Omelia (08-11-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Una grande opportunità d'amore La vedovanza è per molte donne una condizione poco piacevole nella quale non sempre ci si trova a proprio agio, poiché la mancanza del coniuge, specialmente quando ci si trovi condannate all'assoluta solitudine per l'assenza dei figli, apporta sempre sconsolatezza e smarrimento e a volte anche senso di inutilità. Eppure essere vedove, se da una parte comporta tanta solitudine e tristezza, dall'altra può anche dare vita all'occasione propizia di poter essere utili agli altri. Non per niente esistono tutt'oggi non poche associazioni e gruppi ecclesiali costituiti da donne (e anche uomini) rimaste senza marito che si riuniscono per riflettere alla luce della Parola del Signore sullo stato della vedovanza e sul suo significato, adoperandosi anche non di rado nelle varie attività parrocchiali o di assistenza sociale. La vedova nella sua condizione può infatti essere testimone di fiducia e di speranza proprio nella circostanza del suo lutto, risollevare altri dall'angoscia della solitudine infondendo coraggio e dedicare parte del proprio tempo all'assistenza materiale e alle opere di carità. Non sono pochi i documenti e gli interventi magisteriali nei quali non soltanto la Chiesa guarda con estrema attenzione alle vedove valorizzando la loro condizione e rivalutandole in seno alla comunità ecclesiale, ma le riconosce anche membra attive della sua opera di evangelizzazione, soggetti indiscussi di apostolato e di ministerialità, mostrando in loro estrema fiducia e solidarietà. Nell'Antico Testamento le vedove in effetti non sono fra quei soggetti fortunati. La loro condizione è considerata reietta e abbandonata: se già era comune convinzione che la donna dovesse sottostare all'uomo sempre e in ogni caso e una moglie non potesse rivendicare diritto alcuno da parte del marito, la situazione di una povera donna rimasta priva di interazione coniugale doveva essere ancora più demoralizzante, soprattutto perché si trattava di una donna non più in grado di garantire la prosecuzione della specie. E così nella vecchia alleanza le vedove erano oggetto di scherni, soprusi e ingiustizie e la loro condizione sociale era paragonata a quella degli orfani e degli indifesi. A volte poteva avvenire che tornassero a vivere nella casa del padre (Gn 38, 11) e potevano essere oggetto di cattiverie e di raggiri anche da parte di giudici perfidi e profittatori poiché non avevano chi le difendesse. Scrive il profeta Isaia: "Difendete la causa dell'orfano e della vedova (Is 1, 13.15-17) Anche nel Nuovo Testamento la condizione della vedova lascia un po' a desiderare, se consideriamo l'esortazione di Paolo a Timoteo: "Le vedove che non abbiano compiuto sessant'anni non accettarle perché, mm appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo e si attirano cos il giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede. Inoltre, trovandosi senza far niente, imparano a girare qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose" (I Timoteo 5/11-13). Nonostante tutto questo, la Scrittura non tace di donne senza marito che venissero amate e predilette da Dio e che fossero capaci di grande inventiva, zelo e sollecitudine nell'accoglienza e nel dono di se stesse: Giuditta assume un eroismo non indifferente che sarà determinante per la vittoria del suo popolo nell'uccisione astuta di Oloferne; Noemi e Rut sono personaggi pii e coraggiosi che nonostante la loro vedovanza giungono alla soluzione dei loro problemi, in modo particolare per Rut, la moabita che troverà il consenso di Booz israelita nel risposarsi. Ed ecco ora altri due esempi classici di testimonianza e di eroismo nella condizione vedovile propostici dalla liturgia di questa domenica: il primo è quello della vedova di Zarepta, alla quale viene mandato Elia da parte del Signore per trarre ospitalità e nutrimento. Questa povera donna, nonostante le condizioni di miseria che affliggono lei e il suo fanciullo non esita a prestare ascolto alle parole di colui che poi non tarderà a riconoscere come un profeta: a differenza di qualsiasi altro che neppure aprirebbe le porte al primo venuto, ella si fida del suggerimento di Elia e questo le procurerà che vengano sfamati con l'abbondanza di cibo sia lei, sia il piccolo figliolo sia lo stesso Elia. La vedova rompe gli indugi del sospetto e dell'indifferenza e si lascia condurre dalla fede, dalla speranza e dalla carità, che già in questo racconto traspaiono anche se non ancora nella chiarezza del Nuovo Testamento: ella ha fede in un uomo mandato da Dio e non lesina nell'ospitalità e nell'accoglienza caritatevole, sperando nella sola ricompensa del Signore che non tarda ad arrivare visto che tale generosità e buon cuore le meriteranno la resurrezione del figlioletto improvvisamente deceduto (vv 17 -24). Carità e fede si intrecciano anche nell'atteggiamento della vedova evangelica di oggi, che non lesina sull'elemosina da destinare al tempio di Gerusalemme offendo tutto quello che ha a disposizione e non già il mero superfluo insignificante, solitamente donato con freddezza e superficialità da parecchi benestanti. Questa povera donna merita la lode e le attenzioni di Gesù, soprattutto per la sua carità spontanea che sorge da una fede altrettanto fondata e resa viva dalla speranza e dalla fiducia in Dio, poiché donare tutte le proprie (misere) risorse al tesoro del tempio è un atto di amore che si giustifica con la fede nel Dio d'Israele a cui il tempio è dedicato e al quale si rivolge l'intera sontuosità del culto. L'episodio di questo brano evangelico mi fa pensare non di rado a tutte quelle signore vedove, anziane e sole al mondo che pur vivendo di stenti con una pensione miserrima e ridicola non esitano mai a mettere mano alla borsetta durante le nostre funzioni religiose per deporre puntualmente la loro minuscola offerta nel cestino; come pure a tutte quelle vecchiette che collocano un numero consistente di monetine nelle fessure delle lampade votive senza dubitare minimamente che il loro denaro verrà davvero utilizzato ai fini del culto o delle opere parrocchiali o a quella signora vedova che, anni fa, rinunciò al nuovo impianto di riscaldamento della sua abitazione per garantire una consistente offerta per gli studi di noi seminaristi, anch'essa animata dalla fiducia che il suo denaro sarebbe stato speso con coscienza e responsabilità (!!): con la semplicità e la purezza di atti come questi, tante anziane signore si privano non di rado anche di quanto potrebbe essere essenziale al loro mantenimento per un atto di fede e di amore nei confronti della parrocchia, da loro ritenuta la casa del Signore. Forse raramente da parte nostra vi è la considerazione e la riconoscenza di quanti ci sostengono affrontando tutti i giorni sacrifici smisurati e sproporzionati alle loro possibilità economiche; non di rado persone come queste sono rese oggetto anche di rimproveri immeritati e ingiustificati. Il solo esempio di vedove disposte e generose sotto l'aspetto appena menzionato dovrebbe essere sufficiente a che molte donne improvvisamente prive di marito possano trovare fiducia e coraggio e non deprimersi nella scabrosa situazione della solitudine ppoiché la vedovanza è ben lungi dall'essere sinonimo di inutilità e il bene che in questo stato è possibile operare non ha confini né paragoni. Il Signore può realizzare molto attraverso la libertà e la disponibilità di tante donne allo stato vedovile il cui sforzo e il cui coraggio non verranno mai considerati cosa vana. |