Omelia (25-10-2009) |
Marco Pedron |
Con tutte le tue forze Questo vangelo segue quello di domenica scorsa dove gli apostoli si sono dimostrati ciechi. Mc pone questo brano poco prima dell'entrata di Gesù a Gerusalemme. Come a dire che per comprendere il senso della sua vita e della sua sofferenza dobbiamo avere gli occhi della fede, dobbiamo vederci. E mentre questo uomo torna a vedere, i discepoli, che lo accompagnano, rimangono ciechi. Perché hai gli occhi non vuol dire che "ci vedi". Nel vangelo di Mc questo discepolo è l'unico che lo segue nel cammino della passione ad occhi aperti, consapevoli. Successivamente, sul Golgota, il primo a "vederci" sarà il centurione quando esclamerà dopo la morte di Gesù: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" (15,41). Il giorno dopo la morte saranno le donne "a vederci", a capire il tutto. Gli apostoli arriveranno "a vedere" dopo, molto dopo. La storia della passione è la storia di uomini che "non hanno visto niente". Non sono riusciti, cioè, a penetrare il mistero, sono rimasti, direbbe il vangelo, ciechi. Così è la nostra vita quando rimaniamo nella superficie delle cose e degli eventi C'è una storiella che amo molto e dice così: "Un tizio bussa alla porta di suo figlio: "Jaime, svegliati", gli dice. Jaime risponde: "Non voglio alzarmi papà". Il padre urla: "Alzati devi andare a scuola". "Jaime gli risponde: "Non voglio andare a scuola". "E perché no?", gli chiede il padre. "Ci sono tre ragioni", risponde Jaime. "Prima di tutto, è una noia; secondo i ragazzi mi prendono in giro; terzo odio la scuola". E il padre gli risponde: "Bene, adesso ti dirò io tre ragioni per cui devi andare a scuola; primo, perché è tuo dovere; secondo, perché hai quarantacinque anni, e terzo perché sei il preside". Se non dormissimo così tanto potremmo anche ridere di questa storia. Gesù sta per andarsene da Gerico ma un uomo si metta a gridare. E' Timeo, un cieco che mendica lungo la strada. Il suo nome è la sua vita: timeo non vuol dire nient'altro che paura, temere, aver paura. Questo uomo dev'essere stato così impaurito da non credere più in sé, da ritenersi un incapace o un deficiente. "Attento a quello che fai!; lo sapevo che sbagliavi; non sei capace; lascia fare a me; sei troppo piccolo": è' questa paura che gli impedisce di camminare sulle sue gambe. E' questa paura che lo costringe a mendicare. Dapprima il cieco lo si definisce solo come il figlio di Timeo: non ha un suo nome, è il figlio di suo padre. Poi gli si dà un nome, Bartimeo. Ma Bartimeo non vuol dire altro che "figlio di Timeo". E per il vangelo non avere nome vuol dire non avere identità. E' chiaro cosa vuol dire che sia "figlio di suo padre": non ha trovato la sua identità, non ha fatto la sua strada, è ancora il bambino che cerca l'approvazione e il riconoscimento di suo padre, mendica da lui attenzione e riconoscimento. Forse fa il bravo bambino; forse cerca di essere l'orgoglio del papà; forse cerca di non far star male i suoi genitori; forse cerca di non deluderli; forse ha cercato di vivere in funzione loro; forse ha rinunciato a sé per accontentarli; forse non si è mai sviluppato perché doveva rispondere ad altre aspettative. In ogni caso è rimasto figlio, non è cresciuto. E' per questo che è cieco. Ma cieco a cosa? Cos'è che non vede? Il vangelo risponderà in maniera chiara: questo uomo non vede, non crede alla possibilità di essere autonomo, grande, adulto. Questo uomo è cieco a sé, alle sue risorse interiori e alle sue energie