Omelia (01-11-2009)
Paolo Curtaz
Santi subito!

Oggi è la festa dei santi, la festa del nostro destino, della nostra chiamata.
La Chiesa in cammino, fatta di santi e di peccatori, ci invita a guardare alla verità profonda di ogni uomo: dietro ogni sguardo, dentro ognuno di noi, si nasconde un santo potenziale.
Noi crediamo che ogni uomo nasce per realizzare il sogno di Dio e che il nostro posto è insostituibile.
Il santo è colui che ha scoperto questo destino e l'ha realizzato, meglio: si è lasciato fare, ha lasciato che il Signore prendesse possesso della sua vita.
La nostra generazione è chiamata a riappropriarsi dei santi, a tirarli giù dalle nicchie della devozione in cui li abbiamo esiliati per farli diventare nostri amici e consiglieri, nostri fratelli e maestri. Coloro che hanno vissuto la totalità di Dio desiderano fortemente che anche noi sperimentiamo l'immensa gioia che essi hanno vissuto.

Il santo
La santità che celebriamo - in verità - è quella di Dio e avvicinandoci a lui ne siamo prima sedotti, poi contagiati. La Bibbia parla spesso di Dio e della sua santità, la sua perfezione d'amore, di equilibrio, di luce di pace. Lui è il Santo, il totalmente altro ma, ci rivela la Scrittura, Dio desidera fortemente condividere la sua santità con il suo popolo.
Dio ci vede già santi, vede in noi la pienezza che noi neppure osiamo immaginare, accontentandoci delle nostre mediocrità.
Scriveva un grande letterato francese: non c'è che una tristezza, quella di non essere santi. Quant'è vero!
Il santo è tutto ciò che di più bello e nobile esiste nella natura umana, in ciascuno di noi esiste la nostalgia alla santità, a ciò che siamo chiamati a diventare: ascoltiamola. Tiriamo giù dalle nicchie i fratelli santi, riportiamoli nella quotidianità della nostra vita, ascoltiamoli mentre ci suggeriscono i percorsi che ci portano verso la pienezza della felicità.
I santi non sono persone strane, uomini e donne macerati dalla penitenza, ma discepoli che hanno creduto nel sogno di Dio.
Il santo non è uno nato predestinato, uomini e donne come noi, si sono fidati e lasciati fare da Dio.
I santi non sono dei maghetti operatori di prodigi: il più grande miracolo è la loro continua conversione.
I santi non sono perfetti e impeccabili, ma hanno avuto il coraggio, che spesso noi non abbiamo, di ricominciare, dopo avere sbagliato.
I santi non sono dei solitari: dopo avere conosciuto la gloria e la bellezza di Dio, non hanno che un desiderio: quella di condividerla con noi.
Chiediamo ai santi un aiuto per il nostro cammino: Pietro ci doni la sua fede rocciosa, Francesco la sua perfetta letizia, Paolo l'ardore della fede, Teresina la semplicità dell'abbandonarsi a Dio. Così, insieme, noi quaggiù e loro che ora sono colmi, cantiamo la bellezza di Dio in questo giorno che è nostalgia di ciò che potremmo diventare, se solo ci fidessimo!

Santi subito!
E noi?
Se la santità è il modello della piena umanità, perché non porci questo obbiettivo?
Santo è chi lascia che il Signore riempia la sua vita fino a farla diventare dono per gli altri.
Festeggiare i santi significa celebrare una Storia alternativa.
La storia che studiamo sui testi scolastici, la storia che dolorosamente giunge nelle nostre case, fatta di violenza e prepotenza, non è la vera Storia. Intessuta e mischiata alla storia dei potenti, esiste una Storia diversa che Dio ha inaugurato: il suo regno.
Le Beatitudini ci ricordano con forza qual è la logica di Dio.
Logica in cui si percepisce chiaramente la diversa mentalità tra Dio e gli uomini: i beati, quelli che vivono fin d'ora la felicità, sono i miti, i pacifici, i puri, quelli che vivono con intensità e dono la propria vita, come i santi.
Questo regno che il Signore ha inaugurato e che ci ha lasciato in eredità, sta a noi, nella quotidianità, renderlo presente e operante nel nostro tempo.

Aperture
Contemplare il nostro destino, il grande progetto di bene e di salvezza che Dio ha sull'umanità ci permette di affrontare con speranza la difficile memoria dei nostri defunti. Chi ha amato e ha perso l'amore sa quanto dolore provochi la morte.
Gesù ha una buona notizia sulla morte, su questo misterioso incontro, questo appuntamento certo per ognuno.
La morte, sorella morte, è una porta attraverso cui raggiungiamo la dimensione profonda da cui proveniamo, quell'aspetto invisibile in cui crediamo, le cose che restano perché - come diceva il saggio Petit Prince - l'essenziale è invisibile agli occhi.
Siamo immortali, amici, dal momento del nostro concepimento siamo immortali e tutta la nostra vita consiste nello scoprire le regole del gioco, il tesoro nascosto, come un feto che cresce per essere poi partorito nella dimensione della pienezza.
Siamo immensamente di più di ciò che appariamo, più di ciò che pensiamo di essere.
Siamo di più: la nostra vita, per quanto realizzata, per quanto soddisfacente non potrà mai riempire il bisogno assoluto di pienezza che portiamo nel nostro intimo.

Destini
E Gesù ce lo conferma: sì, è proprio così, la tua vita continua, sboccia, fiorisce, cresce.
Per una pienezza di ricerca e di totalità se hai scoperto le regole del gioco, per una vita di dubbio e di inquietudine, se hai rifiutato con ostinazione di essere raggiunto.
Fa strano dirlo, lo so, ma l'inferno - che è l'assenza di Dio - esiste ed è l'opportunità che tutti abbiamo di respingere per sempre l'amore di Dio, è un segno di rispetto.
Certo tutti ci auguriamo che sia vuoto e Dio si svela come un cocciuto che vuole a tutti i costi la salvezza dei suoi figli.
L'eternità è già iniziata, amici, giochiamocela bene, non aspettiamo la morte, non evitiamola, ma pensiamoci con serenità per rivedere la nostra vita, per andare all'essenziale, per dare il vero e il meglio di noi stessi.
I nostri amici defunti - che affidiamo alla tenerezza di Dio - ci precedono nell'avventura di Dio.
Dio vuole la salvezza di ognuno, con ostinazione, ma ci lascia liberi, poiché amati, di rispondere a questo amore o di rifiutarlo. Preghiamo oggi, amici, perché davvero il Maestro ci doni fedeltà al suo progetto di amore.
La nostra preghiera ci mette in comunione con i nostri defunti, fanno sentire loro il nostro affetto, nell'attesa dei cieli nuovi e della terra nuova che ci aspettano.


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