Omelia (10-01-2010) |
Marco Pedron |
Un mondo perfetto è stato creato... Giovanni Battista era il profeta del tempo: predicava e il popolo lo seguiva. Il popolo si chiedeva addirittura se non fosse proprio lui il Messia, il Cristo, l'Aspettato da sempre. Sentendolo parlare in maniera così decisa e incisiva: "Convertitevi perché la fine è vicina!"; vedendolo così determinato e sicuro nel condannare senza paura ingiustizie e falsità; vedendolo fare gesti così forti e trasgressivi tanto che la gente andava a farsi battezzare da lui (il battesimo era il riconoscimento dei propri peccati e la loro remissione) e questo gli dava un potere enorme sulle anime; vedendo tutte queste cose la gente iniziava a credere che fosse proprio lui il Messia. Anche Gesù come tutto il popolo lo riteneva un grande profeta e lo seguiva. Giovanni Battista era l'esempio, il riferimento, il maestro di Gesù. Anche qui Gesù sembra uno dei tanti, finché non succederà qualcosa di decisivo che determinerà in un altro senso la sua vita. E se non fosse successa quest'esperienza decisiva per la vita di Gesù forse non si sarebbe mai staccato dal Battista. Ciò che è descritto nel vangelo non è tanto ciò che è successo ma il tentativo di esprimere l'inesprimibile. Una donna dice: "Quando l'ho visto per la prima volta (il suo attuale compagno) il tempo si è fermato e tutto cantava". Un ragazzo invece ha detto per descrivere l'attimo in cui vide per la prima volta la sua attuale moglie: "Un fulmine e dentro una voce: "E' lei!"". Ha sentito tutto questo? No, eppure sì. Nessun registratore avrebbe potuto registrare quelle parole ma lui le sentì veramente dentro di sé. Così la Voce descritta qui non è una voce fisica, un suono prodotto all'esterno ma ciò che Gesù, forte, chiaro e in maniera indiscutibile, ha sentito dentro di sé. Gesù seguiva Giovanni il Battista e come lui credeva: "Dio ti ama ma tu non devi "sgarrare". Se sgarri vai a farti battezzare perché hai sbagliato, perché Lui non si dimentica, perché Lui sa tutto e vede ogni cosa e prima o poi tutti i nodi arrivano al pettine". E diceva: "Giovanni ha ragione, Dio è così. Dio farà piazza pulita di tutto ciò che è falso, imperfetto, impuro"; "Dio è buono finché ti comporti bene, ma se sgarri, giustamente, te la fa pagare..."; Dio è un padre paziente ma la sua pazienza ha un limite e giudicherà inflessibilmente ogni cosa. Gesù pensò così, finché un giorno non sperimentò qualcosa di totalmente diverso. Il primo "dio" che conosciamo è il Dio della paura e della giustizia: "Attento perché a Dio non sfugge niente". Molte persone dicono quando vanno a confessarsi: "Padre questo e anche tutto quello che non mi ricordo!", come se il dimenticarsi di qualcosa potesse essere un pericolo. Quante volte i nostri nonni si ponevano il dubbio: "E se un uomo santo, fa un peccato un minuto prima di morire?". "E se uno muore e non è in grazia di Dio?". Una suora aveva continui vaginiti e problemi legati alla sua sessualità perché nonostante tutti gli sforzi faceva dei pensieri e dei sogni sessuali (e lei si sentiva terribilmente in colpa). Il giorno in cui poté percepire che Dio l'amava lo stesso non ebbe più nessun problema. Il Dio della paura distrugge la tua esistenza. Al Dio della paura ci si inchina e ci si sottomette. Il Dio della paura vuole rigore, giustizia, perfezione. Compensa con il premio del paradiso e castiga con la condanna dell'inferno e dell'allontanamento. E' un Dio che non dà gioia perché bisogna essere sempre bravi, perfetti e in regola. E' quella voce dentro di te, spesso nascosta, che ti dice: "Adesso mi accetterà? Mi vorrà? L'ho deluso? Con quello che ho fatto (potrà ancora accogliermi?)!; perché succedono a me queste cose (tradotto: cos'ho fatto di male per avere questo?)