interne. Facciamo un esempio: sei nella tua casa ed entra un uomo con cattive intenzioni. Hai paura: che si fa? Ci sono fondamentalmente quattro possibili soluzioni alla questione. La prima: cerchi di compiacerlo, di tenerlo buono. Eri piccolo, tua madre voleva che tu "non rompessi", che non la tediassi, che non le fossi sempre attaccato alle gonne e così tu hai deciso di diventare un bravo bambino. Non urlavi, non creavi troppi problemi, la assecondavi e ti comportavi bene. Quando si andava dai parenti ti sedevi anche tu e, buono buono, facevi finta di ascoltare tutto quello che dicevano (cosa vuoi che interessi ad un bambino quei discorsi da adulti!). Lei era contenta di te e le zie dicevano: "Ma quanto bravo è questo bambino", tradotto: "Ma come non rompe!". Che tu non fossi un bambino, ma già un adulto non era importante, anzi! Poi sei andato bene a scuola e non hai mai fatto niente per deludere nessuno. Adesso sei un uomo serio, posato, rispettato; quello che fai lo fai perché gli altri possano dire: "Ma che bravo; ma che bella persona!". Sei ancora il bravo bambino Timeo che teme il giudizio degli altri e che non può deludere nessuno. Dentro hai ancora la paura che tua madre (quell'uomo) ti possa abbandonare, ti possa lasciare solo. Ed è per questo che non ti è possibile deludere nessuno. E' per questo che vorresti che tutti pensassero bene di te. E' per questo che se qualcuno ti critica ne fai un'ossessione. E' per questo che ti chiedi sempre: "Cosa penseranno di me, che ho fatto questa cosa? Gli sarò piaciuto? Sarò andato bene?". Dentro sei ancora arrabbiato perché ti ha sottratto la tua infanzia, il tuo gioco e la tua vitalità. Ma non vuoi ammetterlo perché accettarlo sarebbe riconoscere e sentire quanto male sei stato e quanto tua madre ti ha costretto a diventare quello che non sei. Allora preferisci rimanere cieco. La seconda: lo controlli, te ne prendi cura. Cerchi di non far niente di sbagliato, anzi lo aiuti nei suoi intenti malsani. Tua madre era sempre nervosa perché "non andava bene" con tuo padre, depressa perché non riusciva a realizzarsi, o ansiosa perché a sua volta piena di paura, di condizionamenti e regole imposte da altri. A casa non si poteva gridare perché "le scattavano i nervi"; non si poteva cantare perché era suscettibile, né fare "troppo casino" con i giochi perché lei andava su tutte le furie. Così hai imparato a controllarti: facevi uscire solo quello che a lei andava bene e guai a te nel dire o fare qualcosa di troppo. Oggi sei grande e sei ancora quel bambino lì. Non ti dai mai del tutto: controlli sempre tutto. Se ami ti tieni sulla difensiva perché non si sa mai. Se provi un'emozione cerchi si spegnerla, di sminuirla, di ridurla perché hai paura che "sia troppo". Se sei felice devi dirti che "passa" e se sei triste devi dirti che "c'è chi sta peggio". Vivi nella testa, controlli tutto e non permetti che la tua vitalità esca. Ma un uomo così è un uomo spento, senza sale, insipido. Dentro hai ancora paura che tua madre ti rifiuti per cui controlli tutto ciò che fai e che vivi. E quando stai con gli altri controlli se ti accettano, che effetto fanno le tue parole, cosa dicono. Dentro sei arrabbiato perché tua madre accettava solo una parte di te, quella che a lei andava bene. Dentro sei ancora arrabbiato perché dovevi tu prenderti cura di lei e non lei di te. Ma non vuoi ammetterlo. Tu dici: "Io sono fatto così; io sono un po' mentale; la razionalità è importante; non si può mica fare quello che si