Omelia (29-11-2009) |
mons. Gianfranco Poma |
Alzatevi e levate il capo Iniziamo il nuovo anno liturgico nel quale la Chiesa ci invita a leggere il Vangelo di Luca, il Vangelo dell'evangelizzatore, cioè del discepolo di Gesù che, affascinato da Lui, non può non partire immediatamente per portare agli altri la gioia che ha cambiato la sua vita. L'opera di Luca è più che mai un "lieto annuncio" che riempie di gioia chi lo ascolta e il Gesù di Luca è così "bello" che non può non suscitare stupore e fascino in chi lo incontra. La tradizione fa di San Luca un artista e se pure la tradizione non corrisponde alla verità storica, interpreta molto bene la realtà: il Cristo di Luca è bello. Questa bellezza dipende dallo stile di Luca: dal racconto dell'annuncio a Maria, alle parabole del buon samaritano, del figlio prodigo, alla pagina finale dei discepoli di Emmaus, è tutto un susseguirsi di pagine che fanno vibrare in noi le corde della bellezza. Lungo il corso dei secoli gli artisti si sono impegnati ad interpretare in modo sempre nuovo i racconti della nascita di Gesù, la figura della donna ai suoi piedi, del Padre che accoglie il figlio che ritorna a lui, dei discepoli che riconoscono Gesù nello spezzare il pane e lo pregano: "Rimani con noi perché scende la sera". Certo, la bellezza del libro di Luca dipende anche dal posto occupato dalle donne: Maria, Elisabetta, Maria di Magdala, Marta e Maria, il gruppo delle donne che accompagnano Gesù e i discepoli. Una grande attenzione Luca riserva pure ai poveri e ai peccatori. Ma non è a causa del modo di scrivere di Luca che Gesù è bello: per Luca Gesù è bello, e per questo ne scrive in modo bello. Eppure neppure una riga è dedicata da Luca alla descrizione della figura fisica di Gesù: egli ci testimonia che uomini e donne erano conquistati da Lui, dalla sua persona emanava una luce e una forza interiore che doveva generare relazioni perfettamente realizzanti. In realtà, la bellezza di Gesù è lo splendore del suo amore: Gesù è l'incarnazione dell'amore del Padre, per questo è lo specchio della bellezza di Dio. Gesù è il volto umano di Dio che si piega sui piccoli, come su Maria, che si invita presso Zaccheo, che perdona ai peccatori e alle peccatrici. La sua non è una bellezza fredda che allontana, ma è piena di un calore che attrae, per questo risplende anche sulla croce: Padre, perdona loro...In verità, oggi tu sarai con me, nel Paradiso. La bellezza di Gesù è lo splendore della sua comunione continua con il Padre: Luca ce lo mostra frequentemente in preghiera, animato dallo Spirito, solo, con il Padre. La Liturgia, in questo anno liturgico, ci invita, rileggendo il vangelo di Luca, ad avere il coraggio, prima di tutto tra di noi, nella Chiesa, di comunicarci quanto siamo stati affascinati dalla bellezza di Colui nel quale crediamo. Forse il nostro mondo aspetta proprio di sentirsi annunciare il Vangelo in termini di bellezza. E l'anno liturgico inizia con il tempo dell' "Avvento", momento densissimo di significati e di valori che danno senso alla nostra esistenza: l'Avvento è tutta la nostra vita o, meglio, la nostra vita è tutta Avvento. Che cos'è la nostra vita, se non desiderio di qualcosa o di qualcuno che ci manca, che ci doni la gioia, la pace, la felicità? Che cos'è la nostra vita se non l'attesa che venga chi ci porti il supplemento di qualcosa che, mancandoci, ci inquieta e ci tormenta? Che cos'è la nostra vita se non il continuo interrogarci, aspettando che venga una risposta alle inesauribili domande che salgono dal profondo del nostro cuore? Che cos'è la nostra vita se non l'attesa di un Dio che "squarci i cieli e discenda". L'Avvento è il coraggio di scendere nel profondo di noi stessi e di percepire che il desiderio, la domanda, l'attesa, costituiscono la nostra umanità più vera: la lettura dell'Antico Testamento, con la sua tensione profetica, è la compagnia più adeguata per l'uomo che ha il coraggio di non porre limiti alla propria ricerca. Ma la nostra vita sarebbe l'esperienza più assurda e disperante se alla nostra attesa non venisse una risposta, al nostro desiderio di amore non rispondesse un incontro: l'Avvento è l'esperienza che nel profondo della nostra ricerca c'è sempre una luce misteriosa che ci illumina e pure ci spinge verso orizzonti sempre più vasti. Il nostro non è un cammino nel buio, ma in un cono di luce che diventa sempre grande quanto più vi entriamo, in un amore che quanto più lo sperimentiamo, tanto più lo desideriamo. Il nostro Avvento è l'esperienza che la nostra vita è un dialogo, un incontro con Colui che viene, quando non siamo ripiegati su noi stessi, quando "siamo svegli", attenti alla ricchezza interiore della nostra umanità, alla densità del mondo e della storia, quando trasformiamo le nostre domande, inquietudini, in una preghiera, un dialogo orante con Colui che ci parla, ci ama, e, suscitando la nostra libertà, rende la nostra vita affascinante pur nella sua complessa fragilità. Il nostro Avvento è l'incontro con Cristo, Gesù di Nazareth, Colui che è venuto, per percorrere tutto il cammino umano, condividere tutta la domanda, il desiderio, l'angoscia, il dramma, la morte, e per mostrare che proprio questa è la via per arrivare alla pienezza di ciò a cui l'uomo aspira, perché nessun uomo si senta solo, abbia paura della propria umanità, ma la viva fino in fondo sentendo che essa è il luogo dove si può cominciare a percepire l'inesauribilità di Colui che la storia non può contenere. Così l'Avvento è la percezione che la nostra esperienza è solo l'inizio di un compimento che deve venire, il "già" di un "non ancora", è il vivere nel tempo il frammento che ci fa pregustare e ci dà la nostalgia di una eternità che deve venire. Il brano del Vangelo di Luca che oggi leggiamo (Lc.21,25-36), a questo nostro tempo stanco e rassegnato, così potente per le sue scoperte scientifiche e così incapace di gustarne la ricchezza, che rischia di non avere più la forza di porsi domande, di desiderare, di attendere, che si lascia avvolgere dalla paura liquida che lo paralizza, rivolge le sue splendide parole: costruisce una scenario terribile, parla di uomini che muoiono "per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra", ma con la forza che gli viene dal suo incontro con Cristo che con il suo Amore ha vinto il male del mondo, afferma che il momento della grande paura e della morte può diventare quello della rinascita e della grande speranza. E' il momento del "lieto annuncio", della gioia, perché è ora che l'Amore di Cristo vince: al nostro mondo Luca chiede di non lasciare che "i cuori si appesantiscano in dissipazioni, ubriacature, affanni della vita"; rivolge l'invito ad "alzarsi levare lo sguardo, perché è vicina la liberazione"; indica l'atteggiamento vigilante e la preghiera continua come via per entrare in una nuova esperienza di libertà che solo l'incontro con Colui che ha fatto proprie le grandi attese dell'uomo, può offrire. |