Omelia (22-11-2009) |
padre Antonio Rungi |
La solennità di Cristo Re dell'universo Celebriamo oggi la XXXIV domenica del tempo ordinario, ultima domenica dell'anno liturgico, solennità di Cristo Re dell'universo. La parola di Dio ci porta nel cuore del mistero della sofferenza e dell'amore di Cristo e soprattutto al momento della sua passione, condanna a morte e all'incontro di Gesù con Pilato. Il racconto della passione come ci viene presentato dal quarto vangelo ci descrive un Gesù cosciente della sua missione, della sua regalità, del suo essere per gli altri, per difendere la verità. Anzi egli stesso è la verità. E chi è nella verità si mette dalla parte di Cristo. La regalità di Cristo è una regalità di servizio, donazione, oblazione e il suo regno segue la logica dell'amore e non del potere, della verità e non della menzogna, della bontà e non dell'odio, della giustizia e non della cattiveria e dell'egoismo. Egli offre la sua vita e la dà pienamente, fino a versare tutto il sangue per la nostra salvezza e redenzione. Non è un Re prepotente, dispotico, capace di far soffrire, ma è un Re che soffre e prende su di sé la croce e la sofferenza dell'intera umanità. Esempio di vita per tutti i cristiani, ma soprattutto per quanti occupano posti di potere, hanno una responsabilità, vivono la condizione di chi deve essere guida illuminata per gli altri. Anche il testo dell'Apocalisse, seconda lettura della solennità odierna ci immerge in questa visione di speranza e fiducia in Gesù Cristo. Egli è Colui che ci ama, che ci ha liberati dalla condizione di peccato, versando il suo sangue per noi. Spesso guardiamo a Dio come il Giudice. Gesù ci rivela il volto misericordioso del Padre e ci rassicura che è primogenito di una nuova umanità, quella redenta mediante il suo sangue e che è indirizzata verso la felicità senza limite. A questo Dio che è amore bisogna elevare l'inno di lode e di ringraziamento, la riconoscenza più piena e duratura di quanto egli ha fatto per noi. Quando verrà a giudicare i vivi è morti egli darà possibilità della conversione e del pentimento a quanti non l'hanno riconosciuto sulla terra, a quanti lo hanno crocifisso e trafitto e continuano a crocifiggerlo con i peccati. Quante cattiverie che offendono Dio e gli uomini. Quante falsità, quanto pseudo bene ed amore che diciamo di volere agli altri in una visione egoistica della nostra vita. L'usa e getta della nostra società, lo sfruttamento della bontà e della generosità, della dolcezza e della tenerezza del cuore di tanti fratelli trovano nel volto del Crocifisso, dell'Ecce Homo la chiave di lettura più autentica per questo nostro tempo e mondo, come lo fu al tempo di Cristo. Gesù che passò beneficando tutti e sanando tutti viene condannato a morte e dall'altare della croce esercita la sua signoria e la sua regalità con l'amore vero. Chi ama sa donare se stesso all'altro, sa rinunciare alle sue personali soddisfazioni e aspettative per far crescere gli altri, sa salire il calvario in silenzio, sa accettare la crocifissione e soprattutto la morte, perché non c'è più grande amore per i fratelli se non quello di dare la vita per loro. Gesù è questo modello di amore e di vero Re e Signore della Storia. Il profeta Daniele, nella prima lettura di oggi, ci introduce in quelle visioni tipiche di chi dialoga con Dio e guarda oltre il tempo e la storia cogliendo presentando il volto di un mondo e di una realtà futura. Ed egli nel brano di oggi della prima lettura ci dice esattamente cosa vide e come questa visione sia riferita alla figura del Cristo liberatore e del Cristo Re dell'universo, che celebriamo nella giornata di oggi. Cogliamo in questo brano il senso più vero della solennità di oggi e il significato escatologico della regalità di Cristo: il potere dell'amore che Cristo è venuto ad inaugurare sulla terra e che avrà la sua pienezza nell'eternità è il vero potere a cui dobbiamo tutti aspirare. Solo nell'amare e nell'amore trova senso ogni cosa che facciamo nella vita per noi stessi, per gli altri, per la Chiesa e per la società. Sia questa la nostra sincera preghiera che eleviamo al Signore, molte volte, nella sofferenza e nella fatica di ogni giorno, contrassegnata da tante delusioni e da tanti motivi di abbattimento e scoraggiamento, di ingratitudine e di solitudine: "O Dio, fonte di ogni paternità, che hai mandato il tuo Figlio per farci partecipi del suo sacerdozio regale, illumina il nostro spirito, perché comprendiamo che servire è regnare, e con la vita donata ai fratelli confessiamo la nostra fedeltà al Cristo, primogenito dei morti e dominatore di tutti i potenti della terra". Amen. |