio dentro, essere tristi averlo perso.
Da questo resoconto del Vangelo possiamo constatare che la parola viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio di cui ci parlava la lettera agli Ebrei altri non è che la parola di Gesù, anzi la sua persona stessa. Con le sue parole Gesù davvero penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Solo Gesù distingue adeguatamente fra condizionamenti esterni o tare del carattere e responsabilità morali. Lui solo conosce attendibilità e risvolti delle nostre scelte, davanti a Lui noi ci giochiamo tutta la nostra vita.
L'autore della lettera agli Ebrei espone queste sue considerazioni sulla Parola di Dio dopo aver parlato del salmo 94 in particolare nei versetti che culminano con la promessa del riposo e e la minaccia di perderlo. "Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori." A quelli che resistono alla sua parola Dio promette: "non entreranno nel mio riposo!".
Ha il riposo di Dio solo chi si fida di Lui e getta in Lui ogni sua preoccupazione e ogni sua speranza e si fida di Lui e delle sue promesse anche se queste sembrano lontane nel tempo e fuori misura rispetto alle proprie attese.
In linea di principio i sacerdoti esistono proprio per uno scopo di questo genere: per mantenere attuale una tale maniera di intendere la vita, cioè per dare voce agli appelli che Dio continua a rivolgere alle persone e alla società, per chiamare quanti più possibile alla serenità e alla gioia che viene dal seguire Gesù, prendendo sul serio la sua parola e riconoscendosi cittadini del Regno dei cieli.
Alla fine è questa la vera sapienza, insieme a lei vengono tutti i beni, soprattutto quelli dei rapporti umani e del senso compiuto della vita.