Omelia (15-11-2009)
Il pane della domenica
Cosa ci sarà dopo la fine?

"Il Figlio dell'uomo riunirà i suoi eletti dai quattro venti"

Ci sarà capitato di sentire cantare (o gridare?) una canzone di qualche anno fa', con questo ritornello: "Voglio trovare un senso a questa storia / anche se questa storia un senso non ce l'ha". Con parole molto più geniali, Shakespeare faceva dire a uno dei personaggi del suo Macbeth che la storia umana è "una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla". Ma se come uomini non ci possiamo rassegnare all'assurdo, come credenti non dobbiamo dimenticare che il senso della storia ci è stato rivelato: il Signore Gesù verrà a chiudere il capitolo della nostra vicenda terrena e a inaugurare l'altro, definitivo, della vita eterna.
Quello che ci sarà alla fine e dopo la fine, dunque i credenti lo sanno, non perché siano più degli altri sapienti e intelligenti, ma perché sono i piccoli ai quali tramite suo Figlio Gesù le ha rivelato il Padre dei cieli. Vediamo però prima ciò che certamente non ci sarà alla fine.

1. Spiacenti per chi se l'aspetta, ma alla fine certamente non ci sarà la reincarnazione. Secondo questa concezione - condivisa da oltre il 21% degli europei, di cui il 23% di cattolici - alla morte dell'uomo la sua anima trasmigra e si reincarna in un altro corpo, nel quale ricomincia una nuova esistenza, e così sempre di nuovo, all'infinito. Contro questa credenza si pronuncia in termini inequivocabili la Lettera agli Ebrei: "È stabilito per gli uomini che muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio" (9,27).
Ma proviamo a domandarci: quali sono i motivi per cui non ci potrà essere la reincarnazione? Il motivo fondamentale è Gesù Cristo: come Gesù Cristo ha realizzato una volta per tutte la redenzione dell'uomo con l'evento assolutamente unico e irripetibile della sua morte in croce, così egli verrà un'altra sola volta per mettere termine alla presente, instabile situazione del mondo e inaugurarne una nuova, risolutiva. Lo afferma sempre con tono indiscutibile e decisivo la Lettera agli Ebrei: "Cristo, dopo essersi offerto una volta sola allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza" (9,28). La dottrina della reincarnazione, in definitiva, implica quella dell'autoredenzione, secondo cui ciascuno è l'unico, esclusivo responsabile della propria salvezza, che egli realizza unicamente ed esclusivamente in base alle proprie azioni. Ciò conduce alla prospettiva angosciante di una totale solitudine, come si legge in un antico testo indiano: "Terminata questa vita, non giovano né padre, né madre, né figli, né spose, né parenti: soltanto il merito permane. L'uomo nasce solo, solo muore, solo fruisce del merito, solo del demerito".
Ma qui è opportuno accennare anche alla versione "occidentale" della reincarnazione: mentre secondo l'originale versione "orientale" si tratterebbe di una pena a cui devono assoggettarsi coloro che alla loro morte non possono ancora godere della liberazione definitiva, per la prima la reincarnazione costituisce un motivo di gioia e di speranza, perché è lo strumento con cui l'anima si eleva "progredendo sempre".
Comunque la prospettiva della reincarnazione non può essere accettata dalla nostra fede perché, in sostanza, viene a negare due verità nevralgiche del cristianesimo: primo, il fatto che ogni essere umano è persona - unica, singolare, irripetibile - e ha una sola vita, nella quale si compie il suo destino eterno; secondo, il compimento di questo destino non è opera del solo uomo, ma della misteriosa e realissima collaborazione tra la grazia di Dio e la libertà umana. Non è dunque l'uomo che si salva da sé, progredendo dall'una all'altra reincarnazione: ciò è impossibile, perché da solo l'uomo non può raggiungere, per quanti sforzi faccia, la perfezione assoluta; ma è Dio che lo salva e lo rende perfetto con la sua grazia.

2. In positivo, la fede cristiana ci dice che la fine sarà un... inizio senza fine: Cristo verrà per l'ultima volta "con grande potenza e gloria". La sua manifestazione sarà il traguardo di ogni esistenza umana e di tutta la storia: egli darà senso a tutto e chiarirà il senso di tutto. Cristo verrà come "giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio" (At 10,42): allora crollerà lo scenario falso e spietato di questo mondo, apparirà Cristo come il vero Vincitore nella lotta tra il bene e il male, e tutti "saremo giudicati sull'amore" (s. Giovanni della Croce).
"Ciascuno raccoglierà quello che ha seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna" (Gal 6,7-8). L'egoismo causa la morte; la carità genera la vita.
E così "saremo sempre con il Signore" (1Ts 4,17), in piena armonia con Dio, con gli altri, con noi stessi: nella gioia perfetta si acquieterà finalmente il desiderio sconfinato del nostro cuore ora sempre inquieto, spesso ripiegato sull'effimero, ma pur sempre spalancato sull'infinito. Allora sarà la fine: una festa senza fine, il giorno senza tramonto. Questa fede è tutt'altro che alienante: "l'attesa delle ultime cose implica l'impegno per le penultime" (Bonhoeffer). La salvezza nella storia e oltre la storia fonda l'originalità dell'atteggiamento cristiano nei confronti delle realtà terrene.
Rispetto al non credente, il cristiano ha motivi ancora più forti per impegnarsi nel costruire la "civiltà dell'amore": "Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in serio pericolo la propria salvezza eterna" (GS 43). Attendere con speranza e fiducia significa rimboccarsi le maniche per l'azione. "Il cristiano è sempre come seduto sul bordo estremo della sua sedia. Seduto su quello che dispone di un appoggio sicuro: la speranza. All'estremo bordo della sedia, perché è pronto ad alzarsi e a pagare di persona" (G. Danneels). Chiaro e limpido: il sofà del "mollaccione" non si addice all'arredo di casa di un cristiano doc.
Intanto, nell'attesa di nuovi cieli e nuova terra, ogni seguace di Cristo prosegue il suo pellegrinaggio verso la patria. Esorta s. Agostino: "Canta dunque come il viandante, canta e cammina, senza deviare, senza indietreggiare, senza voltarti. Qui canta nella speranza, lassù canterai nel possesso. Questo è l'alleluia della strada, quello l'alleluia della patria".
L'Eucaristia è il viatico che ci dà la sicurezza di partecipare fin da ora alla realtà della vita nuova, e "ci prepara il frutto di una eternità beata" (preghiera sulle offerte). Preghiamo perché ogni giorno attendiamo la manifestazione gloriosa del Signore: fiduciosi nella speranza, operosi nella carità.

Commento di mons. Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2008