!; Dio vede tutto (e ti punisce)!; a Dio non sfugge nulla!". Il "dio della paura" non è nient'altro che una mamma severa pronta a punirti e che ti controlla sempre. Ma Dio non è così (almeno il Dio del vangelo). Anche Gesù ha dovuto cambiare la sua immagine di Dio. Gesù ha dovuto "perdere" Dio per trovare Dio! Chi non sa "perdere" il suo Dio non potrà mai trovar Dio. Anche Gesù ha dovuto ricredersi su di Lui: "No, non sei così. Non c'è motivo di aver paura di te". "Tu non sei come mi hanno insegnato; io adesso che ti ho sperimentato, toccato, incontrato, ti conosco". La Bibbia conosce il genere letterario di chiamata. Quando Dio chiama un uomo o quando l'uomo sente la chiamata di Dio, che è la stessa cosa, si dice sempre che si aprono i cieli, che qualcosa scende e che Dio (o la sua voce) parla. Cieli aperti perché il mondo del cielo e della terra sono in comunicazione. Se i cieli sono chiusi, se le porte di uno di questi dure regni sono chiuse, non ci può essere comunicazione. Per poterci parlare occorre che entrambi i cellulari siano accesi, aperti. Spirito come colomba (lett: "in forma corporea, come una colomba"): non che ci fosse una colomba, ma è un modo di dire che veramente qualcosa è entrato in Gesù. Gesù ha veramente sentito, percepito un cambio, un passaggio, qualcosa entrare in Lui. Anche all'inizio della storia in Gn 1 lo Spirito aleggiava sulle acque; adesso aleggia (colomba) su Gesù. Lì non aveva funzionato la prima creazione; qui sì. Gesù, vuol dire il vangelo, è il nuovo inizio della storia. Lo Spirito nella Bibbia viene donato ai re, ai giudici, ai profeti, ai sacerdoti e soprattutto al messia. Ricevere lo Spirito vuol dire sentire che si ha una missione particolare, unica, propria, missione che ha un effetto anche nella società, nella storia, nell'ambiente intorno a me. La voce che non è esterna (per niente Gesù è in preghiera) ma interna: ciò che sente è dentro di sé. La voce è chiara e ritornerà molte volte nel vangelo (uguale nella trasfigurazione o nel: "Padre nostro"): "Io sono figlio di Dio e Lui è mio Padre"; "Io a Dio piaccio (si compiace); io sono scelto, prediletto, voluto da Dio: io sono grande". Dopo questa esperienza Gesù non lo fermerà più nessuno. Nei vangeli, infatti, solamente dopo questa esperienza Gesù si staccherà decisamente dal Battista e farà la sua strada. E' qui la svolta, l'incrocio di non ritorno, il punto di rottura col passato, la tappa con cui Gesù prende chiaramente coscienza di chi è Lui e di cosa è chiamato a vivere e ad annunciare (missione). Qui Gesù trova la forza che poi lo sospingerà per sempre nel suo cammino e alla quale sempre ritornerà. Il vangelo di oggi più che il battesimo tenta di descrivere la chiamata di Gesù. Gesù ad un certo punto fece un'esperienza che lo trasformò, che lo distaccò dal Battista, che gli diede un'energia enorme. Cos'abbia vissuto o provato non lo sappiamo; ciò che sappiamo è che non fu mai più lo stesso, che si sentì così amato e voluto da suo Padre da non aver più bisogno di compiacere; da non aver più bisogno di essere accettato; da non aver più paura di sbagliare o di fallire; da non dover più dipendere da nessuno; da potete fare le scelte e seguire la propria unica strada anche se contraria a tutte le altre; da poter credere in sé perché Lui credeva in lui; da poter sentire una gioia e una pace infinita dentro di sé. La chiamata non è allora una telefonata dal cielo o un internet angelico. La chiamata è permettersi di fare un'esperienza che ti cambia radicalmente e dopo la quale non sarai mai più lo stesso. La chiamata è l'incontro con qualcosa che ti sconvolgerà la vita e che ti farà diverso. La chiamata è un'irruzione (ir-rumpo) che