Omelia (11-06-2000)
mons. Antonio Riboldi
Bisogna riaccendere il fuoco dell'amore

C'è una affermazione nella lettera di san Paolo ai Corinti che è di estrema importanza per la vita di ogni cristiano: "Fratelli, nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo" (1 Cor 12, 3). E subito fa seguire l'elenco dei "doni", che in questo caso prendono il nome di "carismi", che altro non sono che la potenza operatrice dello stesso Spirito nella Chiesa. "Ad ognuno" afferma "è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune... E in realtà tutti noi siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo... e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito".
La storia della Chiesa di Dio ha il suo grande momento di inizio proprio il giorno della Pentecoste. Non è una storia fatta da soli uomini: ma nasce da un progetto d'amore di Dio che crea l'uomo per comunicare a qualcuno il suo amore. E questo qualcuno, l'uomo, lo fa simile a Sé, cioè capace di ricevere nella fede la sua conoscenza e quindi capace di libertà, ossia di accoglienza gratuita e libera dell'amore: fino a diventare in Dio sorgente d'amore per gli altri. Un piano che Adamo ed Eva sconvolgono con il peccato originale e che Dio pazientemente nei tempi ricostruisce, fino alla piena realizzazione in Cristo Gesù, dato a noi per ricreare l'uomo e tutta l'umanità.
Era difficile per l'uomo, se non impossibile, entrare nella conoscenza del "pensiero e del cuore di Dio": e lo notiamo con chiarezza in tutto il racconto evangelico.
Gesù sceglie i dodici perché stiano con Lui e piano piano li fa testimoni di tutto quello che Lui dice e compie, fino alla resurrezione. In quel momento "consegna" agli Apostoli la sua opera, come se fosse Lui stesso a compierla in loro e tramite loro.
Dio conosce molto bene la debolezza e l'incapacità umana di fronte ad un compito che solo Lui può svolgere: quello di salvare gli uomini, renderli suoi figli, farli crescere nella santità fino ad entrare in piena comunione con lui. Manda lo Spirito Santo.
La Pentecoste diventa lo stacco netto tra debolezza dell'uomo e potenza dello Spirito che rende gli uomini "diversi". Lo stesso racconto della Pentecoste ci dà, come nella resurrezione, il senso di una stupenda creazione, di un possibile, certamente irreversibile mondo nuovo, il Regno di Dio fra gli uomini, che nessuno mai potrà scalfire.
"Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo, mentre il giorno di Pentecoste stava per finire. Venne all'improvviso dal cielo come un rombo, come di vento che si abbatté gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro: ed essi furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava il potere di esprimersi" (At 2, 1-11).
E gli Apostoli uscirono da quella Pentecoste "diversi", con una potenza, una sapienza che suscitava stupore, attirando alla fede moltissimi. Tutto questo con grandi persecuzioni, come se si volesse tappare la bocca allo Spirito o bloccare la strada a Dio: ma essi gioivano di poter soffrire per il nome di Gesù.
Da allora su tutta la Chiesa aleggia lo Spirito di Dio: anzi la riempie tutta, facendo di ogni giorno una Pentecoste: e rendendo ogni cristiano dimora e strumento della Sua insaziabile volontà di amare e salvare.
Proviamo a ricordare quello che è avvenuto in ciascuno di noi:
- il giorno del battesimo il celebrante ci ha segnati in fronte con il sacro crisma: ed è la prima venuta dello Spirito Santo;
- il giorno della Confermazione, quando ormai eravamo in grado di dire un "sì" libero a Dio e quindi capaci di "conformarci a Cristo nella Sua Chiesa" il vescovo ancora ha steso le sue mani sul nostro capo invocando su di noi lo Spirito Santo con i suoi doni; e lì abbiamo certamente ricevuto i "carismi" e le nostre vocazioni: ossia "il cosa fare" come strumenti docili del piano di Dio per noi e per la Chiesa. E per significare che da que1 momento eravamo entrati nel "diverso di Dio", a Lui consacrati, Suoi, il vescovo ci ha unto la fronte.
Lascio immaginare a voi cosa abbia provato il giorno della mia ordinazione episcopale quando il Cardinale Presidente mi ha versato sul capo il sacro crisma dandomi la pienezza dello Spirito e rendendomi successore degli Apostoli.
Non so come sia riuscito a sopravvivere al- l'emozione di fronte a ciò che Dio donava e ciò che si aspettava. Sopravvivere e poi vivere questa vocazione è già segno certo della presenza dello Spirito che conforta, suggerisce.
E noi cosa ci si sente in tanta "potenza dello Spirito"? Semplici strumenti nelle Sue mani: che dovrebbero sapere dire di "sì" sempre ai doni che Lui dà per gli uomini.
Verrebbe a questo punto da chiederci tutti: "che ne è dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto?". Tante incertezze nella fede, tanto buio sul cosa fare o sulla nostra vocazione, tanta indifferenza di fronte al servizio che tutti, ciascuno con i doni ricevuti, dobbiamo rendere non sono forse un segno preoccupante che la bellezza, la solennità della Pentecoste si è offuscata?
Non è urgente che torniamo a pregare: "Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore"?