Omelia (15-11-2009) |
don Maurizio Prandi |
Imparare dagli ultimi Sembra quasi che la liturgia voglia spaventarci con le letture che abbiamo ascoltato, la prima lettura ed il vangelo in modo particolare, e parlare di linguaggio "apocalittico" qui a Cuba è (per come è fatto il cubano), come evocare davvero la fine del mondo. Partendo allora dalla consapevolezza che camminiamo non verso la fine, verso la distruzione, ma verso il fine, il compimento della nostra vita, mossi dal desiderio di Dio di rivelarsi (apocalisse = rivelazione), abbiamo provato, là dove ci raduniamo per ascoltare la parola di Dio, a cogliere i tanti semi di speranza che le letture di oggi porgono alla nostra attenzione. "Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo". Il tempo dell'angoscia era chiamato dagli ebrei il tempo del parto (d. Giuseppe Dossetti). Che bello allora, torna, a distanza di alcune settimane, sempre ascoltando la prima lettura, l'immagine del parto, della vita che nasce, germoglia. Chi si avvicina ad una donna che sta per partorire e non sa, magari non vede che cosa sta succedendo, davvero pensa che esista soltanto la parola dolore. Ma per la madre e per tutti quelli che vivono quella situazione è un tempo pieno di speranza, pur nella sofferenza. Questo mi insegna che il tempo che vivo non è semplicemente un susseguirsi di istanti, di minuti (E. Bianchi dice: un eterno presente), ma è un qualcosa di aperto, dove la promessa che ci viene incontro ci sprona a costruire il futuro. "Sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo". Abbiamo un principe, un difensore che vigila su di noi, sul popolo di Dio e già questo è di grande consolazione per noi. Leggevo in un commento che nel testo originale, al posto di sorgere e vigilare, c'è un unico verbo, il verbo stare. Michele è colui che sta al cospetto di Dio, tra Dio e il suo popolo. Mi dà questa idea, come di qualcuno che intercede e che allo stesso tempo indica Dio e sprona a raggiungerlo. Michele (Mi ka ‘el mi pare di ricordare dagli studi di ebraico), è un nome che significa: Chi è come Dio? Che bello quando incontriamo qualcuno che ci pone la stessa domanda, che bello quando incontriamo qualcuno che sempre tiene vivo in noi il desiderio di conoscere Dio, di contemplare il suo volto, di avvicinarci a Lui. "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno" La traduzione non dice tutti, ma ben sappiamo che l'idea che sempre soggiace è quella della totalità, delle moltitudini. Sempre dal Nuovo Testamento, quando nel testo greco troviamo molti, è necessario tradurre tutti. Ad esempio, in S. Paolo ai Romani: similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti (molti in greco) sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti (molti in greco) saranno costituiti giusti. Mi pare anche questo un bel segno di speranza, quello di un Dio che è per tutti, totalmente gratuito. E' il volto di Dio poi che più mi prende, mi affascina, quello per il quale un giorno ho deciso di entrare in seminario. Spero tanto che la chiesa ci pensi bene prima di cambiare le parole del canone, le parole della consacrazione durante la messa, perché l'idea di un Dio che si dona per molti e non per tutti metterebbe in crisi molti cuori, il mio, almeno, sicuramente. Forse esagero eh? ma sarebbe come dire che a causa della disobbedienza di uno solo molti sono costituiti peccatori... molti, non tutti, e quindi non tutti avrebbero la necessità di ricevere il Battesimo... "Riunirà i suoi eletti". Importante anche questo passaggio riguardo alla comunione all'interno delle nostre comunità... perché oggi ci viene indicato come un qualcosa che perfettamente si raggiungerà quando non ci è dato sapere, ma le cui basi vanno costruite oggi... riuniti, raccolti per formare un unico popolo, un'unica famiglia. Anche questo è un desiderio che dobbiamo avere nel cuore: il desiderio della pace e della riconciliazione, il desiderio che tutte le divisioni che ci sono tra noi siano cancellate, che tutte le invidie o gelosie o contrasti che avvelenano la convivenza degli uomini siano superati, e questo tanto a Cuba come in Italia. Parlavamo proprio in questi giorni con i giovani di Mordazo di quanto sia forse più facile chiedere perdono di uno sbaglio fatto, che non invece perdonare, fare dei passi verso l'altro, provare a cancellare una ferita che quasi vorremmo potesse rimanere per sempre. Non perdonare è (scrivo questo però con tutto il rispetto per chi ha ricevuto ferite profondissime) anche questo: scegliere di non sanare una ferita. "Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina". Anche qui segni di speranza, colti grazie ad un testo di P. Stefani che spiega come il fico è la pianta che, in primavera, mette le foglie per ultima; i fichi primaticci sono invece tra i primi frutti dell'anno e, in quanto tali, facevano parte dell'offerta delle primizie portata al tempio (cfr. Dt 26, 2). Qui io leggo in controluce la promessa di Gesù: gli ultimi saranno i primi. Due considerazioni molto semplici qui: 1) da un lato c'è speranza allora, per tutti coloro i quali si sentono gli ultimi, c'è speranza per tutti i poveri, i diseredati, gli ammalati, i disperati, perché anche loro hanno la loro primizia da offrire. 2) Dall'altro lato il Signore chiama la sua chiesa ad imparare dal fico: per poter portare frutto e offrirlo è necessario imparare dagli ultimi, dai poveri, dai diseredati, dai disperati. Torna quanto ci siamo detti domenica scorsa a proposito della vedova e del tesoro del tempio. "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". Un altro segno di speranza ci è sembrato questo: ci sono delle parole che non passano, non passano perché sono legate a dei volti, a delle vite e per questo sono parole concrete, incarnate in una esistenza. Per queste parole possiamo e dobbiamo ringraziare. Io sento che sono chiamato a ringraziare per tutte quelle parole delle quali pensavo di sapere il significato, ma che in modo nuovo e spero trasformante mi stanno venendo incontro nei volti e nelle vite dei cubani in questi primi tempi di "missione": povertà e dignità, attesa e speranza, accoglienza e gratitudine. Un abbraccio a tutti e un ricordo reciproco nella preghiera. maurizioprandi@obistclara.co.cu |