Omelia (25-06-2000)
mons. Antonio Riboldi
Un pane vivo per tutti

Bisogna prendere atto che la solennità del Corpus Domini che era un tempo, almeno esteriormente, una grande solennità, oggi, per tante ragioni, ha assunto un tono minore in molte comunità ecclesiali. Tanti pastori di anime sanno, con dolore, come è difficile mettere insieme "una decorosa processione partecipata del SS. Sacramento". "Che vuole? – mi rispondeva serenamente una volta un vigile – oggi la gente non vuole vedere le strade bloccate per una manifestazione; per chi va in macchina conta soprattutto l'arrivare ed avere le strade libere e di conseguenza diventano un peso non facile le processioni o manifestazioni di qualunque tipo". "E se doveste bloccare la strada o un quartiere perché deve arrivare un "divo" della canzone o dello spettacolo o altro che piace alla gente, trovereste le stesse difficoltà? Voglio dire, sarebbe un peso?". "In questo caso no, sarebbe un piacere anche per noi, oltre che per tutti". E' una fotografia del nostro tempo che non meriterebbe alcuna attenzione se sotto non contenesse una tremenda verità: il cristiano ha come scordato o appannato il meraviglioso sacramento dell'Eucarestia; il dono sublime che Dio fa di Sé all'uomo: questo "fare Pasqua con noi ogni giorno", non con l'agnello comune, ma con "la Sua carne e il Suo sangue". Non può che impensierire constatare come Gesù eucaristico da "centro della nostra vita cristiana" sia passato a essere un interesse marginale, di poco conto, che non genera gioia, vita e festa.
Gesù, che si fa dono nella S. Messa, deve tornare ad essere il centro della nostra vita. E' in questa continua "comunione" con Lui che noi ci formiamo alla santità, che è come dire "ci facciamo invadere e vivere dalla sua stessa vita". Questo di "farsi vivere" nell'amore è sempre il passo più difficile di ogni persona, anche sul piano umano. E' strano, siamo pronti ad accettare dagli altri qualsiasi segno di affetto, ma ci diventa difficile accettare l'amore di Dio.
San Giovanni l'Evangelista racconta molto bene questa difficoltà nel suo Vangelo. Ci descrive Gesù attento ai bisogni dell'uomo, oltre che soprattutto alla sua salvezza. E così, avendo compassione di una folla che stava "bevendo" le sue parole da giorni, chiede agli Apostoli di dare loro da mangiare. E non avendo che cinque pani e due pesci, vera espressione della povertà dell'uomo sotto ogni aspetto, Gesù prende i cinque pani e i due pesci, li benedice, rende grazie a Dio, proprio come si farà poi nella Eucarestia, e li distribuisce, sfamando tutti. Qualcosa di incredibile che anima la fantasia della gente che decide di farLo re, intravedendo così in Gesù uno che avrebbe risolto tutti i problemi di questa terra e senza sapere che il problema per Gesù era ben altro: era lo stesso che un giorno aveva indicato a Marta: "Marta, tu ti agiti per troppe cose: Maria ha scelto la parte migliore, quella che non le sarà mai tolta". Dopo, Gesù si ritira immediatamente da solo in montagna, rifiutando quella folla di cui prima aveva avuto compassione. La folla non demorde e Lo cerca. Lui si fa trovare. Ed inizia il dialogo difficile, "duro": "In verità, in verità, vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà: Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete". Qui veramente Gesù invita ad essere per Lui con una scelta radicale: Lui si farà "pane" per una vita con Lui e di Lui. E' tremendo l'impatto tra Dio che vola sopra tutte le provvisorie necessità dell'uomo, pur comprendendole ed avendo Lui stesso creato i beni per soddisfarle.
Lui va diritto a questa pienezza che non conosce più tramonto. E si offre perché lo mangiamo fino a divenire "il pane della vita". Mi ha sempre fatto impressione questa affermazione semplice, ma divina: "Dio è il pane della mia vita interiore". Provate a pensarla bene: capirete come le anime sante sono tali perché continuamente "affamate" di questo pane.
Ci sono ancora queste vite "beate". Ho detto "beate", perché tutti quanti poi avevano o hanno la fortuna di essere vicini respirano la beatitudine che sanno espandere in quello che fanno, in quelli che servono, come se ogni creatura fosse un'occasione per dire grazie a Gesù.
Ma appunto perché è la più grande rivelazione di Dio, il più grande dono fattoci, inevitabilmente diventa il più difficile da accogliere e penetrare. Successe anche allo stesso Gesù che per questo discorso si vide abbandonato da molti suoi discepoli che si tirarono indietro e non andarono più da Lui. Al punto da dire a quelli che erano rimasti: "Volete andarvene anche voi?". Pietro Gli risponde: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna". Non ci resta che interrogarci allora perché abbiamo così poca "fame di questo pane di vita", se così è. Perché la S. Messa è così scaduta nel nostro animo e forse ancora di più la S. Comunione. Per me, lo confesso, questo dono è veramente il centro e la forma della mia vita. E allora oggi è grande festa per me, tanto da non saper come dire grazie a Gesù.