Omelia (08-11-2009) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Padre Gianmarco Paris Dare tutta la vita Il Vangelo, che ogni domenica accogliamo per nutrire la nostra fede, non è una serie di norme e raccomandazioni, ma è la comunicazione dello sguardo di Gesù sul mondo, sull'uomo e su Dio. Quello sguardo che viene dalla prolungata intimità con Dio, che questo mondo e questo uomo li ha creati, secondo un progetto e una finalità di amore. Se è così, credere al Vangelo significa prima di tutto entrare nello sguardo di Gesù, imparare a vedere le cose dal suo punto di vista, quello stesso del creatore. In ciò consiste la salvezza, la realizzazione della nostra vita. Quella che cerchiamo con tutte le nostre forze, ma a partire da punti di vista diversi, secondo scale di valori diverse da quella che ha guidato la vita di Gesù. La pagina del vangelo di questa domenica, che conclude l'insegnamento pubblico di Gesù e precede l'ultimo discorso ai discepoli prima della passione, morte e resurrezione, ci offre quasi letteralmente il punto di vista di Gesù su due diversi tipi di persone. Sono gli ultimi insegnamenti che Gesù dà nel tempio, dopo che vari gruppi e categorie religiose del suo tempo lo avevano interrogato col pretesto di mettere alla prova la sua autorità. Dapprima, parlando a tutti, raccomanda di non seguire l'esempio degli scribi (cioè le persone che studiano e insegnano la legge, la volontà di Dio espressa nella Sacra Scrittura). Essi amano mettersi in bella mostra e essere trattati come le persone più importanti, perché conoscono la volontà di Dio. La loro vanità, agli occhi di Gesù, annulla il valore di quello che conoscono e che insegnano alla gente: persone così non hanno capito la volontà di Dio e molto meno possono insegnarla agli altri. In secondo luogo Gesù denuncia la loro mancanza di obbedienza alla legge: quelli che la conoscono, sono i primi a non obbedire. Uno degli insegnamenti frequenti della legge di Dio è la carità verso le persone più deboli e povere; le vedove erano una delle categorie più esposte alla povertà (insieme agli orfani e agli stranieri), e per questo i credenti dovevano avere verso di loro un'attenzione speciale. La prima lettura ci offre un esempio di questo insegnamento della Bibbia. Il profeta Elia chiede aiuto a una povera vedova e la soccorre nella sua povertà: la carità del profeta è nientemeno che un miracolo (forse la Bibbia vuol dire che i veri miracoli sono la carità verso chi è nel bisogno?). Tornando a Gesù, ascoltiamo la sua forte denuncia degli scribi, che non solo non aiuta i poveri, ma addirittura esplorano le vedove e al tempo stesso fanno molti atti religiosi. Sembra di ascoltare la denuncia di Isaia (capitolo 1), dove Dio si dice stanco di chi calpesta i suoi atri e non osserva il dovere della carità per i poveri. Infine Gesù annuncia il giudizio di Dio, che sarà più severo per coloro che non obbediscono alla volontà di Dio, pur conoscendola bene. La seconda scena ci mostra Gesù mentre osserva i fedeli che fanno le loro offerte nelle cassette del Tempio. I funzionari, ricevendo l'offerta, ne dicevano a voce alta il valore. In questo modo Gesù ha potuto sentire quanto davano molti ricchi, e quanto ha dato una povera vedova. Il suo sguardo va molto al di là di quello che i funzionari del tempio annunciano. Per lui il gesto di quella povera donna, passato inosservato agli occhi dei più, è di grande importanza, al punto che riunisce i discepoli per istruirli a partire da quel fatto. Confrontando l'offerta dei ricchi e della vedova, Gesù dichiara con solennità che questa ha dato più degli altri. Agli occhi di Gesù il valore dell'offerta non dipende dalla quantità materiale, ma da ciò che rappresenta per chi dona. I ricchi offrono a Dio ciò di cui non hanno bisogno per vivere; la povera donna offre tutto quello che aveva a disposizione per vivere. Il valore di questo gesto e l'insegnamento che Gesù ne trae per i discepoli non viene solo dal confronto con i ricchi, ma anche dall'accostamento con il giudizio di Gesù sugli scribi, espresso appena sopra. Il distacco totale della vedova contrasta con l'avidità degli scribi che "divorano la sua casa"; la sua umiltà contrasta con la ricerca dei primi posti; il suo alto senso del culto contrasta con l'ipocrisia di chi fa preghiere ostentate senza obbedire alla legge dell'amore. Non è un caso che Gesù richiami l'attenzione dei discepoli sul gesto di quella vedova come esempio da imitare, dopo aver avvertito le folle circa il cattivo esempio degli scribi, da non imitare. Sin dalle prime pagine del suo libro Marco sottolinea la differenza tra Gesù e gli scribi, per il tipo diverso di autorità che supporta il loro insegnamento. L'ultimo insegnamento pubblico di Gesù conferma questa differenza e rende ancora più evidente il Vangelo che Gesù annuncia. Richiamando l'attenzione dei discepoli sul gesto nascosto e insignificante della vedova Gesù vuole introdurli anche al significato della sua passione, morte e risurrezione: nel gesto della povera donna, che non dona a Dio solo qualcosa di ciò che ha, ma realmente tutto quello che ha per vivere, come segno della sua totale fiducia in Dio, lo sguardo di Gesù vede anticipata l'offerta della sua vita sulla croce: egli non dona qualcosa a Dio, ma tutto se stesso. È quanto ci sta insegnando in queste domeniche la seconda lettura, con brani della lettera agli ebrei. Oggi ci dice che Gesù si è manifestato una sola volta, nella pienezza dei tempi, per distruggere il peccato con il sacrificio di se stesso, prendendo su di sé i peccati di tutti. Il dono della vita di Gesù, fatto per amor a Dio, distrugge il peccato perché apre un cammino opposto al peccato, che è la ricerca di se stessi contro la volontà di Dio. Attraverso gli occhi e le parole di Gesù possiamo anche scoprire lo sguardo e le parole del Padre: in questo gesto di amore della vedova vede l'anticipazione della passione del Figlio, attraverso cui Dio dona a noi tutto quanto ha di più prezioso, tutta la sua vita. Mirabile scambio, nel quale Dio dona tutta la sua vita a noi affinché noi impariamo a donare tutta la nostra vita a lui. |