vuole nelle vita". Allora preferisci rimanere cieco. La terza: puoi combattere. Cerchi di mandarlo via, ti fai valere e cerchi di opporti. Tuo padre era un autoritario. Quando parlava lui gli altri dovevano tacere e ascoltare: "Tu parlerai quando sarai grande; ma cosa vuoi saperne tu; ma se fino a ieri te la sei fatta addosso!; rispetto per i genitori!". Ma tu non ti sei piegato: così da piccolo ti opponevi facendo la pipì a letto oppure combinando marachelle di continuo o diventando "una peste" o un iperattivo a scuola. Quando sei diventato adolescente - e avevi più forza - facevi di testa tua e non ascoltavi più nessuno. Adesso sei grande e sei un arrogante. Pensi che come te non ci sia nessun altro; credi di avere sempre ragione tu; credi di non sbagliare mai. Sei uno che non si fa pestare da nessuno, che si fa rispettare sempre e comunque. In realtà non ti si può dire mai niente perché sei sempre in guerra. Dentro però sei ancora il bambino Timeo pieno di paura che suo padre rifiutava. E anche se con la lotta ti nascondi tutto e dici che tu "non hai bisogno di nessuno" in realtà vorresti che tuo padre ti amasse, ti dicesse: "Hai ragione tu; questa cosa l'hai fatta bene; ma che bravo che sei!; che bello avere un figlio come te! Mi piaci!". Ma non vuoi ammetterlo e così continui ad essere in guerra con il mondo; mai nulla ti va bene. Stai ancora combattendo per avere quello che non si può avere: l'amore. E preferisci rimanere cieco perché finché combatti, in fin dei conti, ti illudi che riuscirai nella tua impresa. Ma se ti arrendessi dovresti amaramente ammettere che è una battaglia persa. La quarta: ritrarsi. Non puoi affrontarlo, fuggi, scappi, ti nascondi. Tuo padre era violento, alzava la voce facilmente e anche le mani. Era troppo forte per te. Così l'unica possibilità era nascondersi in camera o non dire nulla perché tutto poteva essere motivo di pericolo. Adesso sei grande e sei ancora così: non rischi nulla, non ci provi. Sei l'uomo del "buon senso", quello che pesa tutto. Nelle discussioni non esci mai, tu ascolti e non ti esponi mai. Se puoi conciliare una cosa la fai. Tu dici di non amare il litigio, la conflittualità: "Non capisco perché bisogna litigare o alzare la voce così", dici sempre a tua moglie. In realtà tu hai paura. Sei ancora il bambino Timeo che in camera sua prega Gesù perché suo padre la smetta o se ne vada di casa, e comunque non succeda niente di grave. Ma non vuoi ammetterlo: "Io sono così; io sono un po' timido; io sono di carattere chiuso". E preferisci rimanere cieco piuttosto che sentire tutto quel dolore. Cosa fa un bambino quando non vuole vedere quello che ha davanti? (anche noi adulti facciamo così)! Chiude gli occhi. Allora, siccome non vediamo una cosa, ci sembra che non ci sia. E' che non funziona. Di fronte a certi dolori e a certe sofferenze della nostra vita, siccome non potevamo scappare, non potevamo esimerci dal provarli, abbiamo chiuso gli occhi. Ed è chiaro che non vogliamo riaprirli: cosa rivedremmo altrimenti? Così giudichiamo sempre gli altri: ma chissà quanto noi siamo stati feriti! Così ci anneghiamo nell'alcool: ma chissà quanta "birra d'amore" ci è mancata! Così diventiamo depressi: ma chissà quanto siamo stati frustrati nella nostra vitalità! Così parliamo sempre: ma chissà perché non possiamo fare silenzio e ascoltarci! E' per questo che dobbiamo diventare ciechi: dobbiamo eliminare ciò che ci fa soffrire e non vederlo più. Per questo la gente odia conoscersi e scappa da se