Omelia (02-07-2000)
mons. Antonio Riboldi
Gradini verso il cielo

La Chiesa Madre di Gerusalemme, già ai suoi inizi, per le tante e straordinarie difficoltà si trovava in grande strettezza materiale. Aveva bisogno dell'aiuto delle Chiese sorelle che in quegli anni erano sorte un poco dappertutto per la forza dello Spirito che operava negli Apostoli. Ed allora Paolo prende l'iniziativa di farsi voce delle sofferenze dei fratelli e sollecita una colletta. Così descrive la risposta delle Chiese sparse nella Macedonia: "Nonostante la lunga prova delle tribolazioni, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità. Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente, domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi. Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio...".
In tutta la storia della nostra Chiesa, credo, non siamo ancora riusciti a dire parole che esprimano con tanta forza la "comunione di beni" nella comunità e tramite le comunità, come le ha dette Paolo. Ogni tanto bisbigliamo solo piccole raccomandazioni di essere generosi nelle nostre elemosine: pur avendo sott'occhio il quadro spaventoso delle strettezze di tante Chiese sorelle nel mondo. Un discorso che non si ferma ai casi clamorosi delle Chiese che vivono ai margini della morte per fame; ma si allarga anche alle nostre comunità italiane, in cui risalta una diversità a volte scandalosa. Proviamo un istante a ripensare ai tanti appelli che le Caritas nelle nostre parrocchie fanno di fronte alle varie calamità: sono lamenti più che parole di esigenza di carità e giustizia: e la risposta sono quelle poche migliaia di lire che voi vedete cadere nei cesti che passano tra di voi. Lontanissimo da quanto scrive Paolo: "Posso testimoniare che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente, domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi. Superando anzi le nostre speranze si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi stessi... come Cristo che da ricco si fece povero perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà".
Non manca alla penna di san Marco evangelista la forza per descriverci la potenza di Gesù che "offre se stesso" perché gli altri conoscano "la ricchezza sua". Ed a smuovere il cuore di Gesù ci vuole poco. Anzitutto è lui stesso che non si fa cercare, ma si tuffa nel mondo degli stracci, delle sofferenze fisiche e materiali, fino a farsi coprire e sommergere: quindi effonde la sua potenza, lasciandosi condurre da piccoli "segni di domanda" che nascevano da una grande fede. "La mia figlioletta è agli estremi", lo prega uno dei capi della sinagoga, "vieni a imporgli le mani perché sia guarita e viva". Molta folla lo seguiva e gli si stringeva attorno. Ancora più esile il secondo "segno": viene da una donna da tanti anni malata di emorragia. Si era rivolta a tanti e alla fine le era rimasta la malattia avendo speso tutto. Con fede questa donna si accosta a Gesù e non parla: a lei basta toccare l'orlo del suo mantello, se le riuscirà in quella calca. E tra lo stupore generale, superando ogni aspettativa la donna si sente dire: "Figlia, la tua fede ti ha salvata: va' in pace e sii guarita dal male". Ed alla figlia del capo sinagoga: "Fanciulla ti dico, alzati". E subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare.
Si direbbe proprio che la carità vera ha il passo veloce: corre quando sente il grido delle necessità che affliggono i fratelli, mettendo in disparte persino la propria sicurezza: ed è tanta la dimensione della gioia di farsi ricchezza di chi è povero e soffre "che va' al di là di ogni aspettativa, giungendo ad offrire se stesso prima a Dio e poi ai fratelli". E ci viene da arrossire, diciamolo francamente, guardando, anzitutto la nostra miopia e sordità che difficilmente sente o vede le necessità dei fratelli: poi il penoso calcolo che facciamo di cosa dare senza minimamente intaccare la nostra sicurezza, incuranti che così facendo lasciamo intatta l'insicurezza degli altri; con il tragico inganno di avere la coscienza a posto. Veramente pesa sul nostro mondo l'insensibilità di tanti di noi. Dall'altra parte c'è il grido di tantissimi che rischiano di passare una vita a narrare al vento il loro dolore, il loro grido d'aiuto, spegnendosi fino a perdere la voce e morendo con negli occhi un mondo che non ha avuto tempo di ascoltarli perché non voleva correre rischi; non aveva il coraggio di farsi povero per fare meno poveri gli altri.
Come sarebbe cristiano, bello, vero spettacolo al mondo, che tutti noi diventassimo "offerta di noi stessi a Dio prima ed ai poveri", magari con mani che offrono quello che hanno, poco. Il fratello forse morirebbe di fame, ma negli occhi avrebbe un sorriso di gioia per avere stretto la mano di un fratello che per sollevarlo si era fatto povero, fino a rischiare di morire di fame come lui. Ce ne sono di queste meravigliose anime. Ogni mese una pensionata mi invia un vaglia di 20 mila lire, tolte alla sua pensione per i "miei poveri". "E' tutto quello che ho" scrive sempre. Ma sono sorrisi di speranza e gradini verso il cielo.