Omelia (21-01-2001) |
mons. Antonio Riboldi |
Intorno all'altare cadevano le ombre della povertà Come viveva Gesù nella Sua vita pubblica? Come parlava? Come annunciava la buona novella che era la sola novità per ogni uomo che volesse (ieri ed oggi) incontrarsi con la Verità della vita e quindi con la serenità? Oggi tutti ci poniamo questo problema, perché siamo in tanti a parlare, a fare. Nel migliore dei casi si ha l'impressione di "battere l'aria" senza lasciare una traccia di verità, di serenità, di "buona novella" insomma. Si ha questa impressione al termine di una predica fatta o ascoltata la domenica; si ha la stessa impressione quando una mamma o un papà annunciano la verità ai figli che si incamminano verso la vita, molte volte non sapendo essi stessi (o non volendo sapere) qual è la vita. Si ha infine la stessa impressione nelle molte cose che facciamo nel nome di Cristo. Eppure Gesù, la sua Chiesa quindi, in virtù del battesimo e della confermazione hanno non solo la missione, ma soprattutto l'ispirazione, data dalla presenza dello Spirito, per rendere viva la parola, accompagnata dalla testimonianza, che altro non è che affermare: "Ciò che dico è vero perché lo vivo!". Il Vangelo di oggi ci descrive la prima comparsa in pubblico di Gesù, la sua prima "predica" proprio a Nazaret, sua città natale. Gesù ha forse voluto scegliere, tra tutto il popolo eletto che era venuto a salvare, il pulpito più "povero": sì, perché Nazaret era considerata allora dai Giudei la città più ignorante, non solo, ma più lontana da Dio fino a sfiorare l'ateismo; tale da non meritare nessuna stima, ma solo disprezzo. Ma è proprio di Gesù partire dalla povertà perché questa non impedisca lo splendore delle opere del Padre. Racconta Luca: "In quel tempo, Gesù... si recò a Nazaret, dove era stato allevato: ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia: apertolo trovò il passo dove era scritto: "Lo Spirito del Signore è sopra di me e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio. Oggi è adempiuta questa scrittura che avete udita con i vostri orecchi"" (Lc 4, 14-21). Ecco il segreto di Gesù, che poi è il segreto di tutta la Chiesa nell'annunziare il lieto messaggio ai poveri: avere coscienza della pienezza dello Spirito Santo che accompagna e rende viva la parola annunciata. Voglio spiegare questa grande novità con un fatto. Si era in Avvento. Il gruppo che anima la carità nella mia città a più riprese si era interpellato su come "annunciare ai poveri la lieta novella di Gesù". Portando un pacco? Dando una somma? Visitandoli? Tutte maniere buone, ma che non mettevano i fratelli a contatto con Gesù, il loro vero grande amico. L'unico capace di insegnarci come si sta vicino a chi è povero. Suggerii una cosa apparentemente strana: "Perché, dissi, non chiamiamo i più poveri ed insieme a loro celebriamo una Santa Messa natalizia, alla pari. Intorno alla Mensa di Cristo tutti siamo alla pari: lì solo, noi e loro, impariamo ad annunciare la buona novella, condividendo lo stesso pane, lo stesso sangue, lo stesso amore. Loro si sentiranno più "ricchi", noi inevitabilmente più poveri, perché ci metteremo al loro servizio in tutto". Furono scelte, tra tante che popolano questa città, le ben 23 famiglie fra le più povere (in barba alle statistiche della nostra Italia che ama definirsi ricca, di soldi sì, ma ricca anche di egoismo). Offro alcune schede di queste famiglie: "famiglia sita in via... con padre dedito all'alcolismo e lavoro precario, moglie inferma, stato di quasi abbandono dei figli"; "famiglia ospitata in casa della nonna, con padre agli arresti domiciliari, massima indigenza" "famiglia con mamma ammalata, padre senza lavoro, figli denutriti e non in grado di frequentare la scuola"; "famiglia che vive in via... in precarie condizioni, mancanti di ogni istruzione, e figli senza aiuto". Li avevo tutti attorno all'altare quella sera prima di Natale. Adulti che non avevano più età anagrafica, ma solo l'età pesante della sofferenza, della privazione; volti che non conoscevano alcuna cura o bellezza, ma portavano, senza neppure il pudore di nascondersi, tutti i segni di sofferenze e malattie non curate, a volte di deviazioni che avevano trovato sulla vita come cose naturali; vestiti, per quanto puliti, che erano belli solo perché conoscevano una bellezza usata da chi li aveva donati; bambini che avevano una vivacità che non aveva alcun garbo, ma solo la libertà che rifiutava regole nostre, bambini senza sorriso e che erano resi "immacolati" dalla carezza di chi li poteva e doveva accarezzare. Incontrando questa gente nella celebrazione della messa natalizia, veramente sentii lo Spirito del Signore sopra di me, che mi mandava a recare il lieto annunzio ai poveri. Lentamente attorno all'altare pareva che cadessero le ombre di una povertà disonore dell'uomo che l'ha e di quelli che la permettono. I loro occhi tutti tesi, quasi stupiti di essere così stimati sembravano capire "la buona novella" facendo dimenticare strappi nei vestiti, sfregi sui volti. Da quella Mensa Eucaristica nasceva la certezza che Gesù, l'amore, non era una parola vuota, ma era "Parola fatta carne". |