stessa. Ma il problema è proprio questo: non si può scappare da se stessi. Si diventa ciechi per paura e per non soffrire più. Il cieco è seduto lungo la strada: è ovvio perché quando non sai chi sei non sai neppure dove devi andare. Allora inizi a chiedere a destra e a sinistra: "Cosa devo fare? A cosa sono chiamato? Come devo vivere?". Sei cieco, se ci vedessi non avresti bisogno di chiedere. Quando non sai chi sei, non hai più direzioni, non sai come muoverti nella vita. Allora si vegeta, si vaga senza meta di qua e di là, si vaga nel nulla del buio. Il cieco mendica: quello che non vedi in te lo chiedi agli altri. Se tu non ti senti degno, qualunque cosa fai devi chiedere scusa. Se tu non ti senti sicuro, qualunque cosa fai, devi mettere in dubbio: "Mah? Chissà! Forse! Che sia giusto!". Se tu non senti il tuo valore, qualunque cosa fai, dovrai chiedere conferma agli altri. Quando non ti ami non puoi che cercare bramosamente amore fuori di te. Allora ti svendi e scendi a dei compromessi terribili. Allora ti accontenti delle briciole tanta è la tua fame d'amore. C'è una donna che ha un vuoto d'affetto enorme dentro. E' insieme con uno più vecchio di lei di vent'anni che la maltratta, che la usa, che la gestisce come vuole. Lei, in realtà è una bella donna, brillante, piena di energie. Ma il suo bisogno d'amore è così grande che si accontenta di così poco secondo la regola che "qualcosa è meglio di niente". "E' meglio - dice lei - qualcuno che nessuno". E così si lascia fare di tutto perché ha una paura folle di essere lasciata. Quando passa Gesù il cieco comincia a gridare: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me". Il cieco sa di aver sbagliato; si rende conto che se è finito in quella condizione è perché non ha visto certe cose e chiede perdono: "Abbi pietà di me". Ma grida, non si rassegna, non dice: "Troppo tardi! Ormai! Le cose sono andate così". Gridare vuol dire che si vuole uscire dalla propria situazione, che ce la si mette tutta per venirne fuori. E sarà questa fede che lo salverà. Quando comincia a gridare la folla lo vuole zittire. Così aveva fatto suo padre; così adesso chi gli è vicino. Quante volte nel vangelo chi ti è vicino invece di aiutarti a vivere ti aiuta a morire. Un attimo prima i discepoli avevano impedito ai bambini di avvicinarsi a Gesù (10,13). Il vangelo è molto ironico e drammatico nello stesso tempo. La folla che sembra vederci condannerà qualche giorno dopo a morte Gesù. Mentre questo uomo che non ci vede, lo riconosce e lo chiama: "Gesù, figlio di Davide". La folla lo zittisce; l'uomo urla e per queste sue urla, per questa sua voglia di vivere, si salverà. E se la folla lo zittisce, lui urla più forte. Bartimeo sfida il giudizio della gente: "Non si fa così!; che figura che ci fa fare quest'uomo!". Bartimeo disturba il passaggio del maestro, crea scompiglio. Ma Bartimeo continua ad urlare. Il verbo, all'imperfetto, indica che continuava ad urlare. Lui vuole vivere, lo vuole con tutte le sue forze. E' un uomo che non si è arreso, che non si è rassegnato. Quante volte di fronte ad un "no" o ad un tentativo non riuscito ci tiriamo indietro sconfitti. Ci abbiamo provato, ci è andata male e diciamo: "Mai più!". Perché se tu non ci credi con tutte le tue forze non avverrà niente. Perché, in fin dei conti, ci viene dato quello che crediamo. Se non credi di guarire non guarirai. Se non credi di poter cambiare, non cambierai. Se non credi in te, non realizzerai mai niente. Se non credi al tuo sogno, non