Omelia (22-11-2009)
don Marco Pratesi
Il suo regno non avrà fine

Per comprendere la visione del Figlio dell'uomo occorre tenere presenti le visioni precedenti. Il veggente infatti ha prima veduto una sequenza di quattro mostri provenienti dal mare (simbolo del nulla demoniaco): un leone con ali d'aquila, un orso, un leopardo con quattro ali e quattro teste, una quarta bestia con denti di ferro e dieci corni (vv. 4-8). Le bestie rappresentano altrettanti imperi disumani e violenti: babilonese, medo, persiano, greco. Successivamente vede un vegliardo bianco assiso su un trono circondato di fuoco (vv. 9-10). Si opera un giudizio: la quarta bestia viene uccisa, mentre le prime tre sono rese inoffensive (vv. 11-12). A questo punto ecco la visione del Figlio dell'uomo (vv. 13-14).
È dunque chiaro il problema al quale il brano risponde: chi esercita la signoria sulla storia umana? La risposta è urgentemente sollecitata dalla situazione drammatica nella quale il popolo di Dio si trova in quel momento, intorno al 170 a. C., quando uno dei corni della quarta bestia, il re Antioco IV, bestemmia il Dio d'Israele, profana il tempio di Gerusalemme ponendovi un idolo pagano, e impone di abbandonare l'alleanza con il Dio di Abramo (cf. 11,21-45). Il potere vero tuttavia appartiene a Dio, il candido vecchio in trono. Tale potere è partecipato alla misteriosa figura del Figlio dell'uomo, che è in grado di giungere al cospetto del trono di Dio, dove riceve la signoria totale sulla storia. Totale sia nel senso dello spazio (è universale) che del tempo (è definitiva). Mentre gli altri regni sono soppiantati, il suo rimane (cf. 2,44; 6,26). Mentre le bestie provengono dal mare, egli viene dal cielo, dal divino. Mentre gli altri regni hanno come simbolo dei mostri, il suo è rappresentato da un uomo: regno "umano" per eccellenza, dove l'uomo non è oppresso e sfruttato ma vive, esercitando quella signoria sul mondo che il progetto creatore gli ha assegnato.
Il testo è attraversato da due dialettiche, che non è necessario né opportuno disintegrare: la dialettica divino-umano e quella uno-molti. La figura del Figlio dell'uomo è ovviamente umana, ma ha anche tratti divini. Rappresenta un popolo, come afferma la successiva spiegazione, secondo la quale si tratta del "popolo dei santi dell'Altissimo" (7,18.22.27), ossia dell'Israele fedele; ma anche un singolo, che di questo popolo è "capo", elemento centrale e determinante. L'interpretazione messianica è certamente prossima al testo, e difatti ben presto, sia nel giudaismo che nella prima chiesa, si è visto nel Figlio dell'uomo il Messia. E' noto come "Figlio dell'uomo" sia nei Vangeli il titolo con il quale di preferenza Gesù parla di se stesso, come colui che viene a instaurare il Regno di Dio. La visione del profeta Daniele si compirà quando Gesù risorto salirà sino al trono di Dio, assiso alla sua destra, dotato del suo stesso potere; e quando infine "tornerà a giudicare i vivi e i morti". Di questo "Regno che non avrà fine" (Simbolo di Nicea-Costantinopoli) gli apostoli sono divenuti testimoni e araldi (cf. CCC 664). La nostra vita non è sottoposta ad altro potere.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.