Omelia (29-11-2009)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di don Paolo Ricciardi

Eccoci qui, all'inizio di un nuovo anno, all'inizio di un nuovo avvento. In realtà intorno a noi le luminarie delle strade già ci circondano, i negozi sono pieni di addobbi che invitano ad entrare e la televisione ci pubblicizza un felice e gustoso Natale.
La liturgia sembra già arrivare in ritardo rispetto al mondo che attende il Natale... In realtà non è così, intanto perché già le ultime settimane del tempo liturgico, culminate con la festa di Cristo Re, sono nel segno dell'attesa della venuta di Cristo; e poi perché l'Avvento, che inizia oggi, ci fa ben capire che il mondo non sta attendendo un bel niente, se non pance piene e cuori vuoti, luci intermittenti che passeranno ancora una volta allo staccare delle spine la sera della Befana.
Non riduciamo il Natale alla bella festa, ricca di solite emozioni, che poi passa, come al solito... (e ci saremo tolti anche questo pensiero!)
Cogliamo invece l'occasione dell'Avvento, tempo favorevole per la nostra conversione, per rinnovare lo sguardo della speranza; per riconoscere che Gesù Cristo entra veramente nel nostro tempo, gli dà un senso profondo; inonda lo spazio d'amore, regalando pure le stelle alle stalle...
Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore, nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda (Ger 33,14).

Le prime parole che aprono questo tempo ci sono date da Geremia. Il profeta ci fa volgere lo sguardo in lontananza, ai giorni del compimento delle promesse di Dio. Sì, oggi siamo chiamati a rinnovare lo sguardo della speranza. Si tratta di aprire gli occhi, stupiti del fatto che il Signore "si confida con chi lo teme, facendogli conoscere la sua alleanza" (cfr. Salmo responsoriale). Sì, nonostante noi, Lui rinnova la sua alleanza con noi, cielo e terra si toccano nella stalla di Betlemme.
Siamo chiamati dunque a chiederci: quanto siamo lontani da Betlemme? Ovvero: cosa attendiamo in questo momento?
C'è infatti la possibilità di non attendere niente e nessuno, di sopravvivere invece che di vivere. E di sopravvivere al Natale invece che di viverlo.
La Parola di oggi ci ricorda che troviamo la vera pace se noi attendiamo Lui, vogliamo Lui, amiamo Lui. Tutta la nostra vita trova il suo scopo nell'incontro con Gesù, principio e fine di tutto. Il Vangelo ci parla di questo incontro, anche se il linguaggio usato può essere fonte di incomprensione. Si parla di segni apocalittici che sconvolgono l'ordine e l'armonia della natura e che portano la morte all'uomo dominato dalla paura. Luca non vuole parlare della fine del mondo, ma vuol dire che quando Dio cessa di sostenere l'ordine della creazione, esso è destinato alla disgregazione. Con Lui o senza di Lui non è la stessa cosa. Cambia tutto.
Gesù riprende così la famosa immagine della visione di Daniele, indicandoci non la fine dell'uomo e del mondo ma il loro fine: incontrare il Figlio dell'uomo che viene.
Sì, "Dio viene". Questa espressione così sintetica contiene una forza di suggestione sempre nuova. In qualunque momento, "Dio viene". Annunciare che "Dio viene" equivale, pertanto, ad annunciare semplicemente Dio stesso, attraverso un suo tratto essenziale e qualificante: il suo essere il Dio-che-viene.
Se siamo affaccendati alle cose della terra - agli affanni della vita - non ci accorgeremo mai che egli viene e moriremo di paura ogni volta che ci vediamo tremare la terra sotto i piedi. Se invece alziamo e a leviamo il capo perché è vicina la liberazione, allora ciò che sembrava solo angoscia e dolore, si apre allo stupore e alla gioia. Risollevatevi: il verbo che indica l'"alzarsi" può essere anche tradotto metaforicamente con "fatevi animo". Lo stesso verbo è usato al capitolo 11 quando si descrive la donna che da diciotto anni era curva e non poteva alzarsi in nessun modo. L'incontro con Gesù, il liberatore, le farà sperimentare non tanto la guarigione fisica ma soprattutto la liberazione interiore (cfr. Lc 11,10-13).
Chi vigila, animato dalla preghiera, ha già il capo alto ed è pronto ad incontrare il Signore Gesù, non come un giudice ma come un fratello. Chi vigila non è mai nella tristezza perché sa che Cristo ci libera: da che cosa? Da un'esistenza votata alla morte, dal peccato che ci incatena, dall'egoismo che ci rinchiude. Ci libera: per che cosa? Per vivere d'amore.
L'Avvento che inizia ci dice che Egli viene ora, in ogni uomo e in ogni tempo. E la risposta a questo dono d'amore col quale Dio ci viene incontro è a sua volta l'amore vicendevole e verso tutti, che rende saldo il cuore nella fede, apre alla santità.
Vivere d'amore sia il più bel frutto di questo avvento. Invece di essere preoccupati (fino all'ultimo minuto del 24 dicembre) dei regali che dovremmo fare (e che riceveremo) occupiamoci dell'unico regalo necessario: l'amore. Mettiamo Dio al posto dell'io: solo un cuore espropriato di sé e abitato da Cristo può vivere l'amore e andare incontro a Lui con le buone opere. La preghiera di Paolo ai Tessalonicesi è un ringraziamento pieno di desiderio e di gioia indirizzata oggi anche a noi.
L'immagine di una Chiesa consumata nella carità, che Paolo quasi presenta al Signore con umile fierezza, ci renda partecipi anche noi della passione apostolica, ci coinvolga nella grazia dell'annuncio d'amore ricevuto, da ridonare con la vita, fino al giorno del Signore.
Siamo davanti a due vie: vivere il Natale senza Dio (come fa la maggior parte degli uomini) o vivere il Natale con Dio. Non sarà la stessa cosa. Cambierà tutto.
Ti prego, Signore, aiutami ad essere vigilante, fa' che il mio capo si sollevi e guardi verso il Cielo. Tu vieni a salvarmi, tu mi ridoni pace, tu sei la mia speranza.