lo raggiungerai. Se non credi nella forza del tuo cuore, non amerai. Se non credi nel Dio che abita in te, non sarai mai felice. Bartimeo lo vuole con tutte le sue forze, a tutti i costi; lo vuole così tanto che non "gliene frega niente" di fare brutta figura, di essere ripreso, di essere deriso o di sfigurare. Il discepolo chiese al maestro: "Quand'è che troverò Dio?". "Vieni domani al fiume e ti dirò". Così il discepolo si presentò al fiume dal maestro. Entrarono nel fiume e all'improvviso il maestro gli ficcò la testa in acqua e gliela tenne sotto. Il discepolo si dibatteva disperatamente cercando di liberarsi per respirare. Quando stava per morire soffocato il maestro gliela tirò fuori. E così una, due, tre volte. "Ma sei matto!", disse contro al maestro. "Perché ti agitavi tanto quando ti tenevo la testa in acqua?". "Perché avevo bisogno di aria, per diamine!". "Quando cercherai Dio così come cercavi l'aria, lo troverai". Non chiederti mai se vuoi quella cosa, ma quanto la vuoi. Quanto sei disposto a giocarti? Quanto sei disposto ad osare? Quanto sei disposto a lasciarti coinvolgere? Vuoi quella cosa con tutte le forze? Sei disposto a tutto? Io vorrei guarire dalle mie malattie ma non cambiare i comportamenti. Io vorrei conoscere Dio ma che non mi sconvolgesse tanto la mia esistenza. Io vorrei conoscermi ma senza soffrire tanto e senza provare certi sentimenti. Io vorrei amare ma senza dover cambiare, senza sbagliare, senza perdere, senza cadere. Non conta se voglio una cosa ma quanto la voglio. Molte persone vorrebbero tante cose ma vorrebbero che arrivassero finché loro sono sedute in poltrona davanti la tv, con una bella birra e dei pop-corn. Perché non può essere così? Molte persone vorrebbero tante cose e davvero lo credono. Sono sinceri quando dicono così. E' che non vogliono mettersi in gioco, rischiare e volerlo con tutto se stessi. Fu per questo che Gesù chiese al giovane ricco di vendere tutto. Quel giovane voleva seguire Gesù ma non del tutto. E non si può raggiungere il Tutto se non lo vuoi del tutto. Allora Gesù si ferma e lo chiama. E' l'unico caso del vangelo dove Gesù viene fermato da qualcuno. Gesù non si lascia condizionare dalla folla che gli diceva: "Lascia stare quell'uomo!; ah, quello lì: un buono a nulla!; ah, quello, sapessi che persona di malaffare!; quella è gentaglia, non ti immischiare!". Gesù forse non lo aveva visto o non aveva in programma di fermarsi ma di fronte ad un desiderio così grande non può che sconvolgere i suoi piani. La fiducia di questo uomo cambia, piega il destino. Se una cosa buona la vuoi con tutto te stesso, anche il destino ti viene in soccorso. Il grande generale giapponese Nobunaga decise di attaccare anche se aveva solo un soldato per dieci del nemico. Era sicuro che avrebbe vinto, ma i suoi soldati erano pieni di dubbi. Mentre erano in cammino verso il campo di battaglia, si fermarono in un santuario e pregarono. Dopo aver pregato nel santuario, Nobunaga uscì e disse: "Ora getterò in aria una moneta. Se viene testa vinceremo. Se è croce perderemo. Ora il destino rivelerà il suo gioco". Gettò in aria la moneta. Venne testa. I soldati erano desiderosi di combattere e vinsero. Il giorno dopo due suoi generali gli si avvicinarono. Uno disse: "Nessuno può cambiare il destino". L'altro invece: "Nessuno può vincere la forza della preghiera". Nobunaga guardandoli entrambi rispose: "Giustissimo", mentre gli mostrava una moneta che aveva testa su entrambe le facce. Se tu lotti per la