Omelia (19-03-2000) |
mons. Antonio Riboldi |
Un amico per Antonio Ci sono storie del nostro tempo che, pur suscitando emozione, finiscono per essere dimenticate in fretta, come uno schizzo di fango sul vestito, scagliato magari per violenza e che si pulisce in fretta. Ma ci sono storie che sono come una ferita che non si sa come guarire. Ne porto una che voglio raccontare per aiutarci insieme a capire l'amore del Padre che si svela in Gesù Suo Figlio, "è il mio Figlio prediletto, ascoltateLo". E' venuta da me una donna con un bambino che appena nato le era stato affidato. La mamma "faceva il mestiere" e quindi non poteva tenerlo presso di se, perché la sua normale casa era una macchina. La donna lo aveva tenuto fino ai dieci anni. A quell'età il ragazzo era stato ripreso dalla vera mamma e da qui inizia la carriera di un ragazzo che si specializza in borseggi tanto da divenire uno dei più abili della sua zona. Finisce, come è ovvio, in un riformatorio e lì dentro conosce tutto quello che manca alla sua "carriera". Porta su un braccio un tatuaggio tipico dei grandi e su una gamba un altro tatuaggio che è il linguaggio caratteristico della criminalità. Ora si attende una sentenza che lo faccia rientrare nel riformatorio: .. a meno che non si riesca a trovare un'alternativa che sarebbe una famiglia "eroica" o una comunità, che lo faccia rinascere alla civiltà dell'amore cui ha diritto: un diritto che finora gli è stato negato. Si chiama Antonio, come me. Di lui, si occupò tutta la stampa nazionale, come di un caso "incredibile", ma vero, senza però saper prospettare soluzioni concrete. Soluzioni che non siano le porte chiuse di un riformatorio e neppure la via libera al crimine nei quartieri della città. Ho fissato il ragazzo per più di un'ora, cercando di scoprire negli occhi, nei tratti, una qualche linea che mi ricordasse la bellezza de1l'immagine di Cristo che gli Apostoli contemplarono sul Monte Tabor nella trasfigurazione. Incrociavo il suo sguardo che diceva solo diffidenza, furbizia, quasi a scrutare in me un possibile nemico da aggredire, una vittima dei suoi borseggi. Fissavo quel suo corpo tutto rannicchiato come se stesse prendendo la rincorsa per "fare un colpo", pronto nello stesso tempo a sparire nell'ombra da cui appariva. E' piccolo ed ha tratti che lo fanno da una parte sembrare ancora più tenero d'età; dall'altro sembra uno che si porti addosso un carico d'anni e di esperienze da gente adulta. Anche le sue parole sono prive di colori: arrivano svelte, svestite di affetto e di verità, come la lama di un coltello. Non riesco neppure a strappargli un sorriso, che alla sua età dovrebbe essere la sola cosa che esce più facile."Vuoi bene a qualcuno?" Gli domando. E non ho risposta come se "voler bene" appartenesse ad un vocabolario di altra lingua e cultura. "Hai amici che ti vogliono bene?".E mi indica con un gesto senza espressione la donna che lo ha con sé e che chiama "mamma". "Ma proprio non hai altri?". E qui la risposta diventa come un atto di fiducia: "tutti quelli del Rione... Sono tanti...". Quelli con cui condivide la sua arte di borseggiatore e con cui gode dei frutti. "Verresti un giorno a stare con me, gli chiesi alla fine, un intero giorno: mangeresti con me. "No", fu la pronta risposta; "a trovarla sì, ma a stare no". Lo accompagno alla porta, gli stringo la mano come si fa con i grandi: e lui ad un tratto torna indietro: non dice una parola; mi fissa negli occhi, ma in modo diverso, disarmato, come un fanciullo senza malizia, come a chiedere aiuto, e poi si prende le mie mani tra le sue piccole e le stringe forte. Questa volta non per fare del male, per togliere qualcosa, ma per chiedere qualcosa: che gli voglia bene. Me le sento, quelle mani ora mentre scrivo e non so come riempirle di aiuto. Per lui, ripeto, ci vuole un amore che lo faccia rinascere, fino a riscoprire la meraviglia del volto di Dio che è in ciascuno di noi. E', questo racconto, una riflessione del Vangelo di oggi: alla rovescia, se volete. Sul Monte Tabor, un monte alto, in un luogo appartato, Gesù portò Pietro, Giacomo e Giovanni, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime... "Maestro, è bello per noi stare qui" esclama l'estasiato Pietro; e noi vorremmo nella vita momenti così splendenti da poter ripetere la stessa preghiera. Era veramente sconvolgere la mente di chi Lo seguiva, questo altalenarsi di fatti ed affermazioni che uscivano dal binario delle cose quotidiane: da una parte una "trasfigurazione", ossia un rivelare ad occhi aperti, chi era veramente Gesù che seguivano: non un uomo qualunque, sia pure straordinario, ma il Figlio prediletto. Dall'altra, Gesù che parla della sua passione, fino a scandalizzare. Ma trasfigurandosi Gesù volle come fissare nella mente per sempre "chi Lui era" perché Lo seguissero anche nei momenti della sua passione, quando non ci sarebbe stato più nulla di bello in Lui e negli altri che ricordasse anche un briciolo della Sua gloria. La Quaresima che stiamo vivendo ha sicuramente questo invito: scoprire fino a che punto l'immagine di Gesù che è in noi e negli altri, è stata straziata al punto da non "ricordare" più nulla di Gesù e Gesù Crocifisso. |