Omelia (08-11-2009) |
Marco Pedron |
Tutto risplende nella luce tua Siamo nel capitolo 12 di Mc. Gesù si trova nel tempio. E Gesù guarda, osserva, quello che accade. Perché guardando si può vedere; se uno ha gli occhi aperti vede un sacco di cose. Quando si è in giro, in spiaggia, in gruppo, tra amici, quant'è meraviglioso guardare. Perché guardando, senza giudicare, si può vedere come la gente è, al di là di quello che fa o di quello che dice. La gente vede gli scribi e dice: "Ma che santi, ma che religiosi, ma che bravi!". Gesù dirà: "Falsi, ipocriti!". La gente vede una povera vedova e dice: "Che donna da poco". Gesù dirà: "Qui c'è la vita, qui c'è il tutto". E ai discepoli proprio per questo dirà: "State attenti, guardatevi bene dal non farvi ingannare dalle apparenze". "Gli scribi amano passeggiare in lunghe vesti". Al tempo di Gesù tutti portavano il tallit ma gli scribi lo portavano ampio, lungo e sontuoso. Tutti potevano notare e ammirare il loro vestito. Se portavano un vestito così voleva dire che se lo potevano permettere, voleva dire che erano di alto grado sociale. Ciò che portavano era un modo per esibire chi erano. "Ricevere saluti nelle piazze". Siccome il vestito nell'antichità determinava il grado sociale (il vestito faceva veramente il monaco, allora!) quando camminavano erano ammirati, riconosciuti, la gente comune provava un senso di sudditanza nei loro confronti. "Avere i primi seggi nelle sinagoghe". Nelle sinagoghe avevano un posto riservato, un posto d'onore, che dava le spalle all'armadio sacro e di fronte a tutta l'assemblea. "I primi posti nei banchetti". Nelle feste e nei banchetti erano a capotavola, nei posti più avanti e più vicini al festeggiato. "Divorano le case delle vedove". Ad una promettevano preghiere e sostegno spirituale che in realtà erano solo un pretesto per spillare quattrini; dall'altra, essendo gli scribi gli uomini della legge, gli avvocati del tempo, col pretesto di difendere i diritti delle vedove si facevano consegnare onorari che in realtà le spogliavano dai loro averi. (Agli scribi era proibito farsi pagare per le loro attività!) "Essi riceveranno una condanna più grave". Gesù non ha pietà per questi falsificatori della religione, per questi amanti dell'esteriorità, della vanità, dell'esibizione. Vi ricorda nessuno questa descrizione di Gesù? Ma proprio nessuno? Chi guardiamo noi? Chi ammiriamo? Chi fa alzare gli indici di ascolto televisivo? Chi ci sembra importate? Alcune attrici facendo shopping possono tranquillamente spendere 100.000 euro per un vestito (un solo vestito!!!!); poi lo esibiscono e sanno che effetto avrà. Noi le guardiamo e rimaniamo estasiati, ammirati, tant'è vero che, non potendocelo permettere, ci compriamo la fotocopia dai Cinesi di quello stesso modello. E quando c'è una biennale o un festival qualsiasi la gente si assiepa per vedere il passaggio delle star; hanno i primi posti in tutti i posti e sono ammirati (proprio quello che loro cercano) da tutti. Poi ci sono trasmissioni esilaranti e degradanti (cfr. De Filippi) dove la gente normale (normale?) si mette in mutande o fa delle prove demenziali o umilianti, perché se superate avrà la possibilità di fare un ballo, o di stare per cinque minuti mano nella mano con il suo idolo famoso. Adesso vanno di moda le riviste con tutte le news sui personaggi famosi: chi hanno visto, il nuovo amore, l'ultima crisi, il nuovo tradimento, ecc. Vedete come ci siamo caduti anche noi! Vedete come ci siamo lasciati abbagliare? In realtà, da che mondo è mondo il potere ha sempre esercitato fascino. Essere famosi è un richiamo forte per tutti. Ma poiché è solo per pochi, gli altri che non possono si limitano ad invidiare. Anche a quel tempo essere scribi era come essere una star. Chi se lo poteva permettere sapeva l'influsso che aveva sulla gente, sapeva com'era ammirato: "Beato lui! Come vorrei essere così! Che bella vita! Che personaggio importante!"; chi non se lo poteva permettere, invece, quanto avrebbe voluto essere così! Cosa poi ci sia dietro a questa vita in