Omelia (22-10-2000) |
mons. Antonio Riboldi |
Non la potenza, ma il servizio Mi sono chiesto molte volte cosa spinge tanti a "farsi avanti", "ad essere uomini di prima pagina nei giornali": e questo non solo nel campo della politica, dell'economia o dello spettacolo, ma anche in quello della violenza, della malavita organizzata. Ed è venuto fuori che due sono le "sirene" che attraggono: il prestigio ed il potere. E' difficile sottrarsi alla tentazione del fascino di queste "sirene": se si ha occasione, ben volentieri ci si lascia sedurre. Una persona cosiddetta di successo finisce sulla bocca di tutti, entra nella vita di tanti, diventa un sogno per molti. Poco importa se per arrivare al successo o al potere si debbano percorrere vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale e soprattutto di ogni sentimento di solidarietà verso gli altri. Purtroppo molte volte il potere o il prestigio in ogni campo chiedono come prezzo di porre il proprio interesse e il profitto come principio da non mettere in discussione. Anche se tale principio esige un prezzo altissimo: masse di affamati; moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati, per non dire veri olocausti di morti ammazzati. Il prestigio ed il potere sono due "padroni senza cuore" che esigono dagli altri un servizio che rende abbietti: distruggendo quella meravigliosa uguaglianza che solo l'amore sa costruire. Ricordo una visita in un carcere tempo fa. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Da uno di loro in modo particolare. Mi fece attendere più di un'ora. Quando finalmente comparve, con molta delicatezza gli feci rilevare l'inopportunità di un simile atteggiamento. La risposta fu brutale, di quelle che danno la misura di cosa sia un "trono" che si è costruito dentro, con le fondamenta inaccettabili: "Ma nessuno le ha mai detto chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che ho ucciso più di 27 persone". "Io mi sento un nulla nei suoi confronti – gli risposi –. Non ho mai torto un solo capello ad una persona. Sono qui per servirla e quindi sono un niente, ma scelgo il mio niente senza morti e con molti atti di servizio, anzi con una intera vita". Mi guardò senza convinzione. Anche al tempo di Gesù queste due "sirene", o mali originali dell'uomo, erano una tentazione per tanti. "Maestro – dicono a Gesù Giacomo e Giovanni - noi vogliamo che tu faccia quello che ti chiederemo". E Gesù: "Cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero: "Concedici di sedere nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". Evidentemente i due Apostoli, non ancora trasformati dallo Spirito, fino a divenire conformi al Maestro, ragionavano secondo gli uomini. Immaginavano cioè che stando accanto al Maestro, se non proprio subito, sicuramente in un prossimo futuro, avrebbero condiviso la gloria che Gesù stava lentamente costruendo. Avevano insomma di Gesù l'immagine di uno che si sarebbe costruito un regno terreno, fatto di potenza e prestigio. Non intuivano ancora che dietro quella povertà di nascita, di origine, di mandato, c'era una missione che scendeva dal Cielo, di una grandezza senza misura, quale è ogni "missione di Dio": destinata a ridurre in polvere ogni concetto di prestigio e potenza, fino a proclamare che la vera grandezza e gloria sta nella beatitudine dei poveri in spirito, dei miti, dei misericordiosi. Non sapevano che Gesù avrebbe demolito la potenza umana, facendosi demolire fino all'umiliazione della morte in croce, dove veramente si confessò il nulla che è ogni uomo e il tutto che è Dio nella risurrezione. Ma gli Apostoli non dovevano aspettarsi da Lui proprio nulla di quello che forse sognavano e che forse li spingeva a seguirlo. In altra occasione quando Pietro lo rimprovera perché Gesù aveva predetto questa sua umiliazione, Gesù lo affronta con una frase che spaventa ancora oggi quanti sono tentati di pensare ad una Chiesa che debba percorrere le vie del prestigio e della potenza. "Va' indietro da me, Satana. Tu mi sei di scandalo. Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". E a Giacomo e Giovanni, e a tutti i suoi discepoli che forse si attendono seguendo Cristo "un posto alla sua destra ed uno alla sua sinistra nella sua gloria", lascia una eredità che sarà o dovrà essere la via maestra per sempre: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non sia così: chi vuol essere grande tra di voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi, sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 35-45). Spiegherà ancora meglio questo atteggiamento di servizio nell'Ultima Cena, quando, senza alcun rossore, Lui, Gesù, Figlio di Dio si metterà il grembiule e laverà i piedi degli Apostoli. Scandalizzerà infine tutti quando darà spettacolo di massima umiliazione sulla croce. E' il solo stile che può adottare chi veramente vuole amare. Farsi servo fino a scomparire. Questa non è debolezza nell'amore, ma è la somma espressione di potenza nell'amore. Difficile forse seguirlo o capirlo, presi come siamo dalla tentazione di inseguire prestigio e potenza: ma è la via di Gesù. |