Omelia (20-12-2009)
mons. Roberto Brunelli
Attenti alla festa posticcia

Due sono i personaggi che i vangeli dell'Avvento propongono all'attenzione di chi si dispone a celebrare la nascita di Gesù. Sono i due che più direttamente, pur se in modo diverso, ne hanno preparato la venuta: Giovanni Battista, di cui si è letto le scorse domeniche, è stato "il prologo" della sua vita pubblica, da adulto; Maria, la madre, l'ha fisicamente introdotto nel mondo. Di lei si è parlato nella recente festa dell'Immacolata, e si torna a parlare in questa domenica, con l'episodio noto come la Visitazione.
Narra l'evangelista Luca che, subito dopo l'inizio della sua gestazione del Figlio di Dio, Maria si è recata a far visita alla parente Elisabetta, da sei mesi in attesa di un bimbo, il futuro Giovanni Battista, e da lei si è sentita rivolgere parole dense di significato. "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo", ha esordito Elisabetta, con un'espressione confluita poi nella preghiera forse più nota, l'Ave Maria. Subito dopo ha motivato quello straordinario elogio, riconoscendo in Maria "la madre del mio Signore", e l'ha proclamata beata, non per il fatto in sé della sua maternità, ma perché "ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto", cioè si è resa disponibile a fare la volontà di Dio. Maria dunque, la benedetta fra le donne, è grande, è unica, per essere stata scelta da Dio quale madre del suo Figlio fattosi uomo, ma anche perché ha corrisposto al disegno divino con una fede piena, che ne fa un modello per tutti i credenti.
Lo suggerisce anche un singolare collegamento. Dei vangeli sono note le otto beatitudini che aprono il cosiddetto discorso della montagna ("Beati i poveri in spirito... i miti... i puri di cuore... gli operatori di pace" e così via); si bada meno alle altre beatitudini, pur numerose, disseminate nell'intero arco dei sacri testi. Tra esse, quella relativa a Maria, beata perché ha creduto, è la prima, e sorprende costatare come essa trovi corrispondenza nell'ultima: "Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno" (Vangelo secondo Giovanni 20,29), proclama Gesù risorto dopo che l'apostolo Tommaso ha potuto vederlo e toccarlo. Credere è dunque la condizione per essere beati: lo è stato per Maria, lo è per tutti gli uomini.
Di esercitare il nostro credere ci dà occasione l'evento che il mondo sta per celebrare. In questo senso occorre essere attenti, a che le luminarie i regali gli auguri scambiati il panettone e così via non soffochino il genuino senso del Natale. E non solo la festa posticcia è pericolosa: lo sono anche la vaga tenerezza, la commozione, insomma i "buoni sentimenti" da cui si è presi davanti al presepio o ascoltando i canti d'occasione, cose tutte che svaniscono il giorno dopo, a rischio di lasciare un vuoto peggiore di prima. Non sarà così, se si cercherà di comprendere o approfondire l'autentico significato della festa, che celebra l'immenso amore di Dio per noi. Può aiutarci a capirlo, tra gli altri, questo passo della Bibbia: "Figlio mio", scrive Paolo (Lettera a Tito 2,11-14), "è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, attendendo la beata speranza e la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone".
Così sia, per chi compone ogni settimana queste note, e per quanti hanno la pazienza di leggerle.