rompe, che spacca, che smuove, che destabilizza, tanto è forte. Essere chiamati è percepire qualcosa che ci valica, che ci supera, che ci fa paura, tanto è grande e bello. E' per questo che una volta i consacrati cambiavano il nome. Era solo un modo per dire una verità molto più profonda: da quando l'ho incontrato, io sono un altro. Dico "permettersi" perché bisogna avere il coraggio di fare questo. Se la paura mi vince, se temo di mettermi in gioco, se temo gli sconvolgimenti, le emozioni forti dell'anima, se temo di perdere le mie certezze, allora non ci potrà essere nessuna chiamata. Sì c'è, ma io non la sento. La chiamata è un'esperienza, un incontro, un lasciarsi toccare, che ti fa diverso. La parola esperienza indica almeno tre cose. Ex-per-ire (da dentro di te per andare, viaggiare): non c'è nessun progresso senza esperienza, senza il coinvolgimento non solo della testa ma di tutto te stessi. Non vai da nessuna parte se non ci sei del tutto. Non c'è nessuna vera evoluzione solo con la testa o con i bei propositi. Per fare il grande viaggio della vita devi partire da dentro di te: quello è il punto di partenza. Se non sai dove andare, chi sei, cos'hai dentro, quali forze, risorse e possibilità... ma dove vuoi andare? L'esperienza non è altro che contattarsi e sapere bene chi si è così da poter fare il proprio viaggio. Ex-peritus, è l'ex-perto, (colui che sa perché ha sperimentato dentro). Si impara non perché ce lo dice qualcuno, non perché lo leggiamo nei libri, non perché "ce l'abbiamo in testa", ma perché lo viviamo sulla nostra pelle, ci entra nel nostro cuore e fa vibrare la nostra anima. E' la vita che ti insegna a vivere; è entrando dentro che capirai cos'è la vita. Vuoi conoscere la vita? Devi entrarci dentro! Entrarci dentro vuol dire amare, sbagliare, cadere, rialzarsi, innamorarsi, scoprire, piangere, ridere, sentirsi vivi, sentirsi disperati, lottare, sputare sangue e sudore, resistere, arrendersi, abbandonarsi. La vita è questa: vuoi conoscerla, datti il permesso di vivere tutto questo. Non puoi conoscere la montagna pensandola o seduto e sprofondato nel tuo divano: ci devi andare. Non puoi conoscere il mare finché fai la doccia o te ne stai in ammollo sulla vasca: ci devi andare. Non puoi conoscere la vita rimanendone fuori: ci devi andare, ci devi entrare, devi scenderci dentro. Una storia molta famosa racconta che una bambola di sale viaggiò sulla terra per migliaia di miglia, finché giunse finalmente al mare. Rimase affascinata da quella massa in movimento, completamente diversa da tutto ciò che aveva visto in vita sua. "Chi sei?", chiese la bambola di sale al mare. Il mare sorridendo, le rispose: "Entra e vedrai". Così la bambola di sale s'inoltrò nel mare. E più camminava nel mare più si scioglieva, finché rimase ben poco di lei. Prima che quell'ultimo pezzetto si sciogliesse, la bambola, esclamò stupita: "Ora so chi sei!". Ex-perire: vivendo da dentro si può morire! Ciò che viene da dentro, uccide, fa morire! Sperimentare è pericoloso, non è come sedersi al cinema Porto Astra: ti siedi lì con coca-cola e pop-corn, assisti ad un bel film, poi te ne torni a casa e tutto è tranquillo. Vivere è pericoloso: non si è garantiti della riuscita, non si è certi di dove si andrà, non si può controllare la direzione; nessuno garantisce che non si sbaglierà o che non si soffrirà; vivere da dentro vuol dire far morire tante nostre illusioni e abbattere tante nostre certezze incrollabili. Il vangelo dice che anche Gesù era andato a farsi battezzare nel Giordano dal Battista. Il Giordano era pregno, pieno, dei peccati della gente: tutti andavano lì per farsi lavare (battesimo del Battista). Giordano (yareden vuol dire "discendere" (yared) più la