Vita non ti preoccupare perché la Vita lotterà per te. Chiamato da Gesù, l'uomo si comporta come uno che ci vede benissimo. Getta via il mantello, balza in piedi e va da Gesù. Osservate la folla, invece: prima lo sgrida (10,48) adesso lo chiama perché vada da Gesù (10,49). All'improvviso diventano tutti bravi e santi. Prima hanno fatto di tutto per scoraggiare il pover'uomo; adesso lo invitano ad avere coraggio e ad andare da Gesù. Quando arriva il prete o il vescovo tutti diventano cristiani. Quando arriva il capo tutti divengono lavoratori sorridenti. Quando c'è da dire come la si pensa tutti si dileguano. Quando finalmente qualcuno "lo vede" lui ha la forza di fare quello che prima non aveva mai fatto. Quando ti senti importante per qualcuno la vita cambia prospettiva. Io ho bisogno di sentire che per qualcuno sono importante, valgo. Allora crederò di essere importante. Io sono importante ma se nessuno me lo dice, se nessuno me lo fa vedere, se nessuno me la fa sentire, allora io mi sento inutile, sento che esserci o non esserci è la stessa cosa. Tanto vale, allora, non esserci. Il cieco si alza in piedi (lett. "si lanciò"): adesso trova la forza di contare sulle sue gambe, ritrova fiducia in sé. Butta vita il mantello che serviva oltre che per ripararsi dal freddo anche per raccogliere l'elemosina. Non è più un mendicante di amore: "Amatemi; guardatemi; consideratemi; ditemi che sono bravo, che valgo; fatemi i complimenti; fatemi sentire al centro dell'attenzione, ecc". Gesù gli fa la stessa domanda di domenica scorsa (10,36): "Che cosa vuoi che io ti faccia?". Quelli avevano chiesto cose materiali (gloria, potenza, successo, fama); Bartimeo chiede luce, di vederci. Non chiedere mai cose materiali, terrene, a Dio perché non te le può dare. Dio non ti può dare i soldi; Dio non ti può dare la salute; Dio non ti può dare la ricchezza, questa cosa o quella donna. Dio ti può concedere la fiducia, la consapevolezza, la luce, la verità, il senso della tua strada, la fiducia nella Vita. Ma molte persone non sanno cosa farsene di tutto questo. La domanda fa un po' sorridere: "L'uomo è cieco: ma cosa vuoi che voglia, Gesù? E' ovvio, Gesù, che vuole guarire. Lo prendi in giro?". E, invece, non è affatto ovvia la domanda. Perché non è importante se Gesù lo vuole guarire ma se l'uomo vuole guarire. E l'uomo risponde: "Fammi vedere". Il verbo (anablepo) indica "il vedere in su, l'alzare lo sguardo". Da una parte quest'uomo ha sempre abbassato lo sguardo per paura. Non ci basta a volte un'osservazione per non credere più in noi? Basta che uno ci dica: "Non mi piace come ti sei comportato!", e subito ti senti uno schifo. Uno non ci saluta e subito ci sentiamo in colpa: "Cosa gli ho fatto?". "Così non va bene; non ci vai bene!" e subito ci sente un niente, senza valore. Alza lo sguardo non definirti in base a quello che dicono gli altri. D'altra parte quest'uomo guarda verso l'alto, verso il cielo, verso Dio. Alza lo sguardo, guardati come Lui ti guarda, con i suoi occhi. Solo negli occhi di Dio puoi vedere riflesso il tuo vero volto. Non vedi altro che la tua ombra quando volgi le spalle al Sole. Il vangelo si conclude con un'annotazione: "E prese a seguirlo per la strada". Tutti gli apostoli e tutta la gente lo seguono ma di nessuno di loro si dice che lo seguiva, se non che di quest'uomo. Tutti ci vedevano, ed erano ciechi. L'unico cieco, ci vedeva benissimo. Pensiero della Settimana Se tutti vivono nell'oscurità, chi ci vede sarà chiamato cieco. |