termini di solitudine, di malvagità, di vuoto, di lacerazione interiore non lo sa nessuno (in realtà lo sappiamo tutti ma non ce lo vogliamo dire). Un indagine psicanalitica ha valutato (per difetto) che circa il 63% delle star soffre di disturbi comportamentali di asse due, cioè disturbi patologici, dal borderline al narcisista, all'ossessivo, ecc. Pensateci! Ma com'è possibile che Angelina Jolie spenda 100.000 dollari per un vestito e si faccia mandare le foto dei figli da adottare in modo da scegliere quelli che corrispondono alle sue richieste? Ma vi rendete conto? Brad Pitt compra un gioiello per la sua compagna per qualche milione di dollari! Ma vi rendete conto? Ma com'è possibile che queste star stiano tre mesi insieme con un compagno, poi altri mesi con un altro, poi ricambiano, poi "se ne fanno un altro"? Solo con le bambole si può fare così. Quanto superficiali devono essere quei rapporti se in tre mesi ti puoi dimenticare di ciò che avvenuto prima? Chi ama lo sa benissimo: altro che tre mesi servono per lasciare andare chi si è amato! Non si può cambiare partner ogni tre mesi oppure sposarsi e dopo un anno tutto è finito. Lo si può fare solo se non c'è coinvolgimento, solo se tutto avviene a livello di superficie, senza emozioni vere, in una parola senza amore. Eppure noi li amiamo, li adoriamo, andiamo a vederli e li invidiamo. Eppure noi sogniamo e fantastichiamo di passare una notte con questo o con quella, o di avere un partner come quell'attore o quell'attrice. L'immagine "ti posso promettere questo" ha un effetto su di noi ammaliante. Per gli uomini l'immagine di un bel corpo, di un corpo provocante e sinuoso, è ipnotizzante, seduttrice. La promessa della donna è: "Guarda cosa ti posso dare" e si parla di sessualità. Nella storia dell'evoluzione una donna sessualmente attiva voleva dire discendenza. Per le donne, invece, l'immagine di un uomo potente, che abbia soldi e fascino, che abbia possibilità e mezzi, è ipnotizzante, ammaliante, seduttrice, perché la sua promessa è: "Guarda cosa ti posso dare!". E nella storia dell'evoluzione l'uomo forte poteva difendere meglio i cuccioli della donna. Ma siamo così tanto ciechi da non vedere che sotto l'immagine non c'è niente? Tragedia all'ospedale: un uomo una mattina si alza e inizia ad urlare: "Non vedo più niente, non vedo più niente, sono cieco". "Togliti gli occhiali neri", risponde l'infermiere dell'ospedale psichiatrico. Gli scribi avevano bisogno di mettersi sopra gli altri. Gli scribi erano qualcuno e avevano successo quel tempo proprio perché erano qualcuno. Nella nostra società come in quella di allora ciò che distingue l'individuo dalla folla, dalla massa, è il successo. "Ha fatto carriera; ce l'ha fatta!; è qualcuno" vuol dire che uno che ha raggiunto posti di prestigio. La nostra cultura è dominata dall'idea dello scopo, dei traguardi, dei record, del successo. Le cerimonie televisive sono tutte per decretare il migliore: il Pallone d'oro al migliore calciatore, l'Oscar al miglior film, il Telegatto al miglior presentatore, attore, pubblicità. Se sei un uomo d'affari che ha ottenuto successo o un'artista conosciuto sei invitato a pranzi, cene, ricevimenti, feste all'aperto. Ti pagano per esserci. Tu ti senti felice, ti senti importante, ti senti qualcuno perché sei chiamato di qua e di là. E la gente, che vorrebbe essere come te, ti applaude e ti ammira. Quello che conta oggi è il risultato e non le qualità personali di un individuo. Se tu vinci il Grande Fratello sei qualcuno; se tu sei un uomo vero, libero, trasparente, accogliente, non interessa a nessuno. Se tu finisci in tv allora sì che sei qualcuno, "ce l'hai fatta". Ma raggiungere il successo vuol dire elevarsi sopra la folla. A chi cerca il successo "non gliene frega niente" di essere se stesso, un individuo diverso da tutti, di svilupparsi, di crescere, di evolversi nella sua unicità. A chi cerca successo interessa solo elevarsi al di sopra della massa. Quindi gli interessa solo ingigantire e sviluppare non se stesso ma la propria immagine. Sì, sei