Omelia (03-01-2010)
padre Antonio Rungi
Nella quiete della notte, Dio si fa Parola

Dopo i rumori, il chiasso e il frastuono del Capodanno 2010, ritorniamo nella normalità di quella vita feriale e festiva che ci riporta alla quiete e alla serenità. Il rumore non è adatto per chi vuole fare un cammino di spiritualità vera, di dialogo sincero con Dio. Oggi purtroppo preferiamo questo stile di vita caotico, superimpegnato, stressante e quando stranamente stiamo a riposo non riusciamo a goderci fino in fondo i tempi e periodi destinati a questo. Ci fa male il silenzio, la solitudine come necessità a volte di separarci da caos e dal chiasso. Non sappiamo stare con noi stessi, da soli, abbiamo bisogno di qualcuno che ci sia costantemente vicino anche in modo virtuale e diretto.
I nuovi sistemi di comunicazione, da Internet al telefonino, alla tv, alla radio e ogni altro mezzo per non farci sentire isolati, ci danno la sensazione di essere al centro dei pensieri e delle preoccupazioni degli altri. In realtà noi siamo sempre e soli con noi stessi e la nostra vita è prevalentemente vissuta in un esclusivo e misterioso rapporto con la nostra persona, che poi diventa anche rapporto con gli altri, quando sappiamo far tesoro della solitudine e, uscendo dalla autoreferenzialità, ci apriamo ai fratelli con cuore sincero, con la volontà di amare e di farsi amare davvero.
Il modello di questo comunicare nella pienezza dell'amore e della relazione è Dio. Oggi, infatti la liturgia della seconda domenica del tempo di Natale pone alla nostra attenzione il grande dono della Parola, del Verbo fatto carne, del Verbo di Dio che si fa parola nel grembo verginale di Maria. Questo suo comunicarsi agli uomini avviene in un contesto di silenzio e di quiete, come ci ricorda l'antifona d'ingresso della liturgia di questa domenica: "Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale" (cf. Sap 18,14-15). E' quanto avvenuto in quella notte santa in cui Cristo, Figlio di Dio si è fatto carne.
Gesù sceglie la via della serenità, della pace, della quiete per comunicarsi a noi e per ricevere la nostra risposta. Rimanere soli con se stessi per ascoltare Dio che parla nella nostra coscienza, non sempre in perfetto ordine e luminosa, si fa urgente all'inizio di questo nuovo anno solare, anche per progettare un cammino personale di spiritualità che solo chi ha a cuore un vero percorso di vita cristiana cura in modo oculato e non lascia nulla di intentato. Il confronto con Il Verbo Incarnato diventa così obbligatorio in questo tempo di Natale, al cui centro della liturgia è appunto il mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Il prologo del Vangelo di Giovanni che oggi ascoltiamo come testo fondamentale dell'intero progetto della parola di Dio di questa domenica, ci immette con la grande riflessione filosofia e teologica in quel mistero profondo dell'amore di Dio che esce dal se stesso, come Trinità, e scende ai nostri livelli, per mettere tenda tra questa umanità, bisognosa di redenzione e salvezza dopo la caduta nel paradiso terrestre.
