Omelia (02-11-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Cambiare prospettiva e guardare come Dio Immediatamente dopo aver celebrato sommamente coloro che per noi intercedono dal Cielo incutendoci amore e sequela continua di Cristo, la Chiesa ci invita a raccoglierci attorno a coloro che ci hanno preceduti (o stanno per precederci) nella gloria divina. Oggi è la giornata degli omaggi floreali nei nostri cimiteri che pulluleranno come non mai di fedeli che sosteranno giustamente davanti ai sepolcri in preghiera raccolta. Ma sebbene noi si insista sempre sulla realtà della vita eterna, questa sarà per molti la giornata delle lacrime e dello sconforto. "Esiste un'altra vita?"; " C'è davvero un altro mondo o un Paradiso nel quale sono attese le anime dei nostri cari defunti?" Di queste e altre domande ricorrenti veniamo interpellati noi pastori tutte le volte che ci si presenta la triste occasione di un lutto improvviso che colpisce specialmente una persona umile e innocente, devota e ben disposta verso gli altri. In queste circostanze non è rara la possibilità che si smarrisca l'orientamento, la serenità e il dolore minacci anche che non si coltivi più la fiducia e la speranza, e c'è anche chi ha abbandonato per questo la preghiera e la vita sacramentale. Parecchie volte mi è capitato di conferire con delle persone che hanno tralasciato la Messa domenicale, la confessione e la preghiera perché straziate dal dolore della perdita del marito, della nuora o del figlio generosissimi, entusiasti nello zelo, capaci di amore di rispetto e di donazione e la giustificazione è sempre stata la stessa: "Come può un Dio così misericordioso e benevolo consentire che persone così miti e generose muoiano repentinamente senza una ragione plausibile, mentre i malvagi e i reprobi continuano a vivere e ad affermarsi nelle loro scelleratezze?". "Perché Dio non rivela la sua giustizia laddove è necessario che essa si manifesti?" In effetti sono domande alle quali non sempre si è in grado di rispondere esaustivamente nonostante la propria fede e la preparazione teologica, perché qualsiasi soluzione rischia di urtare la sensibilità di chi ti confida la sua sofferenza; è anche umanamente comprensibile che determinati discorsi sulla vita eterna e sulla fede nel Risorto, in quei contesti specifici di dolore, non attecchiscano e anzi costituiscano in quelle circostanze come un "fastidio" perché piuttosto che apportare consolazione e pace interiore, sono in quei momenti costitutivi di una "sfida" provocatoria... In molti casi non si sa che cosa dire di consolante a una mamma che ha appena perduto il figlio adolescente stroncato da un tumore; non si sa come consolare un genitore il cui bambino appena nato è stato strappato alla vita né quali parole scegliere per apportare un po' di coraggio e di speranza a chi è colpito dalla morte di in genitore buonissimo in circostanze ridicole. Forse in questi casi - me lo sono sempre chiesto - le parole non servono a nulla e la migliore condivisione è data dal silenzio rispettoso. Quando ci si trova di fronte all'esperienza inaspettata della morte la nostra fede è seriamente messa alla prova, occorre che il tempo faccia la sua parte per il recupero della serenità e della pace dell'animo, occorre saper vincere lo sconforto e lo smarrimento e comprendere che il dolore in questi casi è il nostro compagno. Scomodo e importuno, tuttavia sempre nostro compagno. Dicevamo: è umanamente comprensibile che si rischi di vacillare nella fede all'esperienza della morte che ci coglie improvvisamente nella mancanza di un nostro caro, ed è normale che si pongano obiezioni e si sollevino anche dubbi sull'esistenza di Dio. L'uomo è sempre uomo e in quanto tale non può fuggire alla prova lancinante del dolore e della frustrazione: le lacrime sono inevitabili e legittime quando ci troviamo davanti al feretro di un caro amico o di un parente e lo sdegno è inevitabile quando si tratta di un parente a noi particolarmente caro che ha lasciato attorno a noi un vuoto incolmabile dopo aver dato esempio di abnegazione nel bene e nel servizio verso gli altri. Il punto di vista umano è uno solo con un'unica prospettiva di evidenza della morte apportatrice di sfacelo e di disperazione e il fatto che si pianga la scomparsa di un congiunto che tanto abbiamo amato e dal quale tanto amore abbiamo ricevuto indica anzi che siamo capaci di affetto, solidarietà, interazione sincera con gli altri. Come potrebbe non prevalere l'umano indiscutibilmente in circostanze tristi come queste? Come potremmo non ritenere comprensibile almeno qualche dubbio di fede sulla vita eterna in una situazione terribile come questa? E' comprensibile che il dolore in questi