Omelia (25-10-2009)
Omelie.org (bambini)


Il miracolo di cui ci parla il Vangelo di oggi mi commuove ogni volta che lo leggo. Senza dubbio, ogni miracolo ci dà gioia, perché ci mostra senza possibili dubbi che davvero nulla è impossibile a Dio e che la fede in Cristo Gesù può cambiare ogni realtà, anche la più difficile.
Però il racconto dell'evangelista Marco, che abbiamo appena ascoltato, mi colpisce per due motivi differenti: innanzi tutto perché è un racconto ricco di tanti particolari che ci rendono evidente ogni momento della scena. Una cura così grande nel riferire, mi lascia pensare che anche per gli Apostoli, e per tutta la folla che assistette a quel momento così speciale, fu un'esperienza profonda, emozionante, fino al punto da imprimere nella memoria ogni dettaglio.
Il secondo motivo che mi rende particolarmente cara questa pagina del Vangelo è molto personale e ve lo confido sottovoce: il pensiero della cecità mi fa un po' paura.
Per me, è una tale gioia poter vedere tutto ciò che mi circonda, che sarebbe veramente un dolore grande se mi accadesse di perdere la vista.
Non sto dicendo che la vita di una persona non vedente non possa essere intensa, ricca e bella: tante persone, cieche fin dalla nascita, hanno dimostrato nel corso del tempo come si possa essere felici e come si possa assaporare pienamente l'esistenza con creatività e persino con genialità, anche senza mai vedere il mondo intorno.
Credo pure, però, che debba essere particolarmente triste la condizione di chi si ritrova privo della vista, dopo aver conosciuto il mondo attraverso lo sguardo.
Ci pensate mai a quanta meraviglia ci regalano di continuo i nostri occhi?
Vedere i volti di chi amiamo, di chi ci vuol bene... assaporare i sorrisi che ci vengono rivolti... perderci in un panorama mozzafiato... incantarci di fronte al tramonto... immergerci nel buio della notte e scoprire il tremolio delle stelle... incontrare le mille sfumature che ciascun colore possiede...
Sono innumerevoli le realtà che ci emozionano e ci entrano dentro proprio grazie ai nostri occhi. Ritrovarsi all'improvviso senza questa preziosa opportunità penso debba essere davvero molto duro.
Perciò dà una consolazione speciale sapere che anche una sofferenza come questa può essere cancellata dalla mano di Dio. Da quello che comprendiamo del racconto dell'evangelista Marco, il caso di Bartimeo è proprio quello di un uomo che per la prima parte della sua vita ci vedeva, poi aveva perduto la vista e per la sua fede in Gesù alla fine si ritrova guarito.
Ma torniamo a rileggere insieme, passo passo, la bella pagina del Vangelo: "mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare."
In due sole righe veniamo a sapere molte cose: prima di tutto, siamo a Gerico, una città molto antica e molto importante nella storia di Israele. Il Rabbi di Nazareth, coi i Dodici e alcuni discepoli ha fatto sosta a Gerico e ora sta per ripartire; lo accompagna una folla numerosa, di tanta gente che lo ha conosciuto durante il suo breve soggiorno nella città.
Per la strada dove il Maestro e Signore deve passare siede anche un uomo, di nome Bartimeo: attenzione, di solito il Vangelo non ci dice il nome di chi riceve un miracolo da Gesù. Magari viene indicata la sua situazione o la città in cui avviene il miracolo, ma raramente conosciamo il nome dell'uomo o della donna risanati dalla potenza dello Spirito Santo. Questa volta è diverso: ci viene detto il nome di Bartimeo e l'evangelista spiega anche di chi è figlio; come dire: ci dà nome e cognome, perché chi legge possa capire bene di chi si tratta, possa individuarlo, riconoscerlo e non ci siano confusioni di sorta.
È molto probabile che Bartimeo fosse conosciuto nella comunità dei primi cristiani e quindi Marco, nello scrivere il suo Vangelo, lo indica con chiarezza, perché se qualcuno avesse ancora dubbi su come sono andate le cose, può chiedere direttamente al protagonista.
Dunque, Bartimeo, il figlio di Timeo, siede lungo la strada che porta fuori da Gerico: è lì a chiedere l'elemosina, perché è cieco e non è capace di svolgere un lavoro e guadagnarsi da vivere.
"Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!"
Nei giorni precedenti, mentre Gesù era in città, Bartimeo deve aver sentito parlare del Rabbi di Nazareth dalla gente che andava e veniva; può darsi che anche lui sia andato ad ascoltarlo, almeno una volta, insegnare alle folle e annunciare la Bella Notizia. In ogni caso, nel cuore di quest'uomo cieco è germogliata la fiduciosa speranza che proprio questo Maestro possa restituirgli la vista perduta. Perciò cerca in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Non osa spostarsi, perché cieco com'è, in mezzo a una folla numerosa, finirebbe col perdere l'orientamento. Ma spera che Gesù si accorga di lui e per questo lo chiama a gran voce, usando parole importanti, un titolo nobiliare, diremmo oggi, un'espressione che è di massimo rispetto e fiducia: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!"/i>
Lo chiama "Figlio di Davide": ma come, non è considerato figlio di Giuseppe e Maria? Certo, ma questa espressione ha una storia antica, ha un significato profondo.
Figlio di Davide: tu che discendi dal più grande di tutti i Re d'Israele, abbi pietà di me.
Figlio di Davide: tu che come il Re Davide sei stato scelto e inviato da Dio a salvare il suo popolo, abbi pietà di me.
Figlio di Davide: tu che sei amato da Dio e possiedi lo Spirito, abbi pietà di me.
