Omelia (13-12-2009) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Gioisci, il Signore tuo Dio ti rinnoverà con il suo amore "Gioisci, esulta, rallegrati con tutto il cuore..." leggiamo nel passo del profeta Sofonia, e son verbi che sottolineano la gioia profonda dell'Avvento, il tempo liturgico durante il quale ripercorriamo l'attesa antica del Messia promesso, un'attesa storica, che ha attraversato secoli e generazioni, e l'attesa dei credenti per il ritorno del Cristo glorioso, il Figlio di Dio redentore, il Signore della Storia. Gioia, esultanza e senso di liberazione profonda, sono sentimenti che accompagnano l'Avvento, sentimenti strettamente legati alla fede nel dono di Dio che è Cristo, il Figlio fatto uomo per noi, e che Sofonia indica come:"Re d'Israele... il Signore in mezzo a te.."; Cristo: il Dio presente, in forma umana in mezzo agli uomini, per redimerli dal peccato e dalla condanna, che fin dalle origini gravava su di loro. Con l'avvento del Figlio di Dio nella Storia, l'uomo non ha più ragione di temere, perché non cammina più solo tra le tenebre della vita, ma ha affianco a sè il suo Salvatore: " Il Signore ha revocato la tua condanna, ci dice ancora il Profeta, ha disperso il tuo nemico....tu non vedrai più la sventura."; infatti, non ci sarà più condanna per l'uomo, ridiventato amico, anzi figlio di Dio, nel Cristo che gioisce per la nostra salvezza, come dirà un giorno ai suoi discepoli:" Ci sarà gioia nel cielo più per un peccatore che si converte, che non per noventanove giusti, che non hanno bisogno di conversione."(Lc.15,7); è Lui, il Salvatore, che ci fa nuovi con il suo amore, quell'amore infinito che, come ci dice ancora Sofonia, lo fa " gridare di gioia." Alla gioia di Dio, fa eco, nel salmo responsoriale, tratto dal profeta Isaia, la gioia dell'uomo credente:"Ecco, Dio è la mia salvezza, recita il testo; io confiderò, non avrò mai timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza."; non è un sogno fantastico, ma una profonda esperienza di vita di chi è passato dalle tenebre alla luce, dall'errore alla verità, dalla vacuità e inconsistenza di un'esitenza frivola e sciocca, ad un percoso di vita luminoso e fecondo sui passi del Cristo Redentore, unica fonte di luce, di verità e di salvezza eterna. La consapevolezza della presenza viva e costante di Dio, che in Cristo ci salva, è quella che fa dire a Paolo, il grande convertito, l'apostolo, che per il suo Signore ha affrontato tante fatiche e tanti rischi:"Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù." Su Cristo, il Figlio di Dio venuto nella carne per la nostra salvezza, morto e risorto per noi, è fondata, dunque, la gioia alla quale la liturgia, oggi, ci esorta; una gioia che non esclude la sofferenza, ma pur nell'esperienza della fatica e del dolore, resta immutata nelle profondità dell'anima, là dove è radicata la fede nel Salvatore, nel quale è riposta ogni nostra speranza, e che attendiamo con fiducia, quando tornerà nella pienezza dell sua divinità. La gioia cristiana, lo sappiamo, non è facile, come non è facile una fede adulta e forte; essa è dono di Dio in Cristo Gesù, un dono esigente, dato che al dono d'amore è necessario rispondere con un altro dono d'amore. Con quale dono, dunque, risponederemo a Padre che ha messo nelle nostre mani il Figlio? E' nel passo del Vangelo di Luca che, oggi, per bocca di Giovanni Battista, troviamo la risposta:"In quel tempo, recita il testo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: "Che cosa dobbiamo fare?". Rispondeva: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto". All'amore del Dio che salva nel Figlio fatto uomo per noi, non possaimo che rispondere con gesti di giustizia e di carità operosa verso il prossimo, il quale è l'immagine concreta del Dio che non si vede, ma che si incarna in ogni povero che incontriamo sul nostro cammino; è una legge fondamentale, questa della carità, una legge, che non esime nessuna categoria di persone, come ci dice ancora il passo del vangelo di questa domenica, in cui è detto che anche i pubblicani e i soldati si rivolgevano a Giovanni con la medesima domanda: "Maestro, che dobbiamo fare?", e la risposta è la stessa per tutti, ed indica un comportamento ispirato alla giustizia e all'amore. Anche noi, in modo particolare in questo tempo di Avvento, dobbiamo ripetere la domanda, che un tempo fu rivolta al Precursore, e che oggi rivolgiamo allo stesso Signore Gesù: "Maestro, che dobbiamo fare?"; e la risposta la conosciamo bene, perché sappiamo che il Cristo, prima di concludere la sua esistenza terrena, ha lasciato ai suoi questa consegna :" Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando."(Gv.15,12-14). E questo amore è l'annuncio più chiaro e credibile che Cristo è il nostro Dio presente in mezzo a noi. sr Maria Giuseppina Pisano o.p. mrita.pisano@virgilio.it |