Omelia (22-11-2009) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di don Pino Pulcinelli * Chi ha letto il Piccolo Principe si ricorderà del primo dei pianeti che egli era andato a visitare per cercare un'occupazione e per istruirsi. Il primo era abitato da un re, vestito di porpora e d'ermellino, sedeva su un trono semplice e maestoso. Appena lo vide arrivare il re esclamò: "Ah! ecco un suddito!" E il piccolo principe si domandò: "Come può riconoscermi se non mi ha mai visto?" Il piccolo principe non sapeva che, per i re, il mondo è molto semplificato. Tutti gli uomini infatti per loro sono dei sudditi. * Anche nel vangelo di oggi si parla di re, di sudditi, di servitori... di riconoscimento mancato, e di verità. E non mancano gli equivoci. Gesù si trova davanti a Pilato: parlano la stessa lingua ma non si capiscono, Gesù dice una cosa e Pilato ne capisce un'altra; eppure il rischio è grande: se l'accusa che portano contro quell'uomo fosse vera, Pilato avrebbe davvero di che preoccuparsi: gli riferiscono infatti che quello è un pericolo pubblico, una testacalda che si è messo a capo di un gruppo di sovversivi per sostituirsi all'autorità romana, per prendere il posto di Cesare, uno che viene candidato dai suoi sostenitori ad essere il nuovo re dei giudei. Queste cose d'altra parte non erano nuove per Pilato: come procuratore romano della Giudea sapeva che quel popolo fantasticava la venuta di un re-messia che li avrebbe resi liberi inaugurando un'era nuova. * Nemmeno per Gesù era la prima volta che si sentiva attribuire il titolo di re: la prima volta era stata dopo che aveva sfamato la folla con la moltiplicazione dei pani; quale re migliore di quello che avrebbe risolto tutti i problemi materiali, senza chiedere nulla in cambio? ... "ma Gesù sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo" (Gv 6,15)... Un'altra volta era stato all'entrata in Gerusalemme: la folla lo aveva accolto festante acclamandolo re d'Israele ("osanna al figlio di Davide"; Gv 12,13): e Gesù, invece di entrare come avrebbe fatto un re sul piede di guerra, con carri e cavalli, ministri e soldati, era entrato cavalcando un'asina, con al seguito un manipolo di poveracci, per dimostrare che egli, se era un re, lo era nel senso che aveva indicato il profeta, un re mite e pacifico. Ora che si trova legato davanti a Pilato, senza nessuno che abbia combattuto per lui, processato come un malfattore, beffeggiato, vilipeso e ad un passo dal capestro, adesso sì, per la prima volta accetta quel titolo che gli si attribuisce: "Io sono re": oramai non c'è più il rischio di essere fraintesi: così com'è ridotto non c'è più nessuno che possa aspettarsi ancora qualcosa da lui. * E dice chiaramente cosa significa per lui essere re: "per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità" (per questo è re, per rendere testimonianza alla verità). E la verità a cui rende testimonianza non è una verità facile, non è una verità a poco prezzo, eppure è l'unica verità che fa l'uomo veramente libero: Se rimanete nella mia parola - aveva detto ai suoi discepoli - ...conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 12,31-32); è la libertà dei figli di Dio, quella profonda, definitiva, totale, libertà da qualsiasi dipendenza. Egli rende testimonianza alla verità, dona la verità che libera. Solo in questo senso Gesù accetta la regalità. Ma quanti allora avevano capito, quanti oggi hanno capito il suo messaggio? Gesù non è un re che vuole sudditi, che pretende un'accettazione supina dei suoi comandi, egli non si aspetta sottomissione... a Gesù non interessano degli schiavi, o peggio degli automi, che obbediscono ciecamente ai suoi voleri, non sa che farsene. Non vuole dei sudditi: non siete servi, ma vi ho chiamato amici, perché vi ho fatto conoscere le cose del Padre mio (Gv 15,15): siete amici, familiari, fratelli. * Egli vuole liberarci, ci vuole liberi, perché non c'è amore vero senza libertà: ed è l'amore che vuole. "Che cosa hai fatto?" - chiede Pilato a Gesù; il senso della risposta di Gesù è che lui ha testimoniato la verità per ridare la libertà all'uomo; e davvero lui ci conduce pazientemente su un cammino di liberazione: se fossimo sinceri fino in fondo con noi stessi, ci accorgeremmo di quanto abbiamo bisogno di questa liberazione, ci accorgeremmo di come viviamo in tanti piccoli o grandi autoinganni, di come ci raccontiamo continuamente storie per non guardare in faccia la realtà, ci nascondiamo di fronte alla verità, perché ci fa paura, perché ci costa sacrificio abbandonare le nostre almeno apparenti sicurezze, lasciare le nostre piccole e grandi schiavitù, ci costa fatica ammettere che siamo deboli e presuntuosi, ci costa sudore togliere corazze e maschere per far emergere il nostro vero volto. * È per questa ragione che lungo i secoli i cristiani hanno spesso preferito rivestire il Cristo con le vesti regali, dandogli la corona e lo scettro del comando e prostrandosi umilmente ai suoi piedi: non cercavano la verità che rende liberi, ma la tranquillità, la soddisfazione materiale, preferivano accontentarsi di una piccola felicità, di una facile consolazione; non hanno voluto la verità che rende liberi, piuttosto cercavano qualcuno che togliesse loro la fatica di pensare, di scegliere, la fatica di assumersi la proprie responsabilità: "gli uomini si sono rallegrati di essere di nuovo guidati come un gregge - dice il Grande Inquisitore, nei "Fratelli Karamazov" - si sono rallegrati che qualcuno avesse finalmente tolto dal loro cuore un dono così terribile che aveva causato loro tanto tormento" perché in fondo "non c'è mai stato nulla di più insopportabile, per l'uomo, della libertà". È sempre grande e insidiosa la tentazione di darsi un re ai piedi del quale deporre la nostra coscienza, un re che ci sollevi dalla fatica di usare bene della nostra libertà. Ma "Cristo ci ha liberati per la libertà!", dice Paolo alla comunità dei Galati (5,1), "State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù". * Gesù, al contrario del re che incontra il piccolo principe, al contrario di tutti i re e dominatori di questo mondo, non cerca la sottomissione dei suoi sudditi, ma il loro libero amore. Quando riusciremo ad accettare un re libero che ci chiama a libertà? A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen! (Ap 1,6s) |