Omelia (28-05-2000) |
mons. Antonio Riboldi |
Un'amicizia severa e fedele Diciamocelo sinceramente, senza pudore, con la voglia di franchezza che segue il risveglio da una malattia: prima ci siamo appropriati del diritto di fare come ci pare, in tutto, facendo del nostro egoismo l'unica legge da seguire (e nel prendere tale atteggiamento siamo stati arroganti); poi siamo divenuti giudici impietosi per gli sbagli che altri possono commettere. E oggi non sappiamo come nascondere la nostra ripugnanza per tutto il male che pare sommerga come il fango uomini, strutture, cose. Senza pensare che se siamo giunti a questo malessere, lo dobbiamo proprio al fatto che ciascuno si è fatto regola dei propri cattivi comportamenti. Quando l'uomo si fa Dio, inevitabilmente costruisce disordine e morte. Eppure anche solo ad accennare che vi è una legge divina, i comandamenti, "il patto di amicizia che Dio ha dettato dal Sinai per il suo popolo", a volte si è derisi: come se uno fosse incapace di libertà e si affidasse alla tutela di qualcosa di superato. Gesù oggi, restando nell'atmosfera della resurrezione, ci riporta il vero discorso dei comandamenti, ossia di un modo di vivere che non sia capriccio, ma risponda ad uno che ci ama e ci desidera come Lui. "Questo è il mio comandamento – afferma Gesù – che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo; dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando". E più avanti: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15, 9-17). Anzitutto Gesù ci parla di una "scelta": ossia un offrirci per primo un'amicizia, senza interesse, gratuitamente. Mi viene a volte di pensare se questo incredibile dono di essere stati "scelti" da Dio per un suo amore, come di Padre a figli, ci fa trasalire di gioia o ci lascia indifferenti. Cosa non faremmo a volte per sentirci amici di qualcuno. E se avessimo la fortuna di diventarlo, credo che tale amicizia diverrebbe un dono da farci morire di gioia. Non è forse cosi? Ebbene Gesù oggi dice a me, a voi, "voi siete miei amici"; un'amicizia provata con la sua incarnazione, passione, morte e resurrezione. Veramente ci ha voluto tanto bene da dare la vita per noi, i Suoi amici. Cosa succede quando si costruisce un'amicizia? La prima cosa che facciamo è che liberamente gettiamo alle ortiche il nostro egoismo e facciamo unico motivo della nostra vita quella dell'amico. Non c'è più un proprio gusto, ma vi è il gusto della persona che si ama; non c'è più un proprio modo di fare, ma vi è il solo modo che ti suggerisce l'amicizia. E il più grande esercizio di libertà è quello di scegliere l'amore dell'altro come sola libertà di vita. Nel momento in cui ritiriamo questa scelta, inevitabilmente usciamo dall'amicizia e rientriamo nel nostro egoismo. Dio con la sua amicizia ci ha offerto i suoi comandamenti, ossia la sua volontà, che altro non è che l'espressione concreta del Suo amore intenso, esclusivo, un po' geloso. A volte ignorantemente ci divertiamo a discutere se un comandamento di Dio può essere interpretato in un modo o in un altro, fino a che punto può adattarsi alle nostre vedute: in altre parole fino a che punto può essere trasgredito. A volte andiamo oltre: poniamo i nostri interessi, i nostri punti di vista, come fossero atti morali giusti, basta pensare "alle ragioni dell'aborto", alle "ragioni di tante disonestà". Tutto questo non ha nulla a che fare con il discorso di Gesù: "Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando". Chi ama veramente, non esita un istante, per essere fedele ai Suoi comandamenti, - in altre parole per non perdere la Sua amicizia – a dare la vita per testimoniare tale fedeltà; questo si chiama martirio. Tanto tempo fa il martirio era circoscritto nell'essere uccisi per essere fedeli alla fede in Gesù. Oggi il martirio lo si vive quotidianamente ed a volte in modo drammatico, per essere fedeli ai comandamenti dell'amico più prezioso, Gesù. E questo martirio, che a volte è nel perdono a chi ha ucciso uno dei tuoi cari; a volte nella fedeltà al vincolo matrimoniale; a volte in una maternità che si rivelerà dura e difficile; a volte nella castigatezza dei propri costumi, e via dicendo, e la prova inconfutabile di un amore perfetto che si dà a Dio. Dare la vita per Lui, come Lui l'ha data per noi. Verrebbe la voglia di augurare a tutti questo desiderio di martirio per una amicizia troppo bella e grande come quella di Gesù. Costi quello che costi. Sentirla "dentro" e come risentire le parole che un giorno Dio disse a Geremia profeta: "Figlio, sono io che ho posto nel tuo cuore questa voglia di crescere, questa sete di libertà, questo tuo coraggio di un mondo nuovo. Io sono venuto perché tu abbia la vita; io ti mando per distruggere e per ricostruire. Cammina e abbi il coraggio di rischiare" (cfr. Ger 1, 4-10). Dura questa amicizia? Può darsi; ma non la rinnegherei per tutto l'oro del mondo: è amicizia di Dio. Forse o certamente più facile l'amicizia del mondo: ma è amicizia senza amore; apparentemente proclama la tua libertà, ma nei fatti "ti usa e ti getta". Quanto più discreta e silenziosa l'amicizia di Dio. Ma anche quanto più penetrante e consolante! |