Omelia (22-11-2009) |
Il pane della domenica |
Re di un popolo di re Tu lo dici; io sono re Un mondo nuovo, senza ingiustizie, senza violenze, senza sofferenze: chi non lo sogna? Solo Dio potrebbe realizzarlo. Ma, intanto, dov'è Dio nel nostro mondo? Dov'è il suo regno nella storia? Dove sono le tracce della sua presenza? Sono domande assillanti di credenti e non, e di noi cristiani, non meno di altri. 1. La missione di Gesù era cominciata con un messaggio stupefacente, concentrato in un annuncio solenne, in quell'esaltante grido di gioia: è scoccata l'ora del Regno di Dio! Questa è la notizia strabiliante, la buona novella, bella e lieta, che il profeta di Nazaret si sente inviato a comunicare a tutti, soprattutto ai poveri e ai malati, ai peccatori e agli esclusi. Questa è la causa per cui vive, la ferma speranza per cui si spende senza sosta e senza risparmio: Dio viene a regnare nella storia, in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Di questo intervento decisivo di Dio a favore degli ultimi, degli oppressi e smarriti di cuore, Gesù non è solo il messaggero convinto e infaticabile; è anche il protagonista appassionato e tenace, accreditato da Dio stesso: è lui il Messia promesso e atteso. Mentre lo annuncia, egli inaugura effettivamente il Regno di Dio, e avvia la liberazione integrale dell'umanità, con i segni sorprendenti della salvezza, annunciata dai profeti: "I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella" (Mt 11,5). Ma, secondo Gesù, questa nuova, sovrana presenza salvifica di Dio nella storia non ha un carattere spettacolare, non comporta il trionfo eclatante della legge mosaica, né una fulminea, travolgente rivoluzione nazionale, e neppure si accompagna a sbalorditivi, terrificanti sconvolgimenti cosmici. Il Regno di Dio viene nella vicenda umile di Gesù di Nazaret e fa corpo con la sua stessa persona: è lui il Salvatore promesso, il liberatore definitivo, ma non si impone come un trionfatore inarrestabile sulla scena di questo mondo. Non è venuto per essere servito e riverito, ma per servire e dare la propria vita per la salvezza di tutti, per la vita del mondo. È compassionevole con i peccatori, ma non compiacente con il peccato; è mite e fragile come un agnello condotto al macello; porta le colpe dell'umanità e intercede per i suoi avversari. 2. Sappiamo come la storia sia andata a finire - sulla croce! - ma poteva finire diversamente? Il progetto del Regno, perseguito da Gesù, appariva alle folle piuttosto fumoso: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Inoltre, mentre i farisei erano sempre più allarmati - perché, secondo loro, il Nazareno sovvertiva la Legge, violava il sabato e praticava la magia con la forza del demonio per traviare il popolo - sadducei e notabili erano in preda a irritazione e a crescente inquietudine per la sua contestazione inesorabile del sistema del tempio e dell'indotto commerciale ad esso collegato. Come poteva Gesù aspettarsi una sorte diversa da quella feroce persecuzione a cui fin dall'inizio dovette andare risolutamente incontro? Capiamo allora lo sbalordimento sbigottito di Pilato, pagano scettico e cinico funzionario politico, quando si vede davanti quello che gli deve essere sembrato un povero illuso, al massimo uno straccione illuminato, alquanto strano e tanto patetico! Realisticamente - avrà pensato il procuratore romano - deve trattarsi di un soggetto innocuo per l'impero di Tiberio, ma potrebbe risultare politicamente funesto per la mia carriera: come può arrogarsi un potere regale questo ennesimo pretendente messia, senza soldi e senza soldati, senza reggia e senza corte, senza trono e senza scettro, tradito dai suoi, scaricato dai capi, abbandonato da tutti? Meglio farlo fuori, e che non se ne parli più! La motivazione ufficiale della condanna capitale, secondo l'ambiguo cartiglio inchiodato sopra la croce, recitava testualmente: "Il re dei giudei" (Mc 15,26), cioè un ribelle politico. Ma l'erba non ha fatto in tempo a spuntare sulla tomba di quel re-messia sconfitto. E con lui risorto riparte la causa del Regno di Dio. Ciò che era cominciato in modo così promettente durante la vita pubblica ed era poi così miseramente finito sul Golgota all'ora nona di quel 14 di nisan, ora viene ripreso con nuova e ben più potente efficacia. Il Regno di Dio è ormai esplicitamente impersonato in Gesù: Dio esercita la sua sovranità per mezzo del suo Figlio "il principe dei re della terra". Il vangelo del Regno, annunciato da Gesù, diventa il vangelo di Gesù, il "vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio" (Mc 1,1): nasce la fede cristiana in Cristo re e Signore, e non c'è altro nome sotto il cielo in cui ci è dato di poter essere salvati. 3. Ma ora cerchiamo di sporgerci dal versante storico-teologico sull'abisso del mistero, e teniamo "lo sguardo fisso" su Gesù. Lo contempliamo mentre si presenta a Pilato come re di un regno che "non è di questo mondo". Questo non significa che Cristo sia re di un altro mondo, ma che è re in un altro modo. Insomma la contrapposizione tra la regalità di Cristo e i poteri mondani è fra due logiche di esistenza: la logica mondana poggia sull'ambizione e sulla competizione, combatte con le armi micidiali della paura, del ricatto e della manipolazione delle coscienze. La logica evangelica, invece, si nutre di umiltà e di gratuità, si fa strada con la non-violenza, si afferma silenziosamente ma efficacemente non con la verità della forza, ma con la forza della verità. Il potere umano spesso si fonda sulla prepotenza, sull'odio, sulla violenza; il regno di Cristo è un "regno di giustizia, di amore e di pace" (pref.). È nell'evento della croce che si è svelata la regalità di Cristo. Chi guarda la croce non può non vedere la sorprendente gratuità dell'amore: un amore che rimane fermo, totale, anche di fronte al rifiuto, e che appare come la conclusione di una vita spesa nella totale consegna di sé. Sul Calvario i passanti e i capi deridono quel Crocifisso di mezzo e gli lanciano la sfida: "Salva te stesso" (Mc 15,30s). Ma paradossalmente la verità di Gesù è proprio quella che in tono di scherno gli vomitano addosso i suoi avversari: "Non può salvare se stesso". Se Gesù fosse sceso dalla croce, sarebbe apparso come un re-messia come gli altri: lui invece è proprio per poter salvare gli altri che non può salvare se stesso. Così riconosce il buon ladrone, che lo supplica: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42). L'"anima" del regno di Cristo è l'amore: per questo il dominio di Cristo non ci inibisce né ci reprime; ci libera, ci promuove. Cristo è un re che non ci riduce al rango di sudditi, ma ci eleva alla sua stessa dignità: "egli ci fa regnare con lui come sacerdoti al servizio di Dio Padre" (2ª lettura). Siamo un popolo di re: dei re che a loro volta non si fanno schiavi di nessuno, ma servi di Dio e di tutti. Perché servire per amore è regnare. Commento di mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2008 |