Omelia (13-12-2009)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)


C'è una bella immagine all'inizio del capitolo 3 dell'evangelo di Luca (di cui meditiamo un brano in questa terza domenica di Avvento): situando storicamente l'evento della robusta predicazione del Battista, l'evangelista ci ricorda che «la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto». Altre traduzioni dicono che la Parola «scese».
«Venne» o «scese», non ha importanza. Si tratta pur sempre di una personalizzazione della Parola: cioè non un balbettio astratto, che non si sa da dove venga, ma "qualcosa" (anzi Qualcuno, perché la Parola si è fatta carne) che "scende", che ti invade nel profondo, che ti suggerisce pensieri nuovi e nuovi comportamenti. Una Parola (una Persona, il Cristo!) di cui spesso facciamo di tutto per sbarazzarci, ma che invece, mentre siamo in cammino come il Battista (o come i discepoli di Emmaus ci cui ci parlerà ancora Luca nel capitolo 24 dell'evangelo), si ritrova accanto a noi per spiegarci le Scritture. E che, senza un'apparente ragione logica, ci riempie di gioia. La stessa gioia che il profeta Sofonia proclama in un tempo drammatico per Israele. E anche il nostro è un tempo drammatico. Ma non è un canto consolatorio, né un invito alla rassegnazione.
"Gioisci, figlia di Sion, esulta Israele,
e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!".

Solo questa gioia intima, profonda, densa di quella virtù che abbiamo forse perso nelle nostre esistenze, la speranza, ci aiuta a leggere nel significato più profondo la parola che ci accompagna in questa domenica.
Non è forse vero che siamo sempre tentati di leggere queste scritture in senso mondano, secondo una precomprensione che denuncia la disperazione, talvolta la violenza, insite nel nostro cuore? Non è forse vero che innalziamo barriere perché l'avvento del Signore non abbia a manifestarsi, perché in esso non potremmo esimerci dalla conversione? E non è forse vero che troppo spesso catturiamo Dio per fargli dire ciò che noi vogliamo?
E Paolo ai cristiani della comunità di Filippi ripete questo messaggio: "Rallegratevi nel Signore, sempre: ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino".
Se il Signore è vicino a noi, anche la sua Parola "scende" su di noi. Per illuminarci. Per far tacere le sterili polemiche e i pessimismi radicali.
Ma questa parola, per essere accolta, ha bisogno dell'azione di molti buldozer nel nostro cuore.
Bella, anche se appare datata come linguaggio, la traduzione del Diodati del brano di Isaia (40,3-8) proposto da Luca all'inizio del capitolo 3 del suo evangelo (Lc 3,4-6).
«Vi è una voce d'uno che grida: Acconciate nel deserto la via del Signore, addrizzate per la solitudine la strada dell'Iddio nostro.
Ogni valle sia alzata, ed ogni monte e colle sia abbassato; e sieno i luoghi distorti raddrizzati, e i luoghi erti ridotti in pianura.
E la gloria del Signore si manifesterà, ed ogni carne la vedrà; perciocché la bocca del Signore ha parlato.
Vi è una voce che dice: Grida. Ed è stato detto: Che griderò? Grida che ogni carne è fieno, e che tutto il bene ch'ella fa è come un fiore della campagna.
Il fieno si secca, il fiore si appassa; ma la parola di Dio dimora in eterno» (La Sacra Bibbia,
trad. di G. Diodati, Londra 1864).
Grida...!
È il grido degli innamorati che - non importa a quale età della vita - scoprono l'altro, rinunciando a catturarne il mistero, in un incontro che mai potrà essere tiepido.
È il grido di chi s'accende per qualcosa che ritiene più importante della sua stessa vita
È il grido di chi, in nome di un ideale, non accetta i compromessi, né il moralismo minimalista che si trasforma in quelle cosiddette "buone azioni" che non costano nulla.
È il grido di chi sa che tra violenza e non violenza assoluta non esistono gradi intermedi, come ci ha insegnato il Cristo appeso alla croce.
È il grido di chi sa che Gesù è venuto a portare il fuoco del rinnovamento interiore, non qualche scintilla di buon senso.
È il grido del Battista che a chi gli chiede «Che cosa dobbiamo fare?», rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto».
È il grido dei profeti, mandati a morte, o emarginati perché le loro parole tacciano.
È il grido di don Primo Mazzolari che in testata di "Adesso", la rivista da lui fondata, fece scrivere "E adesso chi non ha una spada, venda il mantello e ne comperi una" (Lc 22,36)... Non certo per incitare alla violenza, lui, un non violento per vocazione, ma per dire che Gesù non è venuto a portare i compromessi, i biechi equilibrismi, le posizioni mediane, la paura di esporsi troppo, ma è venuto a portare il fuoco.
È il grido di chi scopre che la parola del Signore "scende" su di noi solo nel deserto, il deserto delle nostre inquietudini e forse dei nostri tradimenti, e scende quando abbiamo spianato il nostro cuore, e abbiamo fatto piazza pulita di tutte le nostre sicurezze. E che allora può ripetere con Isaia: «mia forza e mio canto è il Signore» (12,2).
Allora: come coppia e come famiglia che cosa dobbiamo fare? Immergerci anche noi nel fuoco dell'evangelo, e senza paura lasciarci invadere dalla Parola del Signore. Ma una cosa è certa: non sappiamo dove essa ci porterà!

Traccia per la revisione di vita
• Nel mondo in cui viviamo trasmettiamo gioia o disperazione?
• Il nostro atteggiamento di fidanzati o di sposi trasmette gioia di vivere o stanchezza?
• Che cosa significa per noi la coerenza? Che cosa significa vivere la radicalità dell'evangelo?
• La nostra Chiesa, la nostra comunità cristiana, conserva ancora quel cuore umile e povero per saper sorridere ed evangelizzare la gioia?

Commento a cura di Anna e Luigi Ghia