Omelia (01-11-2009) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di don Nazzareno Marconi Il problema di Giobbe non è una domanda generale sul significato della sofferenza, ma un interrogativo molto più personale e crocifiggente: "perché soffro? Perché dovrò morire?". La risposta i suoi amici gli ripetono con insistenza è: "perché tu hai peccato". Giobbe, certo della sua innocenza non può accettare quella che sembra una risposta troppo semplicistica. Cha almeno la sua protesta d'innocenza sia tramandata ai posteri, come una lapide incisa che spinga altri a riflettere (vv. 23-24). Da parte sua la speranza non è però finita del tutto. La sua fede, anche se messa a dura prova tuttavia sussiste e non può accettare l'assenza di Dio. Giobbe si rifiuta di credere che Dio lo condannerà ingiustamente. E' certo che l'ultima parola, quella del giudizio definitivo, spetterà al suo "redentore", che si farà arbitro tra lui e i suoi accusatori e gli renderà infine giustizia. Ma quando si compirà questa promessa? Il testo antico testamentario, pur usando immagini molto truci, pensa ancora probabilmente ad una guarigione in extremis, quando ormai tutto sembra aver decretato la morte. Una fede nella resurrezione ed in una pienezza di vita eterna dopo la morte, giungerà solo dopo la predicazione di Gesù e soprattutto dopo l'esperienza dell'incontro con il Risorto. Ma nelle parole di Giobbe i cristiani hanno sempre trovato il modo migliore per esprimere la loro fede. Quello che è soprattutto significativo ed in cui l'esperienza cristiana della vita eterna può riconoscersi è che la centro di tutto ci sarà l'incontro con Dio. Giobbe potrà vederlo coi suoi occhi, incontrarlo personalmente. Giobbe ci testimonia una speranza che supera ogni ostacolo, e che rifiuta ostinatamente di vedere in Dio un tiranno. Un Dio amante dell'uomo e della vita non può limitarsi a donarci una vita finita, limitata sofferente. La vita eterna non è solo la risposta al desiderio dell'uomo, ma è anche il dono più coerente che un Dio amore ed amante della vita può farci. Un tale amore del Padre è stato non solo rivelato da Gesù, ma come Paolo annuncia ai Romani, ci è stato "provato" quando il Padre, pur essendo noi ancora peccatori, ci ha donato il Figlio che è morto per noi. Tutta la vita di Gesù è stata, fino alla sua morte ed oltre la morte, la rivelazione luminosa di quanto sia grande e generoso l'amore del Padre. Gesù lo ha ribadito a chiare lettere, ci dice infine S. Giovanni nel vangelo di oggi. La volontà di Dio che Gesù è venuto a rivelare è una volontà di salvezza che non dimentica nessuno e non vuol perdere nessuno. La speranza cristiana, che guarda oltre la morte nella certezza che la vita non è perduta ma trasformata, e che i nostri fratelli li ritroveremo nell'amore del Padre, si fonda su questo amore infinito. Il Padre non ci dà la vita per togliercela di nuovo; non ci fa godere della luce per poi ricacciarci ancora nelle tenebre. L'ultima parola non è della morte: ultimo, sulla polvere di ogni storia umana si alzerà, a manifestarne senso e valore, il Redentore. |