Omelia (29-11-2009) |
don Daniele Muraro |
Che cosa è pesante e che cosa leggero Oggi vanno di moda le cose che fanno paura. Può darsi che a qualcuno piaccia provare spavento per vincere la noia, ma il più delle volte ci si avvicina a questo genere per mettersi alla prova resistendo allo spavento e trovarne motivo di rassicurazione. Gesù nel Vangelo invita a vegliare e pregare, per sfuggire a tutto ciò deve accadere, e avere la forza di comparire davanti al Figlio dell'uomo in piedi, stando dritti. È chiaro che qua Gesù non intende spaventare nessuno, anzi vuole esortare quanti più possibile a non lasciarsi prendere dallo panico e a conservare la propria dignità di uomini responsabili. Sappiamo dalla televisione che di fronte ad eventi apocalittici è facile lasciarsi andare a scene di isterìa collettiva. Reagisce così chi non se l'aspetta. Chi invece ha ricevuto una qualche informazione sa come evitare il peggio. Gesù fornisce dei buoni consigli, di cui tener conto. Gesù dunque vuole che noi vegliamo senza distrazioni (in ogni momento) e che, per avere la forza, preghiamo. A noi invece sembra che pregare esaurisca le forze e infatti quando ci mettiamo a pregare dopo poco subito ci sentiamo stanchi. Sarà che non siamo allenati. Gli antichi pregavano in piedi, oppure in ginocchio, comunque non da seduti. E infatti nel Vangelo Gesù mette in guardia contro contro il pericolo che il giorno fatale non piombi addosso all'improvviso su coloro che abitano, ma letteralmente c'è scritto stanno seduti, sulla faccia di tutta la terra. Il contrasto è con la postura in piedi già ricordata e richiesta davanti al Figlio dell'uomo. Si siede chi è stanco o appesantito, ma per Gesù ciò che snerva e aggrava la vita non è la preghiera o la pratica spirituale, bensì ciò che rende pesanti i cuori sono dissipazioni, ubriachezze e affanni per la presente esistenza. Le dissipazioni precisamente sono dette crapule, ossia i giramenti di testa dovuti ad intossicazioni alcoliche, che introducono i restanti sintomi delle ubriachezze. Gli affanni della vita invece sono le sollecitudini nel senso di occupazioni spoporzionate, fuori misura. È il genere di vita fantasticato dallo stolto nella parabola: "Dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!". Gesù dimostra di conoscere bene l'animo umano e le sue tentazioni. Quelle che per noi sono leggerezze per Lui sono cose pesanti e quelle che nell'opinione comune sono debolezze per Lui sono forti catene. Infatti "come un laccio quel giorno si abbatterà sopra tutti coloro che siedono sulla faccia di tutta la terra", ma il laccio gli uomini se lo saranno costruiti da soli facendosi schiavi dei loro vizi e dei loro affanni solo materiali. Le convulsioni delle potenze dei cieli di cui parla Gesù in apertura del brano di oggi saranno uno specchio dello sconvolgimento interiore degli animi umani. Secondo le sue parole gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere senza bisogno di attendere che i cataclismi si producano in tutta la loro portata distruttiva. Non si scherza impunemente con la paura. Essa può venire usata come strumento di potere per terrorizzare gente indifesa, ma alla fine essa si ritorce contro chi per primo l'ha evocata e se ne è servito. Gesù ci assicura che in mezzo a tutta questa confusione Lui ci sarà, e si farà presente. Non l'ha provoca ma nemmeno la subisce, bensì la controllerà e ne dichiarerà la fine: "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria." Chi sarà vigilante alla venuta del Signore potrà dirsi vincitore insieme con Lui. Il Vangelo parla di risollevarsi e alzare la testa, ossia svincolati dalle dissipazioni e dagli affanni comuni guardare a Lui e prepararsi a incontrarlo. Questa in fondo è la preghiera, l'unica risorsa che ci rende capace di scorgere quello che il mondo ormai non vede più: la luce nel buio, l'ordine nel caos, la speranza nel tempo del timor panico. All'opposto di quel che sembra dunque, vegliare e pregare vuol dire non rinunciare ad essere vivi e corresponsabili, al contrario significa aver trovato il modo mantenersi sobri e sereni in mezzi alle angosce. Il Signore mette in guardia ma non minaccia, avvisa ma non vuole spaventare, in che modo potrebbe altrimenti i suoi discepoli potrebbero vivere nella pace e nell'amore verso tutti, secondo l'appello di san Paolo nella seconda lettura? Uno impaurito non è nella condizione migliore per guardare di buon occhio il proprio prossimo e per essere gentile e generoso con Lui. E a proposito di cose pesanti e leggerezze, non è forse vero che anche nei confronti del prossimo capita quello che abbiamo rilevato nei rapporti con Dio, ossia che quello che noi stimiamo leggero per conto nostro diventa pesante se considerato dal punto di vista reciproco? La comunione di cui parla il nostro Vescovo nel tema per l'anno non è mai slegata dalla responsabilità e tanto più si realizza quanto più assume una forma corresponsabile, cioè che tiene conto del prossimo. Mettiamo sul piatto della bilancia delle nostre relazioni interpersonali anche le nostre leggerezze e allora l'equilibrio sarà più facile da trovare. Tante volte ciò che fa paura non sono le prove della vita, ma l'aspettativa di trovarsi da soli ad affrontarle. Se noi davvero aspettiamo il Signore però non solo saremo sollevati dalle nostre angosce, ma aiuteremo anche il prossimo a sentirsi confortato nelle sue. Poniamo attenzione dunque a evitare per quanto possibile ogni pesantezza (nel senso che abbiamo detto) e, sùbito, renderemo meno pesante l'ambiente intorno a noi. |