qualcuno ma non per te solo per gli altri. Più un uomo brama il successo e di elevarsi sopra gli altri e più vi parlerà di quello che fa', delle sue imprese, del suo lavoro, di cosa ha raggiunto, e meno di sé, della sua anima e del suo profondo. Un giovane e una ragazza sono appoggiati al parapetto di una nave lussuosa. Si tengono teneramente appoggiati. Si sono appena sposati e questa crociera è la loro luna di miele. Stanno parlando del presente pieno di tenerezza e amore che appare roseo. Il giovane dice: "Il mio lavoro ha ottime prospettive e potremo presto trasferirci in una casa più grande. Fra otto o dieci anni potrò mettermi in proprio. Vedrai saremo felici". La giovane sposa continua: "Sì, e i nostri bambini potranno frequentare le scuole migliori e crescere in serenità". Si baciano e se ne vanno. Su di un salvagente, legato al parapetto si può vedere il nome della nave: Titanic! Volete far ridere Dio? Parlategli dei vostri progetti; parlategli delle vostre imprese e di quanto voi siete più bravi degli altri; parlategli di quanto successo avete e di quanto la gente vi stima e vi applaude. Uomini come gli scribi faranno di tutto per non perdere la loro immagine perché altrimenti dovrebbero fare l'amara scoperta che dietro c'è il nulla, che non c'è personalità. Sono uomini di cartapesta. Sono come un regalo confezionato meravigliosamente: carta, fiocco, nastrino, busta. E' che non c'è il regalo dentro! Per cui uomini così sono di una resistenza incredibile: non cambiano, non si mettono veramente in gioco, mai. Ma essere individui veri non vuol dire essere fuori, sopra gli altri, ma differenziarsi, essere unici. Gli scribi, come i personaggi famosi, parlavano delle loro imprese: leggevano la Torah, osservavano tutte le leggi, erano scrupolosi in tutto, pregavano più volte al giorno. Ma non c'era la Vita in loro. Essere vivi vuol dire che gli occhi sono luminosi, che i sentimenti fluiscono, che ci si ascolta con interesse, che ciò che si dice ha un senso e non è banale; che c'è spazio per sé e per l'altro, che ci sente bene a stare con queste persone; che non si ha bisogno di attaccare, né di difendersi, né di elevarsi o di umiliarsi; che si è persone vibranti e che si sa ciò che si vuole e ciò che non si vuole. Chi non può avere successo si eleva giudicando. Giudicare è un modo per abbassare gli altri, per ridurli alle proprie dimensioni. Siccome vorrei il successo ma non ne sono capace, mi elevo sopra gli altri non mettendomi sopra (non ne sono capace) ma mettendo sotto loro: li giudico. Quelle persone a cui non va mai bene niente, che trovano sempre il "pelo nell'uovo", che hanno sempre qualcosa da dire su tutto, non sono nient'altro che delle marionette. Mi sento nulla; mi fa paura essere nessuno; giudico e abbasso gli altri al mio livello e anche al di sotto: così sono qualcuno, così sono più di loro, così mi elevo sopra di loro. L'egoista (lo scriba, il narcisista) è nient'altro che uno che si preoccupa solo della propria immagine: "Cosa si dirà in paese? Cosa si dirà in giro? Cosa si pensa di me? Piaccio?". L'uomo di fede si interessa della vita. L'egoista crede nella magia dell'immagine e del buon nome; l'unica sua preoccupazione non è per sé, per sviluppare la Vita, il Dio che ha dentro ma per accrescere il suo potere e avere effetto e successo negli altri. L'uomo di fede, invece, crede in sé e nella vita dello spirito che lo abita dentro. La sua preoccupazione non è risultare gradito ma sviluppare il divino e lo spirito che lo abita. Un giorno una rana vide in un prato un magnifico bue che brucava l'erba. "Com'è maestoso", pensò. "Adesso provo a gonfiarmi: voglio diventare come lui". E così cominciò a tendere la sua pelle rugosa. "Figlioli - chiese ai ranocchi - vi sembra ora che possa battere il bue in grossezza?". "Neanche lontanamente", risposero quelli. Allora la rana, indispettita, riprese a gonfiarsi con maggior sforzo. E tanto si gonfiò che ad un certo punto scoppiò. L'egoista o vuole diventare come il bue oppure dice che il bue tutto sommato è un animale