lettera finale nun (n) che è l'ideogramma del pesce e il suo nome è il verbo "fiorire"). Cioè: bisogna entrare dentro, immergersi (baptizein, in greco, vuol dire appunto immergersi) nella propria umanità fatta di peccati, errori, limiti, condizionamenti, paure, gelosie, invide, rabbie, ostinazioni, perversioni, demoni e mostri, e confrontarvisi. Perché solo l'immersione nel tuo Giordano può far fiorire l'amore di Dio. Gesù ha percepito l'amore di Dio proprio perché si è immerso nella sua ombra, nel suo animo e lì si è confrontato con tutte le potenti forze distruttrici, con i suoi limiti e i suoi errori. Se tu sei bravo credi di non fare errore (è solo perché sei cieco e non vuoi vederli!), credi di essere una persona "a posto" e a modo ma non puoi conoscere l'amore di Dio. In fin dei conti credi di meritarti l'amore; in fin dei conti credi che ti è dovuto, visto come sei! In fin dei conti ti stai comprando l'amore con la tua buona condotta: non è amore, è interesse! Ma l'amore non è questo. L'amore è l'essere accolti non perché se lo si è meritati ma gratuitamente. Sappiamo cos'è l'amore perché l'altro ci accoglie oltre il nostro sbaglio e non per i nostri meriti. Io mi immergo nel mio Giordano, mi guardo dentro e cosa vedo? Vedo solo il marcio, l'incompiuto, lo schifo, gli errori e gli sbagli: per questo non vorrei entrarci. Quando entro nel Giordano dei miei peccati non posso non vedere e non posso non fare i conti con le equazioni peccaminose e mortali della mia vita. E ho bisogno di entrarci dentro proprio per lavarle, per eliminarle, per non dare più a loro il potere mortale che possono avere su di me. Essere ammalato=occuparsi di me. L'unico modo che avevo perché mia madre stesse con me era avere il mal di pancia, l'influenza o una qualunque malattia. Così oggi continuo ad ammalarmi per avere amore. Non è bello, vero!? Ma, se è così... Ritardo=incidente. Quando mio marito o mio figlio sono in ritardo allora la creatività negativa si scatena: incidenti, disgrazie, imprevisti. Le penso tutte! Non è bello, vero!? Ma se è così... Farsi una donna=sentirsi ancora uomo. Siccome non mi percepisco uomo maschio, siccome gli anni avanzano ed è difficile da accettare, una storia extraconiugale mi fa risentire la mia forza di maschio e mi fa provare quelle emozioni così lontane. Non è bello, vero!? Ma se è così... Critica=non mi amano. Se qualcuno scherzando dice una battuta o se qualcuno mi fa notare qualcosa del mio carattere o della mia persona, allora mi sento pugnalato, distrutto, sento di non valere più niente. Sembro una quercia ma ho le radici di una pianticella. Non ci piace essere così, ma se lo è... Amare=soffrire. Ho passato un'infanzia "di merda" tra urla, litigi, botte, conflitti e ripicche dei miei genitori, che non si sono separati perché erano "gente di chiesa" e sono rimasti insieme solo "per noi figli". Così ho deciso che mai più riaprirò. Incontro tante donne, sto con loro, ma non mi apro mai veramente e fino in fondo perché io ho fatto un patto con me: "Mai più così". Non ci piace essere così, ma se lo è... Parlare=pericolo. Quando parlavo mio padre mi diceva: "Ranocchio; hai ancora la bocca da latte!; cosa buoi sapere tu?, ecc". Non si poteva parlare; non si poteva giocare perché bisognava lavorare; non si poteva cantare perché si dava fastidio; non si poteva dire quello che si pensava perché si rischiava di prenderle. Così ho imparato che è meglio stare zitti. E adesso che sono grande le parole mi muoiono in bocca, non arrivano, non so cosa dire. In certi momenti mi sento vuoto, tabula rasa, come se non avessi niente. Non ci piace essere così, ma se lo è... Allontanamento=abbandono. Mia madre era sempre a lavorare (otto-dieci ore al giorno); mio