Omelia (02-04-2000) |
mons. Antonio Riboldi |
Un Padre con le braccia aperte Si è fatto un gran parlare in questi ultimi tempi se "perdonare" i terroristi o no. E si è scatenata, come al solito, una ridda di ipotesi, di proposte le une contrarie alle altre come sono tutte le proposte che finiscono in politica. Bisogna confessarlo: è un problema difficile; ci sono i familiari delle vittime che giustamente chiedono sia rispettata una giustizia che va riparata quando viene lesa, tanto più se 1esa con un delitto. Vi sono le esigenze di una comunità che è stata per lungo tempo travolta dal terrore di quelli che furono gli anni di piombo. E ci sono anche i doveri di clemenza che occorre favorire verso chi ha mancato, sempre che questi voglia accogliere la mano che si tende. Si fa in fretta, da parte di tutti, a imbrogliare la matassa della vita propria e altrui con gli sbagli, piccoli e grossi: è difficile, richiede tanto tempo e pazienza sbrogliare la matassa. Un terremoto impiega un minuto scarso a demolire un intero paese; ci vogliono anni, tanti anni a ricostruire poi case, città e comunità, fino a tornare nella normalità. E ogni errore o crimine non si ferma a chi lo commette, ma inevitabilmente, essendo noi "un corpo dalle molte membra", coinvolge tutti. Così come il bene di uno è beneficio di tutti. Cosa fare allora? Lasciare che la giustizia faccia il suo corso, senza offrire a chi sbaglia alcuno spiraglio per "risuscitare", cominciare da capo a vivere una vita diversa, secondo giustizia, amore e verità? 0 trovare una via perché questa resurrezione avvenga? E' un discorso che non si ferma ai terroristi, ma si allarga fino a ciascuno di noi quando sbagliamo o siamo vittime di uno sbaglio degli altri che ci sono vicini. Dobbiamo lasciare che un tossicodipendente paghi la sua scelta sbagliata o dobbiamo fargli conoscere il volto vero della vita? Dobbiamo accogliere con fiducia tra di noi un ex ladro, una ex prostituta, o dobbiamo condannarli a stare lontani dal nostro consorzio? Deve prevalere insomma il castigo o il bene della riconciliazione? Ripeto, un discorso difficile, perché riguarda tutti: a cominciare da me che sono peccatore, grande peccatore verso Dio e verso gli uomini. Che atteggiamento attendo da Dio che offendo con i miei piccoli o grandi peccati? Di condanna, di castigo o di riconciliazione? E se attendo da Dio un atteggiamento di Padre, ossia di riconciliazione, quale dovrà essere il mio poi di fronte ai fratelli? Nel Vecchio Testamento prevale quasi il senso del castigo. "Il Signore Dio – raccontano le Cronache – mandò premurosamente ed incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira di Dio raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi i suoi nemici incendiarono il tempio, demolirono le mura di Gerusalemme" (Cr 36, 14-16). "Era una collera più che giusta quella di Dio" diremmo noi forse oggi. I "delitti" erano tanti: "i capi di Giuda, i loro sacerdoti e il popolo, infatti, avevano moltiplicato le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli e contaminarono il tempio". Dio "perché amava il suo popolo, manda premurosamente e incessantemente i suoi profeti ad ammonirli". Ma essi si beffarono dei profeti, disprezzarono le loro parole e li schernirono. Abbiamo quindi la storia di un popolo che Dio amava e che non si dava alcun pensiero di accogliere tanto dono: anzi lo calpestava con ogni nefandezza. L'amore di Dio che è fedeltà, non si fa impressionare da questa incredibile "rivolta". Come un padre corregge, mostra le vie della vita, della santità, dell'alleanza. E l'uomo torna a sfidarlo, irridendo la stessa voce del Padre che corregge, richiama. Quanto è grande la pazienza di Dio! Se il popolo di allora avesse ascoltato, si fosse convertito, avrebbe certamente conosciuto la bontà del cuore di Dio che sa "mettere dietro alle spalle le nostre colpe" e ci rende bianchi come la neve. Per cui più che di castigo di Dio si può parlare di uomini che vollero perdersi, come amassero la morte più della vita, la colpa più del perdono. E Gesù proclama tale atteggiamento di Dio verso di noi peccatori in modo chiaro: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3, 14-21). Ora sappiamo come sta Dio Padre di fronte a chiunque pecca, terroristi o no, prostitute o no, criminali o no. E' atteggiamento di richiamo e di braccia aperte. Tutto è nel come accogliamo l'ammonizione che sempre e soprattutto in questo tempo Dio ci fa premurosamente ed incessantemente per mezzo dei suoi "messaggeri", oggi la sua Chiesa. Se ancora una volta beffiamo, disprezziamo l'ammonizione di Dio nei suoi profeti saremo noi stessi a condannarci nell'inferno della nostra colpa. E' questa la più grande follia del nostro tempo, che poi riversiamo sugli altri discutendo di perdono sì o no. San Paolo che aveva sperimentato questa storia di amore e di perdono, scriveva alle comunità cristiane: "lasciatevi riconciliare con Dio". Lo ripeto anch'io a voi. |