Gesù ci rivela il volto vero di Dio, che è il volto del Padre della bontà e della misericordia, della verità e della giustizia, della luce e dello splendore, un volto luminoso che rischiara le tenebre dell'errore delle singole persone e dell'errore che spesso caratterizza la vita di interi gruppi, popoli, nazioni e della stessa umanità. Solo Dio, attraverso la voce di Cristo, può indicare la strada più giusta per far recuperare all'uomo la sua vera dignità di persona e di figlio di Dio. Ancora oggi il mondo non accetta e non vuole conoscere questa Parola che parla il linguaggio della verità e dell'amore. Ancora oggi Dio, pur vicino all'uomo attraverso il suo Figlio fatto uomo, viene emarginato dalla vita degli uomini, non considerato, non accettato, non riconosciuto. Le tenebre dell'errore e del male continuano a prevalere sulla luce. Quanto lavoro personale e comunitario siamo chiamati a fare per dare spazio all'ingresso di un piccolo raggio di sole nella nostra vita, troppo segnata dalle tenebre e dal male. Chi si vuole bene davvero non chiude né la porta, né le finestre della sua mente e del suo cuore al Sole di giustizia che è Gesù Cristo. Si confronta con la sua parola, con il suo messaggio. La vera sapienza dell'uomo non sta nel proporre per vere le proprie opinioni e convinzioni, ma nella ricerca serena, libera, disinteressata della verità va incontro ad essa con la disponibilità necessaria di lasciarsi prendere da essa quando la si incontra davvero. Altra verità in senso assoluto al di fuori di Cristo e di Dio non ci può essere. Capire questo significa mettersi alla scuola di una continua ricerca della verità, soprattutto quando per una serie di motivi, non solo dipendenti da noi, ma anche dagli altri e dalle circostanze e situazioni della vita, si è smarrita, la si mette in discussione o la si abbandona.
Il testo della prima lettura di oggi, tratto dal libro del Siracide, ci aiuta a capire meglio il senso di quella sapienza che viene dall'alto, una sapienza personificata e che indica chiaramente la figura del Verbo Incarnato. Si coglie in questo testo lo stretto rapporto con il prologo del quarto vangelo, che è inserito nella liturgia della parola di oggi. Ci sono analogie e prefigurazioni evidenti di quale tipologia di sapienza parliamo, che non è la sola scienza della ragione, ma di quella sapienza incarnata che è Gesù Cristo, la verità assoluta che si comunica a noi, come Dio e come uomo. Nella sua persona, la natura divina e la natura umana camminano perfettamente uniti in un'armonia unica ed irripetibile. Non dobbiamo attendere altre importanti comunicazioni da parte dell'Altissimo, Egli nella pienezza del tempo si fatto parola, si è fatto carne e ha comunicato con noi. Chi accetta questa parola e comunicazione entra in un rapporto di amicizia e di amore che non ha paragoni in questo mondo. Nella fede infatti diventiamo amici di Dio e figli adottivi di questo Dio che è Amore e carità.
Ci aiuta alla comprensione di queste verità di fede il testo della lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni, che è il brano della seconda lettura di oggi. La coscienza della nostra alta dignità di figli adottivi di Dio non ci permette di scendere nelle tenebre del peccato, né di offuscare in noi questa immagine che già portiamo impressa nel momento del concepimento, ricevendo da Dio, direttamente, l'anima immortale, ma soprattutto nel momento in cui riceviamo il sacramento del battesimo, che ci porta alla condizione soprannaturale e di speciale dignità davanti a Dio di ogni uomo che si immerge nel mistero dell'incarnazione, passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. In questa nuova condizione in cui ci troviamo come battezzati, possiamo elevare a Dio, quale nostro Padre, che è attento a tutte le nostre richieste, questa preghiera: "Padre di eterna gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno".
Vorremmo tutti assaporare la gioia che ci attende nelle fatiche e nelle sofferenze di ogni giorno. Non sempre questo ci è possibile, anche perché la gioia la cerchiamo in chi e in cose che nessuno potrà mai darci completamente. Da qui la perenne condizione di insoddisfazione e di insofferenza che caratterizza la vita di tanti credenti che, in ragione della fede in Cristo, dovrebbero essere tutte persone gioiose e capaci di trasmettere gioia soprattutto con la cura e la speciale attenzione alle persone, che il Signore ha posto sul loro cammino, nei rapporti reali quotidiani o in quelli virtuali che manteniamo con i tanti mezzi e strumenti di comunicazione di massa. I segni dei tempi sono anche queste nuove opportunità che abbiamo di trasmettere gioia ed amore a chi pur non stando vicino fisicamente a noi, lo sono spiritualmente ed umanamente.