Grida con tutto il cuore, il povero Bartimeo, e questo non a tutti va bene: "Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: Figlio di Davide, abbi pietà di me!"
A qualcuno sarà sembrato sconveniente, imbarazzante, quest'uomo cieco che urla, grida forte, lì sul ciglio della strada: non è il caso di dar fastidio a un Rabbi, avranno pensato. E provano a far tacere Bartimeo: lo rimproverano, gli dicono di smetterla, di piantarla di disturbare e di chiudere quella boccaccia urlante.
Seee! Figuriamoci se Bartimeo è tipo da star zitto!
Più lo rimproverano e più lui grida forte, desideroso di coprire con la sua voce, le voci di tutti gli altri che sono intorno a Gesù.
Il Maestro e Signore sente prima con il cuore che con le orecchie, riconosce il grido di Bartimeo, che nasce da un dolore profondo e allora si ferma, pronto ad accoglierlo: "Gesù si fermò e disse: Chiamatelo! Chiamarono il cieco, dicendogli: Coraggio! Àlzati, ti chiama! Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù."
Di fronte all'invito deciso del Rabbi di Nazareth, la folla si placa, la gente si fa da parte per lasciar passare il cieco e Bartimeo non se lo fa ripetere due volte: si alza subito in piedi, di slancio, e si avvia verso il Signore Gesù.
La prontezza nel rispondere è così grande che Bartimeo getta persino via il suo mantello, lo lascia lì, in terra. Non è un dettaglio secondario, questo: il mantello era prezioso per tutti, al tempo di Gesù, ma ancora di più per chi era povero o per chi, come Bartimeo, era costretto a mendicare. Il mantello serviva a coprire il corpo durante il giorno, a riparare dal freddo e dal vento, e di notte si trasformava in coperta per dormire. Era un oggetto importante e nessuno lo lasciava incustodito. Se proprio uno doveva toglierselo di dosso, si preoccupava sempre di affidarlo a qualcuno di cui si fidava. Invece Bartimeo balza in piedi e lascia lì il suo mantello, incurante che possano rubarglielo. Ma non vuole intralci mentre si avvia verso il Signore Gesù, non vuol perdere neppure un istante.
Ora che sono di fronte, il Maestro gli domanda: "Che cosa vuoi che io faccia per te?"/i>
Sembra una domanda inutile: santo cielo, è evidente qual è il problema di Bartimeo! Che bisogno c'è di chiedere?
Ma questa è una domanda importante, che indica ancora una volta la delicatezza di Gesù: non forza mai nessuno, non obbliga mai nessuno, neppure a riceve un miracolo. Chiede che cosa il cuore di Bartimeo desidera più di ogni altra cosa.
E il cieco risponde con commozione e sincerità, presentando la sua richiesta: "Rabbunì, che io veda di nuovo!"
Chiede di tornare a vedere: questo ci dice che un tempo ci vedeva, che aveva conosciuto la meraviglia di scoprire il mondo facendo passare ogni realtà attraverso lo sguardo, ed ha una nostalgia profonda di quel dono che rendeva tanto diversa la sua vita. Non sappiamo in che modo abbia perso la vista, se per un incidente o per una malattia, ma ora ha un solo desiderio: vedere di nuovo.
Nel fare la sua richiesta Bartimeo usa una parola particolare per rivolgersi a Gesù: "Rabbunì", che vuol dire: "maestro mio". Bello, vero?, questo cambiamento: mentre era lontano dal Maestro e Signore, lo ha invocato con i termini del rispetto; ora che sono vicini, faccia a faccia, usa parole tenere, affettuose, familiari.
"E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada."
Che esplosione di felicità: il miracolo è avvenuto! Bartimeo ha dimostrato una grande fede ed è stata proprio questa sua fiducia profonda a rendere possibile l'azione dello Spirito. Ora ci vede di nuovo e abbandona per sempre il suo cantuccio lungo la strada, dove sedeva a mendicare: non sarà più "il-cieco-che-chiedeva-l'elemosina", d'ora in avanti sarà un discepolo del Maestro Gesù.
La sua gioia nel seguire il Rabbi che lo ha risanato sembra traboccare dalla pagina del Vangelo e arrivare fino a noi: ci sembra quasi di sentire il profumo della riconoscenza che ora abita il cuore di quest'uomo risanato.
Proprio questo può essere lo spunto prezioso per noi, per vivere al meglio la settimana che ci sta davanti: lasciar germogliare in noi la riconoscenza per tutti gli infiniti doni che il Padre Buono ci ha fatto. Proviamo, in questa settimana, a non dare nulla per scontato: il dono di svegliarci al mattino, vivi e sani; la possibilità di andare a scuola e imparare; avere intorno amici e compagni, adulti che ci vogliono bene e si prendono cura di noi; il buon cibo per nutrirci, indumenti morbidi, comodi, puliti, caldi, per sentirci a nostro agio; una casa in cui tornare, dove ritrovare gli oggetti che ci sono cari. Gustiamo con riconoscenza in questa settimana la straordinaria realtà di avere ciascuno due occhi che ammirano il mondo, che scoprono sempre qualcosa di nuovo, che si divertono, che si stupiscono, che si rallegrano...
Facciamo in modo che la riconoscenza che abbiamo nel cuore la percepisca anche chi sta intorno a noi: questo sarà inevitabile, sapete?, perché non si può essere riconoscenti con i musi lunghi o le facce tristi. Il nostro sorriso luminoso dirà a tutti che abbiamo il cuore pieno di riconoscenza!

Commento a cura di Daniela De Simeis