Omelia (13-02-2000) |
mons. Antonio Riboldi |
Ma chi è costui? C'è continuamente negli atteggiamenti di Gesù, così come ce lo presenta l'evangelista san Marco, qualcosa che seguita a stupirci; e avrà stupito chi Lo avvicinava. Non si sottrae dall'amare l'uomo che è nella necessità, ma poi impone il silenzio: davanti all'esaltazione della gente che fermava pericolosamente la sua attenzione e speranza nel gesto della carità umana, Gesù fugge per cancellare ogni errore che si potesse compiere nella esatta interpretazione della Sua missione, che era quella di "annunciare la buona novella" del Regno di Dio perché tutti gli uomini la sentissero, l'accogliessero e vi entrassero. Così ce lo narra san Marco: "Venne da Gesù un lebbroso; lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se tu vuoi, puoi guarirmi!". Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!". Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. Ammonendolo severamente lo rimandò e gli disse: "Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro". Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a Lui da ogni parte (Mc 1, 40-45). In pochissime righe così Marco descrive una scena di vita di Gesù rimandandoci continuamente alla domanda che apre il suo Vangelo: "Ma chi è costui?". Si lascia intenerire fino alla compassione dalle condizioni di un lebbroso che chiede con grande umiltà in ginocchio di essere liberato da quella malattia che era tra l'altro insopportabile perché impediva di vivere con gli altri. Quante volte nei film sulla Bibbia abbiamo visto le scene dei lebbrosi rifugiati nelle grotte, intenti a nascondere la deturpazione che la lebbra aveva fatto nel loro corpo, devastando ogni ombra di bellezza! Non bastava inoltre guarire, ma, guariti, bisognava farsi visitare dai sacerdoti ed offrire l'offerta a Dio per la purificazione avvenuta, come se l'ira di Dio si fosse cancellata dal volto e si fosse tornati a sorridere reciprocamente. Gesù è interiormente libero, tanto da non creare barriere con nessuno, e non solo, da non fare delle leggi barriere alla carità. Si fa accostare dal lebbroso senza alcun timore, si fa commuovere da quel "se vuoi, tu puoi guarirmi". Come una sfida al suo cuore: "se vuoi, tu - gli altri no – puoi guarirmi". E Gesù accetta la sfida: "Lo voglio, guarisci... ma non raccontarlo in giro... anzi, senza neppure dire come o chi ti ha guarito, come fosse una cosa fortunata che ti è capitata, compi i riti della purificazione e rientra con gli altri". Un discorso che il lebbroso non poteva capire. Non poteva forse capire che dietro Gesù, che aveva poteri di Dio, come il guarire così all'improvviso, non c'era uno in cerca di gloria, neppure uno cui stava a cuore la sola salute del corpo. Non poteva capire che Gesù era il Cristo "il cui vero fine" (così come è) era quello di "salvare il mondo", di guarirlo dal peccato, di togliere di dosso da ogni uomo la lebbra del peccato che devasta la sua bellezza in modo tragico. Forse non sapeva, quel lebbroso, che oggi come ieri, il mondo è pieno di "lebbrosi" i cui volti sono diventati ributtanti, così ridotti dalla superbia, dal vizio, dall'impurità, dalla ricchezza, dalla truculenza. Forse non poteva capire quel lebbroso che per Gesù non era sufficiente "toccare" una piaga del corpo per fare sparire le piaghe dell'anima. Occorreva qualcosa di più: tutta la sua missione tra di noi; soprattutto la sua passione, morte e resurrezione. Lì e solo lì il suo amore per l'uomo era perfetto; li e - solo lì l'uomo poteva conoscere la sua eterna guarigione ed esultare in eterno glorificando Dio. Lì e solo lì poteva trovare una sua giustificazione tutto il dolore del mondo, la morte, la più definitiva delle separazioni (almeno fuori dalla visione pasquale). Lì e solo lì ogni ingiustizia umana, ogni discriminazione ha la sua definitiva condanna e il suo riscatto. Gesù lo sa: non porta rancore al lebbroso guarito per il fatto che, dopo la divulgazione del miracolo "lui non poteva entrare più in città". Se ne sta fuori in luoghi deserti dove non è possibile il trionfo, il prestigio, il personaggio. Il deserto è terra di santi e profeti. E quanti sentivano che Gesù vi dimorava "venivano a lui da ogni parte". Quanto c'è da imparare per noi oggi. Anzitutto questo saper aver compassione di chi in ogni modo soffre. Il nostro mondo, anche se non appare, è pieno di gente "lebbrosa" che chiede di essere amata: "se vuoi...". Dobbiamo volerlo. Il Signore non ci ha dato due braccia tanto lunghe da abbracciare tutto l'universo: ce le ha fatte piccole, ma allunghiamole felici di dove arrivano, purché si alzino e arrivino. Nell'amare, come fece Gesù, non cercando la gloria personale, ma la gioia dell'altro, scomparendo come "il chicco di grano che muore in terra perché possa far crescere lo stelo e la spiga". Quando si ama in qualche modo ci si mette in ombra perché chi è amato riceva luce. Ed infine ci deve rimanere continuamente impressa la passione di Gesù che vuole farsi conoscere per chi è da noi uomini, fino a "farci vivere di Lui". |