Omelia (01-11-2009)
mons. Gianfranco Poma
Gesù aprì la bocca e disse: Beati i poveri in spirito

La festa di Tutti i santi cade quest'anno di domenica: si interrompe la serie delle domeniche del tempo ordinario e la lettura del Vangelo di Marco è sostituita da una delle pagine più note del Vangelo di Matteo, quella delle "Beatitudini" (Matt.5,1-12) con cui inizia il "discorso della montagna" (Matt.5-7), la "magna charta del Regno dei cieli". Le Beatitudini sono certamente le sintesi più significativa di tutto il "lieto annuncio" di Gesù e la dichiarazione più espressiva della novità cristiana.
Il cap.5 di Matteo comincia col dirci che Gesù pronuncia il suo discorso "avendo visto le folle". Gli ultimi versetti del capitolo precedente descrivono le folle che Gesù vede: "Gesù percorreva tutta la Galilea insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano". Lo sguardo di Gesù che abbraccia folle che simbolicamente esprimono il mondo intero, l'umanità in tutta la sua fragilità fisica, psicologica, morale, toccata da malattie di ogni genere, tormentata da ogni tipo di dolore, manifesta il modo di Dio di guardare l'umanità che egli ha creato. Il cap.3 del libro dell'Esodo che narra il grande incontro di Mosè con Dio rivela come Dio guarda il suo popolo: "Ho osservato la miseria del mio popolo...ho udito il suo grido...conosco le sue sofferenze...: sono sceso per liberarlo".
"Gesù salì sul monte": certo Matteo descrive la figura di Gesù alla luce dell'esperienza di Mosè che sale sull'Oreb e sul Sinai, e si trova con Dio faccia a faccia. "Messosi a sedere, gli si accostarono i suoi discepoli": l'esperienza di Gesù, in rapporto a quella di Mosè, risulta comunque radicalmente nuova. Mosè dal dialogo con Dio, che rimane sempre il "Santo", che si rivela nelle teofanie potenti, ha ricevuto il dono della Legge da comunicare al suo popolo, perché la osservi e così possa entrare nella terra che Dio promette: il dialogo di Gesù è esperienza filiale, dal Padre non riceve una Legge per il popolo, ma il dono della vita del Padre. Per questo Gesù "siede" per stare con gli uomini e i suoi discepoli gli si avvicinano: Gesù inaugura un modo nuovo di Dio di stare con gli uomini, fatto non più di timore ma di intima comunione e di tenerezza. Ed è bellissima l'espressione del Vangelo che dice che Gesù "aprendo la sua bocca, insegnava a loro": la Parola che egli ha ascoltato dal Padre è diventata la sua, in modo così pieno che è la sua stessa vita, la sua persona. Adesso "apre la sua bocca", si apre una comunicazione vera con gli uomini, la Parola di Dio pronunciata da una bocca umana, può essere udita da orecchi umani, ha un contenuto, un timbro, una tonalità che suscita relazione, comunione. E Gesù "insegnava" ai suoi discepoli: il verbo all'imperfetto indica una azione che continua. Gesù continua ad insegnare ai suoi discepoli nel corso della storia: insegna ad entrare con Lui nell'intimità del Padre, a lasciarsi afferrare dalla Parola del Padre in modo che essa diventi vita, ad aprire la bocca perché dalla bocca dei discepoli esca la Parola del Padre ormai incarnata nella voce umana dei discepoli. Così la Parola può comunicare veramente la pienezza della passione di Dio per l'uomo: chi ascolta la parola fattasi così umana, può percepire l'intensa gioia della Parola di Dio. E Gesù dice: "Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli". Comincia così il "discorso della montagna" che qualcuno definisce "il testo più enigmatico e sconvolgente dei Vangeli": è singolare come, muovendosi nel cuore dell'ebraismo, con piena autorità, Gesù puntualizzi e interpreti le Scritture per parlare di una realtà nuova.
Le "Beatitudini" sono il cuore del "vangelo del regno" che Gesù "andava annunciando mentre guariva ogni sorta di malattie e infermità nel popolo": potremmo leggere il racconto di tutti i Vangeli per accorgerci di come tutti coloro che si avvicinavano a Gesù, se ne andavano "pieni di gioia" perché liberati dalla malattia, dal peccato, o semplicemente felici perché lui si era rivolto a loro.
Il testo delle "Beatitudini" è tutto costruito sull'Antico Testamento, in modo particolare sui Salmi, questa stupenda raccolta di preghiere nelle quali la fede, che è profonda esperienza dell'uomo che ascolta Dio che gli parla, lo guida nella storia, lo interpella, lo mette in crisi, diventa un intenso dialogo di pace, di gioia e di felicità. Non per niente il libro dei Salmi comincia proprio così: "Beato l'uomo...": felice è l'uomo che cammina in una via dritta e piana, senza pericolo, senza timore. Ma l'uomo che prega i Salmi, l'uomo che crede, sa benissimo quanto spesso la via si faccia oscura, l'esperienza umana sia drammatica. La preghiera diventa un grido: "Dal profondo a te grido, o Signore" (Sal.130) ma è sempre una certezza: "Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me". E avviandosi alla fine la preghiera diventa: "Cantate al Signore un canto nuovo... gioisca Israele nel suo creatore: il Signore ama il suo popolo". (Sal.149) La certezza che percorre tutta la Bibbia è questa: Dio ama l'umanità che egli ha creato, questa umanità fragile, debole, malata, peccatrice.
La novità che Gesù immette nelle sue Beatitudini è Lui stesso: è Lui che partecipa della debolezza umana, compatisce la fragilità e la salva amandola, non imponendole una Legge che essa non sa portare, è Lui che sperimenta la lontananza da Dio ma lascia che sia l'onnipotenza dell'Amore del Padre a colmarla e così diventa il Pastore che può guidare l'umanità nella valle oscura verso pascoli erbosi, è solo Lui, povero, svuotato di tutto ma pieno dell'Amore del Padre che può dire: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" e convincerci che è anche per noi la gioia, la felicità, la beatitudine, quando sentiamo che proprio per la nostra fragilità, di ogni tipo, la forza infinita dell'Amore del Padre è con noi. E' solo Lui il Pastore che ci guida per un cammino fatto di pianto, di mitezza, di fame e sete di giustizia, di misericordia e ci assicura che questa è l'unica via vincente perché è la via di Dio.
"Beati voi": le "Beatitudini si concludono così, rivolgendosi direttamente a noi, perché, se abbiamo il coraggio di credere, sentiamo la gioia, pure nel pianto, di essere nel mondo segno della forza sconvolgente di Dio.
Al passaggio del Mar Rosso, Myriam, la sorella di Mosè, danza; Davide danza quando la Torah entra in Gerusalemme; il libro dei Salmi termina in un incontenibile gioia fatta di musica, canto e danza (Sal.150); e noi dobbiamo lasciare sprigionare dal profondo del nostro cuore la gioia, lasciare libero sfogo al canto e alla danza perché Dio ci ama incondizionatamente.