piccolo, insignificante, brutto, incapace, primitivo. L'uomo di fede vede il bue, lo saluta e si gode il suo stagno. Agli scribi Gesù dirà: "Guai a voi, Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità" (Mt 23,27-28). Ma ciò che fa imbestialire Gesù è che gli scribi erano gli esperti della Scrittura, della Bibbia, di Dio. Gesù dice: "State attenti anche agli esperti di Dio. Perché sono esperti, periti di Dio non vuol dire che lo conoscano. State attenti, abbiate gli occhi aperti. Non lasciatevi ammaliare". Gli scribi parlavano un sacco di Dio. Tu andavi da loro e loro ti dicevano come dovevi comportarti, cosa dovevi fare, ti interpretavano la volontà di Dio per te. Dio ce l'avevano sempre nella bocca ma non nel loro cuore. Lo conoscevano benissimo con la mente ma erano totalmente ignoranti nella conoscenza del cuore. Dio non era più un'esperienza, un incontro, ma diventava scienza della religione, qualcosa che si poteva imparare a memoria o applicare. Se poi pagavi avevi assicurata la benevolenza di Dio. Io posso essere sposato con te e rispettare tutte le regole formali: non ti picchio e non ti faccio mancare niente. Ti porto il caffè a letto, ti aiuto nei lavori comuni e non ho altre donne. Ma se il tuo corpo non mi attrae e non è una calamita per me; se non c'è il sentimento della forza del legame che ci unisce, più forte delle tempeste e delle difficoltà; se non sento una corrente d'amore, d'affetto per te che parte da me; se non c'è intimità d'anime, desiderio di aprirmi e di sentirti; se non c'è quello sguardo penetrante e d'amore di chi sa che condivide per una vita la stessa strada, tutto il resto a che serve? Ma se non c'è l'amore che legame è, il nostro? Tu puoi sapere tutto di Dio (vedi gli scribi) e rispettare tutte le regole formali e andare a messa tutte le domeniche e confessarti ogni mese ma se il nome di Gesù non ti fa sussultare l'anima e le sue parole non ti fanno vibrare le corde del tuo cuore; se il suo nome non ti instilla desiderio di verità e di ricerca e non ti "prende", appassiona l'anima per questa vita, a che ti serve tutto quello che sai? Questo faceva imbestialire Gesù: sapevano tutto di Dio ma non avevano Dio. E per questo Gesù definirà questi uomini religiosi come degli eretici, senza fede, vipere, falsi e ingannatori. E a tutti diceva: "State bene attenti", non fatevi ingannare. Dio non si vede da un vestito o da una talare; da quanto uno è al tempio o da quanto sa di Dio, dalla posizione o dal ruolo che occupa. Dio si vede dalla forza dell'animo, dall'amore del cuore e dalla luce degli occhi. "Non fatevi ingannare" perché gli scribi "percorrono il mare e la terra per fare anche un solo proselito e, ottenutolo, lo rendono figlio della Geenna", della perdizione (Mt 23,15). Nauseato, irritato dagli scribi, Gesù si va a sedere vicino alla cassetta delle offerte posta all'ingresso del tempio. Nel tempio vi erano tredici cassette. Dodici di queste avevano un'intenzione: per i poveri, per il culto, per il sostentamento dei sacerdoti, ecc. La tredicesima, probabilmente questa, serviva per le offerte volontarie, cioè per quelle dove non vi era un'indicazione specifica. In genere si trattava di qualche voto del benefattore: ciò rendeva necessaria una trattativa fra il sacerdote e il benefattore. Questi doveva dire quanto aveva promesso e quello stabiliva se il denaro consegnato vi corrispondeva; solo allora il denaro veniva posto nella cassetta. I ricchi parlavano ad alta voce con i sacerdoti in questa trattativa; mentre le povere donne dovendo dichiarare l'entità della somma erano soggette all'osservazione sprezzante dei sacerdoti. La vedova è esposta alla vergogna: "Tutto qua" dicevano i sacerdoti. Un mio parroco diceva: "Vedi quello; tientelo buono quello perché quello ci ha dato molto". Ma essere vedove voleva dire non avere sostentamento, né reddito: le donne non lavoravano e doveva vivere di elemosina, di carità, di quello che altri davano. Le vedove vivevano mendicando. Non avevano niente di niente se non due tre figli da nutrire e sempre