Omelia (08-11-2009) |
mons. Gianfranco Poma |
La vedova, povera, ha donato tutto Il brano del Vangelo di Marco che la Liturgia della domenica XXXII del tempo ordinario ci propone è la conclusione di un lungo capitolo nel quale Gesù, ormai nel Tempio di Gerusalemme, è sottoposto ad una serie di domande da parte di diversi gruppi di persone autorevoli, farisei ed erodiani, sadducei, uno degli scribi, mandati a lui per cercare di coglierlo in fallo "nella parola", da parte di chi, nascosto nell'ombra, "ha deciso di catturarlo, ma ha paura della folla". Tutte le questioni che gli vengono poste riguardano il suo insegnamento, l' "autorità" con cui egli si pone in rapporto alle Scritture, il "libro di Mosè". L'interrogatorio si conclude con un elogio rivolto da Gesù allo scriba che gli aveva posto la domanda sul primo di tutti i comandamenti: "Vedendo che gli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: non sei lontano dal regno di Dio" e, nota l'evangelista, "nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo". Da questo momento Gesù parla di iniziativa propria, senza aspettare che lo si interroghi: è il suo modo di reagire al fatto che nessuno osi più interrogarlo. Se ciò che sconcerta maggiormente le diverse categorie di uditori di Gesù, è la sua Parola autorevole, se dopo tutte le domande che gli sono state poste nessuno osa più interrogarlo, adesso Lui stesso prende l'iniziativa e si rivolge in modo particolare agli scribi, a questi laici che avevano studiato la Legge di Mosè nelle scuole specializzate (potrebbero essere chiamati oggi "dottori in teologia") e che per questo godevano di grande stima presso il popolo: con gli scribi, a uno dei quali aveva riconosciuto di "non essere lontano dal regno di Dio", egli prende l'iniziativa di mettersi a confronto, con la loro interpretazione delle Scritture e con il loro modo personale di rapportarsi con le Scritture e con il popolo. La prima questione che egli tratta riguarda il modo degli scribi di interpretare il messianismo nelle Scritture: Gesù, in contrasto con un messianismo visto come restaurazione del regno di Davide, interpreta il messianismo come autorità magisteriale. Egli non regna, sceglie di insegnare. Dice infatti l'evangelista: "una folla numerosa lo ascoltava con gioia" e in questo contesto continua a sottolineare l'autorità e la forza del suo insegnamento. Il nostro brano inizia proprio così: "Nel suo insegnamento, Gesù diceva...". Se la folla lo ascolta con gioia è per la fiducia che egli pone nella forza della Parola, che non vuole costringere, ma provoca l'adesione profonda di chi ascolta: l'insegnamento trasforma e libera, solo se l'ascoltatore accetta nel suo cuore di lasciarsi rinnovare. "State in guardia da quegli scribi che amano circolare in ampie vesti...": con forza Gesù pronuncia queste frasi non rivolte a tutti gli scribi, ma a quelli che qui sono descritti in modo preciso. Dobbiamo sottolineare che Gesù mira, non tanto a stigmatizzare il comportamento di questi scribi, quanto piuttosto ad "insegnare" che la forza della Parola può essere compromessa da loro. L'annuncio della Parola richiede il dono totale di sé perché deve mirare ad aprire i cuori alla via di Dio e non al vantaggio dell'annunciatore. Gli scribi sono certamente persone stimate per la loro competenza: non è questo che Gesù contesta, quanto piuttosto che alcuni "amano" passeggiare in ampie vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Quello che "amano" è la visibilità, lo spettacolo, l'immagine. Nei tre spazi in cui si esprime la vita pubblica civile e religiosa, le piazze, le sinagoghe e i banchetti, essi cercano di farsi vedere e di far valere la loro posizione di superiorità: il loro comportamento è il trionfo dell'esteriorità, il primato dell'apparire, l'idolatria del personaggio, non è il servizio della Parola che anzi rischia di scomparire in questa strumentalizzazione. E c'è una seconda categoria di scribi in rapporto ai quali occorre mantenere un atteggiamento critico, è quella di coloro che "divorano" le case delle vedove usando come pretesto le lunghe preghiere. E' una strumentalizzazione grave questa da parte di chi dovrebbe in modo totalmente distaccato, annunciare la Parola: depredare donne già indifese per la loro solitudine facendo sfoggio della competenza che dovrebbe essere posta a servizio della Parola, in lunghi discorsi e ancora di più in lunghe preghiere. Gesù che aveva lodato lo scriba che aveva interpretato bene il comandamento dell'amore, adesso riprende seriamente quegli scribi che usano la Parola per mettere in vista se stessi e ancora di più se ne servono per tradire il comandamento dell'amore. E appare evidente il contrasto tra il comportamento di Gesù e questi scribi: egli non esalta se stesso, non cerca i primi posti, non vuole esaltarsi come il Messia, è il servo di una Parola la cui autorevolezza continuamente egli testimonia, come Figlio approvato dal Padre. Proprio il gesto esemplare di una vedova è oggetto di un nuovo autorevole insegnamento di Gesù: "In verità io vi dico..." Gesù è seduto nel cortile interno del Tempio dove anche le donne possono entrare: qui si trova una sala, il tesoro, dove è possibile fare offerte. Egli osserva attentamente "come la folla vi getta monete": è il luogo dove si fa un dono. In questa folla uniforme, nota immediatamente una differenza: ci sono molti ricchi che gettano molte monete e c'è un vedova povera che getta due spiccioli. Ciò che Gesù nota è il contrasto evidente: molti ricchi e una vedova povera, molte monete e due spiccioli, è la situazione che Gesù commenta. Egli non corre ad aiutare la vedova povera: chiama a sé i discepoli per dare loro la sua Parola. Vuol fare di loro i depositari del suo insegnamento nel luogo santo, perché loro diventino attori della trasmissione del suo Vangelo. "In verità io vi dico": Gesù sottolinea la solidità dell'insegnamento che vuole che essi accolgano. Questa sola persona, vedova e povera ha dato più di tutti. Gesù capovolge la scala dei valori: ciò che vale di più economicamente vale di meno sul piano del dono e su questo piano è messo a confronto il superfluo dei molti ricchi e la miseria della vedova. Lo sguardo di Gesù è rivolto allora alla persona che dona: i ricchi donano molto, ma il loro dono non cambia la loro vita anzi il risuonare delle monete gettate nel tesoro, fa crescere la loro reputazione di fronte al mondo. Non è così per la povera vedova: dona ben poco e dona discretamente, nella sua miseria. Eppure ella dona "tutto ciò che possiede", dona "tutto ciò di cui vive": dona tutta la sua vita. In confronto con il comportamento degli scribi che cercano di apparire e che spogliano le case delle vedove, impressiona la condotta di questa vedova povera che dona tutta la sua vita: Gesù riconosce il valore insuperabile del suo dono, il dono della sua vita. Ella è il simbolo dell'atteggiamento che Gesù approva più di tutto: in lei egli riconosce se stesso come apparirà nel seguito del Vangelo. Questa è la Parola che Gesù affida adesso ai suoi discepoli, perché la conservino pura e la tramandino nella storia. |