Omelia (15-11-2009)
mons. Antonio Riboldi
Non corriamo con gli occhi bendati!

Almeno le persone responsabili, - ossia quelle che hanno sempre presenti le ragioni stesse della vita: da dove veniamo, al perché, al come e a dove siamo diretti, quando finirà questa vita, questo mondo - si rendono conto che, per fare strada alle innovazioni, alle scoperte che giovano all'economia, ormai si debba temere davvero per la fine del nostro pianeta e sia diventato urgente cambiare stile di vita, per non diventare tutti colpevoli di un vero crollo della nostra magnifica terra.
Ma l'uomo stenta a cambiare stile e mettere fine alla corsa dello sfascio.
Basti pensare agli arsenali delle bombe atomiche che, qualcuno a detto, potrebbero sbriciolare il pianete, non una ma tante volte, se scoppiassero. Pare di vivere sull'orlo di un precipizio, ma non si ha la saggezza di rimettersi in mezzo alla strada, per conservare il bene della natura e della terra. Ed è una giusta domanda quella che le persone responsabili si pongono: 'Che sarà di tutti noi e del mondo, alla fine dei tempi?'.
Il profeta Daniele così profetizza: "In quel tempo sorgerà Michele, il grande principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si sveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento: coloro che avranno indotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre" (Dan. 12, 1-3).
È bene chiederselo con insistenza, per non essere trovati impreparati: 'Cosa sarà di noi, di tutto il mondo?'. Gesù affronta il discorso dell'ultimo giorno, non come lo spezzarsi di un filo o l'oscurarsi di una speranza, ma come un cambiamento radicale che, finalmente, metterà a fuoco ciò che sulla terra si era dimenticato, la Sua e la nostra gloria in Lui, spazzando via o dando forma diversa a ciò che in questa vita deve essere solo cornice e non bene impossibile o improponibile.
Così Gesù descrive 'quel giorno', il nostro giorno:
"In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra, fino all'estremità dei cieli. Dal fico imparate questa parabola: quando già sul suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina, alle porte...In verità vi dico: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie prole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre" (Mc. 13, 24-32).
Nella mia giovinezza - e credo sia per tanti così - età dei sogni, che rischia facilmente anche di conoscere l'amarezza dei fallimenti, il Signore mi mise accanto un santo sacerdote, padre spirituale, don Clemente Rebora, divenuto noto dopo la sua conversione.
Era davvero un sacerdote che viveva con i piedi a terra, ma con la mente e il cuore sempre in Cielo, tanto che non riusciva mai a convincerti che lui fosse in questo mondo: ed invece lo era per la sua squisita carità, che lo faceva vicino a quanti avevano bisogno e soffrivano.
Lui ci spiegava la vita di ogni uomo, con semplicità. In ciascuno di noi - amava spesso ripeterci - creature plasmate dalle mani di Dio, ci sono tre grandi momenti che sono come delle porte che si aprono l'una sull'altra. Il primo momento è il giorno del Battesimo, quando ciò Dio chiama per nome a vivere la Sua vita, morendo al mondo, quasi per 'respirare Lui'.
Il secondo momento è quello della scelta di cosa fare della vita, la nostra vocazione, che è conoscere quale strada Dio ha tracciato per arrivare a Lui, facendo la Sua volontà.
Il terzo momento, il più solenne, è l'incontro definitivo con Gesù, che viene sulle nubi, circondato dagli Angeli e dai Santi.
"Non devi fallire nessuno di queste tre porte - continuava a ripetermi - perché fallirne anche una sola è davvero 'la fine del mondo', per cui cerca di vivere ogni giorno l'impegno preso nel Battesimo; vivi con gioia la vocazione, qualunque questa sia, perché Dio ha per ciascuno un piano di salvezza; resta sempre pronto e vigilante per l'incontro con Gesù, alla tua morte, e alla fine dei tempi".
Allora, giovane, mi sembravano parole belle, ma... avanzando negli anni, mi sono sempre più reso conto della grande verità che contengono.
