Omelia (01-11-2009) |
mons. Vincenzo Paglia |
Rallegratevi ed esultate, perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli La Chiesa, davvero madre e maestra, che opera in ogni modo per spingere i suoi figli alla santità, ci viene incontro presentandoci oggi la grande schiera dei santi comuni. Potremmo dire che i santi di cui si fa oggi memoria sono la moltitudine di coloro che, come il pubblicano, hanno ammesso il loro peccato, hanno rinunciato ad accampare scuse e privilegi e si sono affidati alla misericordia di Dio (Lc 18,10-14). Non sono degli eroi, quasi dei superman della vita spirituale, da ammirare ma impossibili da imitare. Essi sono uomini e donne comuni, una moltitudine composta di discepoli di ogni tempo che hanno cercato di ascoltare il Vangelo e composta anche di persone non credenti ma di buona volontà che si sono impegnate a vivere non solo per se stesse. L'Apocalisse, che ascoltiamo nella prima lettura, schiude a Giovanni un incredibile scenario: "Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani" (7,9). Nessuno, a qualunque popolo e cultura appartenga, è escluso, purché lo voglia, dal partecipare alla vita dei santi. Quella moltitudine è composta da tutti i "figli di Dio": è la famiglia dei santi. Essi non sono gli uomini "importanti" e valorosi, ma i chiamati da Dio a far parte del suo popolo: "Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!" (l Cor 6,11). Si tratta di un popolo di deboli, di malati, di bisognosi; di gente che sta davanti a Dio non in piedi ma in ginocchio; non a fronte alta ma con il capo inchinato; non con atteggiamenti di rivendicazione, ma con le mani stese per mendicare aiuto. Si è santi, pertanto, non dopo la morte, ma già da ora, da quando cioè entriamo a far parte della familia Dei, da quando siamo "separati" (questo vuoi dire "santo") dal destino triste di questo mondo. Giovanni, nella sua prima lettera, lo dice con chiarezza: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!...Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato" (1 Gv 3,1.2). La santità è (deve essere) l'impegno decisivo della vita di ogni credente; l'orizzonte nel quale iscrivere i pensieri, le azioni, le scelte, i progetti sia personali che collettivi. La santità non è un fatto intimistico avulso dalla concretezza della vicenda umana, così come non è una parentesi della propria vita la figliolanza di Dio e l'appartenenza alla sua famiglia. Si tratta in verità di una dimensione che rivoluziona la vita degli uomini. In termini evangelici la santità è, descritta dalle beatitudini (Mt 5,1-12), da qualcuno definite acutamente "la carta costituzionale" dell'uomo del Duemila. Esse possono aiutare gli uomini a uscire dalla condizione triste in cui si trovano. La concezione della felicità evangelica, rovesciata rispetto a quella della cultura dominante, è in realtà un'indicazione preziosa. È vero che possiamo chiederci: Come si può essere felici quando si è poveri, afflitti, miti, misericordiosi? Eppure, se guardiamo più attentamente le cause dell'amarezza della vita, le scorgiamo nell'insaziabilità, nell'arroganza, nella prevaricazione, nell'indifferenza degli uomini. La via della santità non è, allora, una ‘via straordinaria; è piuttosto il cammino quotidiano di uomini e donne che cercano di vivere alla luce del Vangelo. |