Omelia (11-10-2009)
mons. Gianfranco Poma
Gesù, rivolgendogli lo sguardo, lo amò e gli parlò

Il brano del Vangelo di Marco che oggi leggiamo è una splendida pagina che ci conduce nel cuore dell'esperienza cristiana.
Gesù riprende il cammino e "un tale", non identificato se non per il fatto che "corre" per "inginocchiarsi" davanti a lui, lo interroga, non come i Farisei che lo facevano per metterlo alla prova, ma per porgli una vera questione: "Maestro buono, che cosa farò pe ereditare la vita eterna?". Questo tale si rivolge a Gesù riconoscendolo come maestro autorevole per essere illuminato sul piano morale che normalmente interessa all'uomo per essere "giusto" davanti agli uomini e davanti a Dio, per essere ricompensato secondo i meriti acquisiti. Il problema è capire bene che cosa l'uomo debba "fare" per conquistarsi il diritto ("ereditare") di avere da Dio una vita eterna.
Gesù risponde: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non Dio solo". Quell'uomo si rivolge a Gesù come maestro autorevole ma Gesù, con estrema chiarezza, afferma che l'unico autorevole nella materia
sulla quale viene interpellato è Dio solo ("l'uno"): dal momento che si tratta di vita eterna, si deve risalire all'unico maestro di una qualità divina della vita. Con questo, Gesù comincia a sorprendere il suo interlocutore perché si apra ad orizzonti nuovi e disponga il suo cuore a vivere una esperienza che non può essere solo frutto del suo impegno nel "fare".
Appare qui tutta la raffinata pedagogia di Gesù: dopo aver orientato l'uomo verso la fonte competente in "vita eterna", gli fa prendere più chiara coscienza della questione posta. "Hai "conosciuto" i comandamenti: non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, non farai torti, onora il
padre e la madre". Gesù fa riferimento all'unico Dio che parla attraverso i comandamenti e che quest'uomo ha ascoltato. Citandoli al futuro e rivolti a un "tu", riconosce come fatto positivo l'esistenza
di un soggetto umano che si costruisce nella pratica dei comandamenti.
Gesù vede in quest'uomo che professa: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate dalla mia giovinezza", la fedeltà all'ideale di giustizia secondo la Legge. Colui che era corso ad inginocchiarsi davanti a Gesù è un uomo che si sente realizzato per la sua osservanza fedele della Legge: egli attende solo il riconoscimento e il coronamento di questo suo sentirsi pienamente realizzato ma Gesù lo sta aprendo ad una attesa nuova.
Ed ecco la novità: con una frase costruita in modo da sottolineare l'intensità del rapporto che Gesù stabilisce con il suo interlocutore, il Vangelo dice: "Ma Gesù, avvolgendo lui con il suo sguardo, amò lui e disse a lui.." Prima di riferire le sue parole, il Vangelo nota due movimenti di Gesù verso quest'uomo: il primo più visibile, lo sguardo che avvolge, il secondo più interiore, l'amore. Avvolgerlo nel suo sguardo, amarlo, parlargli, definiscono la nuova relazione di Gesù con lui. Non è più il maestro che viene interrogato per avere una risposta, è lui che prendendo l'iniziativa diventa il soggetto di una relazione che si esprime come conoscenza nuova dell'altro (lo sguardo), come considerazione dell'altro verso il quale prova stima e desiderio (amore), come dialogo che manifesta il desiderio di un incontro profondo (parola).
"Ti manca una cosa": Gesù sorprendentemente non dice nulla dei motivi che hanno attirato la sua attenzione e il suo amore, sottolinea invece che a quella persona "manca una sola cosa", lasciando capire che essa è amata non per la sua ricchezza morale o spirituale. Sottolineando la mancanza di "una" cosa, Gesù risveglia nell'uomo il desiderio di quella cosa alla quale non avrebbe mai pensato se fosse rimasto chiuso e soddisfatto di ciò che possedeva. E Gesù annuncia la sua proposta che comporta una decisione duplice: anzitutto sul piano del rapporto con l' "avere"("Va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo") e poi sul piano della relazione interpersonale ("poi vieni, segui me"). Il possesso dei "grandi beni" (v.22) e la soddisfazione che gli assicura ("ereditare") la piena osservanza della Legge, gli impedisce di percepire la mancanza della sola cosa". A Gesù importa che l'uomo si renda conto di ciò che gli manca. Per questo gli chiede anzitutto di andare dentro se stesso (va') e poi di compiere due operazioni su ciò che possiede: "venderlo" e "donarlo".
A quest'uomo, che Gesù vuol far entrare nella novità di una esistenza che con il suo sguardo e il suo amore gli fatto intuire, propone una trasformazione: con la spogliazione volontaria dai suoi averi, vuole liberarlo
dall'istinto del possesso degli oggetti e delle persone, per farlo accedere al mondo della gratuità e del dono puro. "Avrai un tesoro in cielo" significa appunto l'ingresso in un mondo invisibile e divino, dove ciò che conta non è l' "avere" ma l' "essere". E si chiarisce che cosa sia la "sola cosa" che manca: è il valore della vita, dell'"essere", che rimane nascosto quando il soggetto umano è riempito dalle "molte cose".
E poi Gesù aggiunge: "Vieni, seguimi". All'uomo ricco, pieno del suo "avere", perfetto nel "fare" richiesto dalla Legge, Gesù propone un itinerario opposto. Chi ha tutto, che cosa può guadagnare seguendo Gesù? Il "Maestro buono" è forse superiore alla Legge? Gesù ha cominciato a dire: "Dio solo è buono". A colui che conosceva i comandamenti e li osservava, Gesù ne rivela il limite. A chi era soddisfatto per la fedeltà alla Legge, fa sentire che "una sola cosa" gli manca, gli apre il cuore ad un desiderio nuovo, al bisogno di entrare in una relazione personale nuova, gli fa rinascere il gusto pieno della vita. Non basta non commettere furti, adulteri, delitti, non è sufficiente liberarsi dai beni e donarli ai poveri: certo è necessario liberarsi dall'attaccamento all' "avere" che fa morire il respiro della vita vera, ma questo è per entrare in una relazione nuova, coraggiosa, con Colui che dà il gusto della vita vera, della libertà piena, dell'Amore.
L'episodio si è aperto nel momento nel quale Gesù "si è messo in viaggio", ed è stato interrotto da quel tale
che gli è corso incontro e si è inginocchiato davanti a lui per essere gratificato: adesso il viaggio può riprendere con un amico che avrebbe tutto da guadagnare nel seguire Colui che lo ha guardato, lo ha amato e gli ha parlato.
La parola di Gesù produce in lui una tristezza che si manifesta sul suo volto e condiziona il suo cammino: è segnato ormai dalla tristezza. L'incontro con Gesù ha radicalmente messo in crisi il suo rapporto con l' "avere": adesso rientra dentro di sé con un desiderio nuovo, con un travaglio interiore che non lo abbandona più, anche se non riesce ancora ad ascoltare la Parola di chi lo ha risvegliato.
Assomiglia tanto a ciascuno di noi, che ascoltiamo la Parola di Gesù, siamo avvolti dal suo sguardo, siamo amati da Lui, e pur non riuscendo a scioglierci dalle nostre ridicole ricchezze, ogni giorno siamo stimolati a riprendere il cammino verso spazi più grandi di libertà in cui poter gustare la "sola cosa" che ci manca, dalla nostalgia che il suo sguardo e il suo amore ha posto nei nostri cuori.