Omelia (08-10-2000) |
mons. Antonio Riboldi |
La più comune strada per la santità Difficilmente il Vangelo si sofferma a parlare dei fatti che compongono la nostra vita: Gesù fa viaggiare tutto il suo discorso sulla conoscenza della buona novella che è il Vangelo. Lì dentro c'è la risposta all'uomo: c'è la sua verità in Dio; c'è l'invito alla felicità. Ed è logico che in tale risposta trovi il suo posto il matrimonio, che è la strada più comune alla santità. Nella mente di Gesù era scontato che il matrimonio l'aveva voluto il Padre in termini e con fini ben precisi. "Allora l'uomo disse: questa volta essa è came dalla mia carne e osso dalle mie ossa. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie..." (Gen 2, 18-24). Il matrimonio è essere scelti, chiamati a vivere il grande comandamento della carità, giocandosi tutto l'uno per l'altro. Avete mai osservato quale differenza enorme passa tra una comune amicizia, un affetto tra persone, che sono sempre dono graditissimo del Signore, e l'amore tra due coniugi? Un'amicizia è partecipazione del bene che si è e si ha, ma che non coinvolge tutta la persona, non fa mai di due amici una sola carne. Nell'amicizia si conserva e si rispetta integralmente la libertà di entrambi: ci si vuole bene immensamente, ma non ci si appartiene. Nel matrimonio, tra i due coniugi l'amore è totale, fino al dono totale della propria carne, o della propria vita, che è la stessa cosa. Al coniuge si offre tutto come dono gratuito, libero. E un tale dono realizza una unità che dovrebbe essere perfetta: una unità che si costruisce lentamente, a volte conoscendo la durezza della croce, evitando in ogni modo di strumentalizzare il coniuge con l'esercizio della genitalità che, essendo atto di amore, non può mai perdere il suo carattere di dono e la sua esigenza di rispetto. Un tale amore, che è sempre condivisione di vita, anche nelIe più piccole cose quotidiane, fino a diventare "carne dalla mia carne, ossa dalle mie ossa", non può essere un evento nella vita "da usare e gettare", ma richiede una virtù forse oggi sconosciuta, la fedeltà. Perché tutto questo si realizzasse Dio ha voluto che l'amore tra i coniugi diventasse un sacramento, ossia uno strumento di santificazione: ha voluto cioè dargli il senso delle cose sante, quelle in cui opera Lui stesso accanto all'uomo. Per cui i coniugi sanno di poter contare su una grazia di stato, ossia sulla grazia del matrimonio, sacramento che fa superare tante difficoltà: e avere Gesù come compagno della vita matrimoniale. Quando questa "compagnia" è vissuta bene, spiega molto bene la riuscita di tante famiglie, la serenità e la gioia che riscontriamo in sposi che celebrano le nozze d'oro. Altro è infatti affrontare un cammino "insieme" da soli e altro è "camminare con Gesù". C'è una spiritualità del matrimonio, una sacramentalità che è fondamentale: e dovrebbe essere conosciuta prima della celebrazione del matrimonio, dovrebbe esserne l'esperienza quotidiana. Il grave difetto dei matrimoni di oggi è proprio qui. Grande esteriorità nel celebrarli, cui non fa riscontro altrettanta preparazione. In fondo è il cuore dell'uomo che va ricostruito, ricondotto alla bellezza della sua vocazione alla carità. Ed è proprio il cuore dell'uomo che e stato travolto da mille errori che non gli hanno permesso o non gli permettono di accostarsi al grande sacramento dell'arnore con l'apertura, la disponibilità che il matrimonio richiede. Da qui le crisi profonde che caratterizzano tante famiglie che si fanno e si disfano con la facilità con cui si cambia un abito. Ma la persona umana, chiunque essa sia, donna o uomo, non è mai un oggetto inanimato cui al mattino si può dire "ti adoro" e alla sera "ti ripudio". La persona umana, se matura nel suo cuore, è come la vite evangelica: si fa innestare dall'altra fino a diventare una sola cosa che tende a produrre vino buono. La persona inoltre, chiunque essa sia, sa che quando l'amore, come nel Vangelo, è "un rimanere nell'altro fino a diventare una sola vita", non può più essere reciso senza fare morire la vite stessa o ridurre la vita ad una congenie di innesti che invece di una vite ne fa un cespuglio di rovi. Gesù questa immaturità la chiamava "durezza di cuore": "Per la durezza del vostro cuore", risponde ai farisei che lo interrogavano sulle disposizioni che Mosè aveva dato e che concedevano il ripudio di una donna o di un uomo (equivalente del divorzio). Cosa fare per affrontare questa violenza contro l'amore e quindi contro il matrimonio? Anzitutto credo debba essere rivalutato il ruolo dell'amore. Ricordando che senza di questo una vita matrimoniale rischia di essere un insopportabile sepolcro. E vivere l'amore con le regole che dà san Paolo: "L'amore è paziente, è benigno l'amore; non è invidioso l'amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode della ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine" (1 Cor 13, 4-9). Ed in secondo luogo, non avere paura di fare del proprio matrimonio prima e della propria famiglia poi, una meravigliosa " piccola chiesa domestica ". |