affamati. E' probabile che quei due spiccioli (5-6 euro) non fossero altro che il frutto della sua giornata di elemosina. Quella donna, allora, agli occhi superficiali dona poco, anzi qualcosa che può far sorridere, un'inezia. Ma ad occhi profondi quella donna, invece, dona proprio tutto quello che ha, ma tutto di tutto. Dio non vuole mai qualcosa di noi ma tutto di noi. Dio non vuole cose da noi; vuole noi. Dio vuole stare al centro della nostra vita. Non vuole qualcosa di noi vuole tutto di noi. Dio vuole che noi, per Lui, ci mettiamo in gioco del tutto. Vuole che per Lui (che nient'altro è che per ciò che più fa bene a noi) noi cambiamo il nostro modo di pensare, di relazionarci, di amare, di vivere, di concepire la nostra fede, che diamo ordine diverso alle nostre priorità. Tu puoi dare dei soldi per i bambini che soffrono e che muoiono di fame. Molto bene. Ma prenderne uno a casa tua o sentire la sofferenza del loro cuore ti cambia la vita. Tu puoi dare un po' di tempo alla preghiera ma affidarsi a Lui, lasciare che Lui ti trasformi, ti porti dove Lui vuole e tu non vorresti, ti cambia la vita. Tu puoi offrire un po' di disponibilità per gli altri ed è buono, molto buono. Ma cambiare dentro perché gli altri si sentano più compresi da te, perché il tuo amore sia più libero e più vero oppure fare della propria un dono per la verità, per la giustizia, perché questo mio mondo sia più umano, questo ti cambia la vita. Noi spesso giochiamo con Dio ma Lui, invece, ci chiede di giocarci per Lui. Noi vogliamo che Lui ci sia nella nostra vita ma che non interferisca con le nostre scelte, che non ci sia d'intralcio ma soprattutto che non ci faccia vedere qualcosa che non vorremmo vedere e che non ci chieda di cambiare o di mettere in gioco qualcosa per cui soffriremo. Magari lo vogliamo tanto. Ma volerlo del tutto è su di un altro piano. Solamente chi si da del tutto avrà il Tutto. Se non fosse stato per lo sguardo di Gesù, nessuno mai avrebbe saputo di questa donna. Quello che per gli altri era insignificante, banale senza valore, non lo era per Lui. Tutto risplende nella luce sua! Una donna, abbandonata dal marito, ha due figli. Lei ha sofferto terribilmente quand'era bambina e tuttora i segni sono evidenti nella sua anima. Chi la guarda da fuori non può che dire: "E' isterica quella lì. Per forza che suo marito se ne è andato, ha fatto bene! Come si fa a stare insieme con una così". Ma lei, consapevole dei suoi limiti e dei suoi buchi, ci prova a vivere. Lei si dà del tutto ai suoi figli, lei cerca di amarli, cerca di non essere soffocante, cerca di lasciarli liberi. Forse quello che fa è poco, forse quello che fa non basta, ma è tutto ciò che può fare: di più non può. Tutto risplende solo nella luce Sua! C'è un uomo, un po' limitato intellettualmente che si opera in parrocchia. Le persone dicono di lui: "Ghe manca un boio" e lo trattano con ironia. Ma lui, nel suo piccolo, è disponibile, generoso, affabile. Ad un occhio distratto può far ridere ma lui si da del tutto. Di più non può. Tutto risplende solo nella luce Sua! Solo agli occhi di Dio può risaltare, risplendere, l'intensità e il dono di queste persone. Gesù non si scelse i sacerdoti, né i ricchi del tempo, né i sapienti del tempo. Gesù si scelse persone forse intellettualmente povere, a volte dure e ostinate (vedi Pietro). Gli altri maestri si saranno messi a ridere nella scelta dei discepoli del Maestro. Ma lui vedeva dentro: forse avevano poco ma quelle persone erano capaci di dare tutto il poco che avevano. Non chiederti mai quanto uno ha ma quanto ti può dare. Tutto risplende nella luce tua, Signore. Tutto risplende nella luce tua perché tu vedi oltre il poco o il tanto. Tutto risplende nella luce tua perché il mio buio può essere luce ai tuoi occhi, la mia povertà ricchezza e il mio poco un tesoro inestimabile. Il tanto di uno è nulla sotto la luce tua. E il niente di un altro è tutto sotto la luce tua. Tutto risplende nella luce tua. Pensiero della Settimana Se ti amassi e ti accettassi non avresti bisogno di apparire. |