Il Concilio ha queste altre magnifiche parole: "La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati, in Cristo, e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà compimento se non nella gloria del Cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose. Fino a che non ci saranno cieli nuovi e tenne nuove, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e sospirano la manifestazione dei figli di Dio".
Ma quanti pensano a questa realtà che ci attende? In troppi si vive come se quel 'domani' non esistesse. Ma che senso ha la vita senza questo futuro vicino a Dio? Non averlo presente è come viaggiare in un deserto, che fa tanto male. Invece vivere con il pensiero sempre presente a quel 'domani' sicuro, che ci attende, è conoscere la bellezza e la saggezza della vita.
Piace rammentare pensiero sulla morte' di Paolo VI:
"Una considerazione sulla precarietà della vita e sull'avvicinarsi inevitabile della sua fine si impone. Non è saggia la cecità davanti a tale immancabile sorte, davanti alla disastrosa rovina che porta con sé.
Vedo che la considerazione prevalente si fa estremamente personale: io chi sono? Che cosa resta di me? Dove vado? Cosa devo fare, quali sono le mie responsabilità? 'Camminate - afferma l'apostolo Giovanni - finché avete la luce'. E mi piacerebbe essere nella luce. Vi è una luce che svela la delusione di una vita fondata su beni effimeri e speranze fallaci. Vi è la luce di oscuri e ormai inefficaci rimorsi. Vi è la luce della saggezza che finalmente intravede la vanità delle cose e il valore della virtù che dovevano caratterizzare il corso della vita. Quanto a me vorrei avere finalmente una nozione sapiente del mondo e della vita: e penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in riconoscenza: tutto era dono; tutto era grazia; e come era bello il panorama attraverso questa luce: il panorama attraverso il quale si è passati deve apparire segno e invito" (Paolo VI).
Chi di noi, quel giorno finale, non vorrebbe essere nell'elenco dei chiamati, come Gesù afferma nel Vangelo: 'Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra, fino all'estremità del cielo?'
Per chi ha fede avere il pensiero quotidiano verso un domani sicuro, oltre la morte, è la vera saggezza della vita, aiuta a fare scelte giuste, ma soprattutto riempie di quella speranza che va oltre tutto.
Sapere che questa vita altro non è che la prova per il nostro ingresso nel Cielo, dà quella serenità che è il respiro dell'anima.
Vengono in mente le parole di Paolo ai Filippesi:
"Fratelli, per me, vivere è Gesù e morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero cosa debbo scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio, dall'altra parte è più necessario per voi che io rimanga nella carne" (Fil. 1, 21-25).
Facciamo nostre le riflessioni di don Tonino Bello:
"Tutta la visione cristiana è centrata sul mistero della morte di Gesù, quindi anche per noi la morte deve essere un tema abituale. Non per questi io sono un fautore del 'memento mori' (ricordati che devi morire). Lo considero terrorismo spirituale, che distrae la gente dalla gioia di vivere. Inoltre se si vive senza peccato e... senza gioia, solo per paura del Giudizio, allora non vale la pena di amare in Dio, Vale la pena invece, perché sulle arcate che gli uomini si sforzano di costruire, Dio metterà l'ultima pietra, il compimento finale. Nulla della bellezza, di cui siamo artefici sulla terra, sarà distrutto.
Non rifuggiamo la vita, dunque, ma non restiamole aggrappati. Alla morte bisogna abbandonarsi con speranza. Con la speranza cristiana della resurrezione di Cristo. È questo che induceva Montale a dire: 'Non posso pensarti dolente, dal momento che per un cristiano la morte odora già di resurrezioné. Ed è per questo che io amo, sopra tutti, un crocifisso visto nel duomo di Molfetta. Era in sacrestia, vicino ad un cartello ingiallito che diceva: 'collocazione provvisoria'. Credo che questo sia il senso della nostra vita e della nostra morte, in attesa della resurrezione" (don Tonino Bello).