casi sia espressione del sentimento e che non valgano ampollosi discorsi spirituali o teologici quando si piange una persona scomparsa. Il dolore che la morte suscita è sempre il dolore proprio di chi è uomo. Un conto tuttavia è osservare Marte dalla Terra, altro è guardarlo dalla luna o da un altro asteroide ad esso più vicino. Se provassimo infatti a prescindere dalla prospettiva puramente umana per osservare la nostra realtà dal lungo da cui Dio la osserva e se ci collocassimo dal punto di vista divino scopriremmo la bellezza consolante di innumerevoli novità e tutto diventerebbe più chiaro e consolante: proprio perché Dio è Amore e misericordia infinita permette (non vuole!) la morte fisica dei giusti! Guardando la realtà dal punto di vista di Dio non possiamo che concludere che la morte, umanamente intesa, è la conseguenza della bontà infinita di Dio nei nostri confronti, che la scomparsa improvvisa dei giusti corrisponde ad un progetto d'amore indefinibile da parte del Padre i cui disegni non si possono comprendere nella limitatezza dei nostri ambiti meschini e precari di umanità e che il morire è un dono anziché una condanna. . La sintesi di quanto stiamo dicendo può essere riassunta in una frase che sentii proferire tempo fa da una signora la cui figliola di appena 12 anni era stata strappata alla vita terrena e che costituì per me la più grande lezione di Escatologia cristiana: "Dio aveva bisogno di un angelo e ha preso con sé la mia bambina.", oppure nell'insegnamento della Scrittura sapienziale: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà" L'amore di Dio ci invita insomma a superare l'angoscia e l'ansia della morte con la speranza in una vita che Dio ha riservato a coloro che Egli vuole chiamare alla comunione eterna con sé, la quale non è paragonabile alle aspettative di un mondo per nulla garantito come il nostro nel quale si è costretti a misurarsi con ingiustizie e malvagità e ogni sorta di malessere e di precarietà che sono proprie della terra ma da cui la gloria del Regno prende le distanze. Proprio perché Dio è misericordia infinita non può mai volere che i suoi giusti e fedeli soffrano le vicende di questa terra meschina e a loro riserva una dimensione del tutto differente da quella in cui noi siamo costretti ad arrabattarci. Per quanto inconcepibile, inaudito e doloroso possa essere allora il mistero della morte dal punto di vista umano, agli occhi di Dio il trapasso è l'inizio di una vita nuova invidiabile che solo Altrove si può dare e che le malvagità di questo mondo perverso non sarebbe mai in grado di garantire. Dice a proposito sempre il libro della Sapienza: "Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito. Giunto in breve tempo alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera. La sua anima fu gradita al Signore; perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio. I giusti al contrario vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e l'Altissimo ha cura di loro" (Sp 4, 10 - 14) L'equità e la coerenza del giusto sono incompatibili con il sistema di cattiveria e di ingiustizia in cui questi è costretto a vivere chiuso fra le cose di questo mondo e la ricompensa della sua fedeltà non può essere data che da una gioia immensa che solo la vita eterna può dare, ma questa certezza la si acquisisce da parte nostra solo per mezzo della fede disinvolta e fiduciosa nella Parola che ci invita a non arrenderci al dolore e alla sconfitta nella circostanza estrema del trapasso ma ci sprona a guardare a queste realtà opprimenti collocandoci dal punto di vista dal quale Dio guarda le cose. Occorre pertanto che ci sforziamo di trovare consolazione e pace nella fede in quello che il Signore promette oltre che per trovare una spiegazione al mistero del dolore e della morte anche per trovare un incoraggiamento perché la nostra vita prosegua senza interruzione nella continua speranza nel Signore che ci garantisce, lui solo,. ogni certezza. In occasione della scomparsa prematura del proprio figlio, lo scienziato Pasteur raginando fra sé concluse: "Il mio bambino che è morto, è proprio assolutamente morto? Per sempre? O fa o farà parte di una felicità viva, in cui lo potrò incontrare e vedere di nuovo il suo sorriso? Ma le promesse di Dio sono veramente così assurde?" Di fronte allo spettro della morte l'unica possibilità di spiegazione legittimante è quella della fede nella resurrezione e nella vita, ma soprattutto in un Dio amore che nella sua onnipotenza è capace di trasformare perfino l'estremo evento doloroso in un motivo di gioia soprattutto nella Resurrezione del suo Figlio Gesù Cristo, il quale, risuscitato, non muore più poiché la morte non ha più potere su di lui." (Rm 6, 9) |