padre tornava a casa alle nove di sera; io stavo con la nonna (per fortuna almeno che c'era lei!). Il loro starsene lontani era il mio abbandono. Quando oggi il mio partner deve stare via per un giorno mi sento perso. Quando si litiga e ci si allontana (cosa normale) per qualche ora o c'è un po' di distanza per me è una tragedia: mi sento abbandonato e penso che sia finita fra di noi; quando lo sento un po' lontano perché è distratto da problemi del lavoro mi sento trascurato. Non ci piace essere così, ma se lo è... Diversità=nemico. Se qualcuno non fa come me io lo giudico e lo stronco. Autorià=essere dominati. Tutti quelli che hanno potere sono dei ladri o hanno dei secondi fini. Chiedere aiuto=mendicare. Non chiedo aiuto a nessuno perché non voglio essere (ri-)umiliato. Inferiorità=invidia. Siccome mi sento meno degli altri, invidio chi considero superiore. Pulsioni=perversioni. "Non ti deve piacere nessun altro; non devi mai fare nessun pensiero; non devi avere pensieri impuri, ecc". Passato=sofferenza. Meglio non andare a toccare certe cose per non soffrire ancora, per non starci male, per non piangere; meglio lasciarle lì e far finta di niente altrimenti poi ci scuotono. Chi ha il coraggio di entrare nel Giordano della sua vita non potrà che dover riconoscere un fiume di peccati, di errori, di miserie, di impurità, di imperfezioni, di paure, di condizionamenti. E' così. Solo chi non ci entra può illusamente credere di essere in fin dei conti "non poi così tanto male". Ma è proprio qui quando tu ti vedi così che tu puoi sentire la Voce dell'amore: "Io ti amo. A me vai bene così". E' la voce che salva: anche così sono amato. E se sono amato anche così, allora si può vivere, allora non c'è da temere; allora si è davvero salvi. Il centro del battesimo di Gesù non è lo "smacchiamento" dal peccato originale ma l'esperienza della Voce: "Tu sei amato... tu ai miei occhi sei grande... tu sei mio figlio prediletto... non ti lascerò... tu sei importante per me... ho dato la mia vita per te... non ti abbandonerò... non mi sfuggirai dalla mia mano... nessuno ti rapirà da me... non lo devi raggiungere: è già tuo... tutto ciò che esiste l'ho fatto per te... mi appassiono a te, sei nei miei pensieri ... non cadrai mai al di fuori dal mio sostegno... non mi devi dimostrare nulla, il mio amore è per il solo fatto che sei mio figlio... non devi conquistarti qualcosa che hai già... non te lo devi meritare... per quanto tu vada lontano io rimarrò sempre tuo padre e tua madre, e tu sarai sempre mio figlio... tu non sei come nessun altro: tu sei unico per me... qualunque cosa ti succeda mai temere, mai aver paura, mai condannarsi perché io sono tuo padre... per quanto lontano tu vada io rimarrò sempre qui ad aspettarti: ti voglio bene, ti voglio bene, ti voglio bene". Vorrei che ciascuno di voi ascoltasse non solo con le orecchie queste parole ma che potessero entrare dentro, che potessero toccare il vostro cuore, la vostra anima, il vostro profondo; vorrei che ciascuno le sentisse risuonare nelle sue zone d'ombra, buie, ferite, abbandonate, rifiutate; vorrei che diventassero per voi come una musica, come l'aria che respiriamo ad ogni istante; vorrei che vi sentiste immersi in una corrente d'amore. Il giorno in cui tu potrai sentire e fidarti di questa Voce: "Tu sei così, ma io ti amo lo stesso; a me vai bene", tu non sarai più lo stesso e andrai libero e sicuro nel mondo. Proviamo a cantare insieme: "Un mondo perfetto è stato creato, un mondo perfetto esiste già", e ciascuno al posto di "perfetto" metta il proprio nome. "Un Marco perfetto è stato creato, un Marco perfetto esiste già". Per Dio io sono così. Pensiero della Settimana L'amore è gratuito. La gratuità è amore. |