Omelia (06-01-2010)
don Daniele Muraro
Mirra a Colui che doveva morire

Nella prima lettura il profeta Isaia annuncia a Gerusalemme un futuro pieno di favori. La città santa brillerà come un faro capace di attrarre a sé i rappresentanti di molti popoli i quali in segno di devozione al Signore faranno affluire verso di essa grandi tesori, in particolare oro e incenso.
Dall'elenco manca l'ultimo dei doni lasciati dai Magi alla santa Famiglia come ricordo della loro visita, ossia la mirra, proprio quello dei tre che resta da considerare. Rispetto all'oro e all'incenso la mirra rischia di far la figura del presente povero e anche un po' stonato. Infatti veniva usata per conservare meglio i cadaveri. Forse ne resta traccia sulla Sindone.
Come l'incenso anche la mirra è una resina gommosa che si ottiene da un arbusto diffuso nei pressi del Mar Rosso e in India. Il termine deriva dal vocabolo utilizzato per indicare sostanze amare.
È chiaro che con l'offerta della mirra i Magi intendevano alludere alla sorte dolorosa del bambino Gesù, Re e Figlio di Dio, ma destinato anche a patire molto nel corso della vita.
I problemi per Lui iniziano da neonato. Tralasciando la mancata accoglienza nell'albergo e il freddo pungente il giorno della nascita, il Vangelo di oggi ci ragguaglia sull'ipocrisia con cui Erode accolse la notizia della comparsa di un nuovo Re e lascia presagire l'accanimento con cui il tiranno si sarebbe dedicato a perseguitarlo una volta ottenuta la certezza sul luogo della dimora.
Colui che era venuto inaugurando il Regno dei cieli non aveva intenzione di usurpare nessun regno umano, ma questo non interessava ad Erode, il quale, preoccupato com'era di salvare il proprio potere, voleva allontanare ogni minima ombra di sospetto sulla propria legittimità.
Erode infatti era un forestiero che amministrava il potere sulla Palestina per benevola concessione dei Romani. Per lui il Messia che tutti aspettavano era decisamente più un incomodo che una speranza. Non poteva avere paura di un bambino indifeso, ma riteneva opportuno stroncare sul nascere ogni parvenza di dissenso all'interno dei suoi dominî.
La strage dei bambini innocenti è solo accennata nel racconto di oggi. La liturgia la tralascia quasi per non rovinare l'ultimo ritaglio di gioia natalizia con l'angoscia della fuga in Egitto e il resoconto della vendetta di un potente ingannato, deciso a sterminare ogni coetaneo del piccolo presunto rivale.
Eppure leggendo la versione secondo san Matteo con nelle orecchie ancora il racconto di san Luca noi non possiamo non rilevare come il canto del coro degli angeli il giorno di Natale si spenga nel grido disperato delle madri private dalla furia omicida di un sovrano disturbato dei loro figli neonati.
Sembra che per un destino crudele che non si possa star tranquilli qualche tempo senza vedere subito dopo scatenata la tempesta di una violenza tanto feroce quanto ingiustificata.
Uno, Gesù, scampa, me qualche decina di bambini vengono sacrificati. Ancora non erano capaci di parlare e già furono costretti a pagare la propria vicinanza al Cristo.
La Chiesa dedica una festa tutta propria a questi "santi Innocenti", il quarto giorno dell'ottava di Natale, e li considera solidali con Gesù a motivo della maniera incolpevole in cui patirono.
Dopo una vita spesa a dare al mondo la ricchezza della sua dottrina e la prova dei miracoli al Signore era riservato di sostenere una diversa passione da affrontare con la consapevolezza di un uomo adulto. Infatti, se Egli sfuggì alla persecuzione di Erode, fu per andare incontro ad una sofferenza maggiore, accettata offerta e fatta diventare causa di salvezza per tutti.
Diceva il filosofo romano Seneca che nessuno acconsentirebbe di entrare nel mondo se lo conoscesse prima. I genitori di figli adolescenti ne ricevono una conferma quotidiana dalle contestazioni casalinghe.
Verrebbe da lasciarsi andare al pessimismo sulla vita se non fosse per la presenza che non manca mai al mondo di persone come i Magi, buone, capaci di condividere la gioia dei momenti felici e di affrontare privazioni e pericoli pur aiutare chi se lo merita o ne ha di bisogno.
Nel caso di specie possiamo pensare che oro incenso e mirra siano serviti alla santa Famiglia come risorsa di emergenza preziosa per superare i disagi della fuga e della nuova sistemazione in Egitto.
Fra i doni presentati al bambino Gesù non manca la mirra; dunque ai ragazzi e ai giovani non si devono nascondere i sacrifici connessi con lo stare al mondo, la durezza della vita e la pesantezza del lavoro e anche l'incombente minaccia del male, sia quello fisico che quello morale.
Questa previsione non deve spaventare o indurre ad un atteggiamento rinunciatario. Ce lo impedisce il Vangelo stesso. Facendo un viso lieto ai tre visitatori venuti da lontano il bambino Gesù prende tra le sue manine anche il vasetto della mirra e ci gioca.
Un giorno lontano da uomo maturo con la sua morte e resurrezione Egli avrebbe vinto il male e fatto trionfare la vita. La mirra di cui sarebbe stato cosparso il suo corpo sarebbe rimasta nella storia più come testimonianza della devozione verso di Lui da parte dei primi discepoli che della sistemazione nel sepolcro durata solo qualche ora.
Ricevendo i loro doni in qualche maniera il Signore si era obbligato con i suoi visitatori e per mezzo loro con tutti i popoli.
Nella sua ultima Pasqua terrena avrebbe onorato questo debito di amore e di riconoscenza verso il mondo e tramite la sua passione avrebbe aperto a tutti gli uomini senza esclusioni di provenienza la possibilità di entrare a far parte del suo regno di giustizia e di pace.