Omelia (13-12-2009) |
mons. Vincenzo Paglia |
E noi che cosa dobbiamo fare? Introduzione L'annuncio profetico di Giovanni Battista trova un'eco in quelli che lo ascoltano. Vanno da lui per domandargli: "Cosa dobbiamo fare?". Giovanni si rifà alla tradizione dei profeti e risponde che la condizione necessaria è il compimento del comandamento dell'amore del proprio prossimo, espressione reale dell'amore di Dio. Giovanni non esige la durezza della vita che egli conduce, non disapprova neanche le attività proprie ai laici che vanno verso di lui. Tuttavia, egli sa indicare a ognuno quello che deve convertire in se stesso, e come realizzare i propri doveri verso il prossimo, e nello stesso tempo indicare loro chiaramente dove risiedono l'ingiustizia e l'errore che devono essere superati. Quando gli si domanda se egli è il Messia, Giovanni Battista risponde di no, e non accetta alcun legame alla sua persona, nessuna adesione personale qualunque essa sia. Con umiltà proclama che il Messia si trova sulla terra, che lui solo possiede il battesimo vero. Questo non si farà con l'acqua, ma con lo Spirito Santo e il fuoco, per tutti coloro che vorranno vivere la conversione completa. Solo il Messia potrà riunire il frumento e bruciare la paglia in un rogo, dettare il giudizio della misericordia. Giovanni non è neanche degno di slegare i suoi sandali; a lui, Giovanni, è stato solo chiesto di preparare il cammino del Signore. Omelia "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti" (Fil 4,4). Con queste parole dell'apostolo Paolo si apre la liturgia di questa domenica, chiamata "domenica gaudete", domenica della gioia. L'apostolo dettava queste parole mentre era in carcere a Roma - vicino a Trastevere, dice la tradizione - e forse aveva già di fronte la prospettiva della sentenza capitale. Eppure esorta se stesso e i cristiani di Filippi a gioire perché, aggiunge, "il Signore è vicino". Il motivo della gioia sta proprio nella prossima venuta del Signore. Anche il profeta Sofonia esorta Gerusalemme a rallegrarsi: "Grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!". Perché gioire? Sofonia spiega: "Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico... Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente... Ti rinnoverà con il suo amore" (Sof 3,14-17). Il profeta parla della liberazione di Gerusalemme: scompare la condanna, viene tolto l'assedio alla città, il nemico è disperso e la città può finalmente tornare a respirare e a vivere. Il Signore l'ha salvata. La Parola di Dio spinge a non lasciarsi prendere dalla tristezza, a non lasciarsi sopraffare dall'angoscia. Ne avremmo tutti i motivi guardando questo nostro mondo, vedendo le numerose guerre, le innumerevoli ingiustizie e la drammatica crisi che stiamo attraversando. Come non essere tristi e angosciati di fronte a tutto questo? Eppure la liturgia ci esorta a gioire. Non perché - come talora si sente superficialmente ripetere - il cristiano è per natura ottimista. No, è l'avvicinarsi del Natale il motivo della nostra gioia. Con il Natale non siamo più soli, il Signore viene ad abitare in mezzo a noi. La liturgia interrompe la stessa severità del tempo di Avvento: lascia le vesti violacee della penitenza e indossa quelle della gioia, orna l'altare con i fiori e fa festa. Il Signore, infatti, sta per arrivare. È ormai vicino. Tutto nella liturgia si fa invito affinché ciascuno si disponga ad accogliere il Signore che viene. Siamo esortati ad alzarci dal sonno dell'egoismo e dall'ubriacatura dell'orgoglio per andare incontro a Gesù. Restano pochi giorni al Natale e il nostro cuore è ancora distratto e per nulla pronto. L'evangelista Luca nota che tutto il popolo era nell'attesa del Messia. Egli avrebbe cambiato il mondo, liberato gli uomini e le donne da ogni schiavitù, soccorso i poveri e guarito i malati. Per questo molti, da ogni parte della Galilea e della Giudea - una folla, nota l'evangelista - lasciavano le loro città e i luoghi ove abitualmente vivevano per recarsi nel deserto ed incontrare il Battista. Anche noi abbiamo lasciato le nostre case e soprattutto le nostre faccende abituali e i nostri pensieri di ogni giorno per venire ad ascoltare Giovanni Battista in questa Santa Liturgia. Oggi, Giovanni è qui che parla, in mezzo a noi. La sua predicazione ha lo stesso vigore, la stessa forza di cambiamento che aveva allora nel deserto, accanto al fiume Giordano. Assieme a quella folla di uomini e di donne, assieme a quei soldati e a quei pubblicani che si erano accalcati attorno a lui, ci siamo anche noi e, con loro, chiediamo: "Che cosa dobbiamo fare?". È la nostra domanda di oggi: che cosa dobbiamo fare per accogliere il Signore che viene? Giovanni risponde con semplicità e chiarezza: "chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto". La carità è la prima risposta al "che fare?". L'amore gratuito, il servizio ai più poveri, la disponibilità ad amare tutti dispongono i cuori ad accogliere il Signore, che l'evangelista Matteo pone sotto le sembianze dei poveri e dei deboli. Giovanni, rivolto poi ai pubblicani e ai soldati, li esorta a non esigere nulla di più di quanto è stato fissato e a non maltrattare e a non estorcere niente a nessuno. Chiede, insomma, di essere giusti, di essere rispettosi gli uni degli altri. Il predicatore del deserto ricorda che l'attesa del Messia si compie tra carità e giustizia, tra misericordia e rispetto, tra tenerezza e compassione. Non dice forse Paolo ai Filippesi: "La vostra amabilità sia nota a tutti"? Il Signore verrà e scenderà nel cuore di ognuno per battezzarci in Spirito Santo e fuoco. Nessuno resterà con quello che possiede, nessuno rimarrà così com'è. Lo Spirito Santo allargherà le pareti dei nostri cuori e il fuoco del suo amore ci guiderà. |