Omelia (06-01-2010) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Cercare dopo essere stati cercati Rileva Ravasi che la presenza di una stella nei libri della Bibbia non è affatto casuale e assume un'importanza rilevante. Già nel libro dei Numeri (24, 17), in una circostanza del tutto singolare e allusiva (cap. 23), il re Balak chiede al mago Balaam di maledire Israele ritenuto suo nemico; l'uomo "dall'occhio penetrante", al contrario, rivolge parole di conforto verso gli avversari del monarca facendo ricorso non alla magia ma alla fedeltà a Dio, che era favorevole alla stirpe di Giacobbe e alla fine conclude con un oracolo: "Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele... " alludendo alla promessa del Messia Salvatore. L'Apocalisse (2, 28) identifica in Cristo la "stella del mattino", cioè il Messia promesso che ha fatto ingresso nella storia. Dove non si parla propriamente di stella, si fa riferimento alla luce, al fulgore, il barbaglio di provenienza divina che è di orientamento per tutti gli uomini e che spesso la Scrittura mette in contrasto con le tenebre: Isaia, al cap. 9, afferma che "il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce..." e Giovanni nel suo prologo evangelico parla di Gesù come "la luce vera che illumina ogni uomo; che splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno vinta.". Il ricorso alla luce è frequente nella Bibbia e sia associa alla vittoria di Dio sulle forze del male, alla sovranità di Cristo Messia Salvatore sul peccato. La stella rappresenta la presenza orientativa del Signore che illumina e conduce gli uomini alla verità. Così anche a proposito dei personaggi che da sempre sono al centro dell'attenzione nella liturgia odierna dell'Epifania: i maghi vedono una stella e si mettono in cammino intenzionati ad adorare il Signore. Paragonabili al mago Balaam che aveva abbandonato i suoi propositi di magia, hanno percepito la presenza del divino che li coinvolgeva, si sono lasciati interpellare, si sono posti in atto di attenzione e di disposizione di animo e finalmente si sono messi in viaggio per adorare il Bambino. Protagonista di tutto è lo stesso Signore Incarnato, che già nella greppia era stato di richiamo per i pastori, cioè per esponenti di una certa categoria sociale fra le più deprezzate del tempo, escluse dalla possibilità di salvezza perché ignoranti, villani e incapaci di conoscere la Legge. Proprio a loro, che erano sempre stati esclusi dal numero dei "giusti" eletti graditi a Dio ed erano relegati fra i peccatori, il Bambino, anche se silente e dimesso, era stato latore per mezzo terzi dell'annuncio di "una grande gioia", quella della salvezza e della liberazione. Ora, sempre lo stesso Signore fanciullo, affascina altri personaggi che provengono dall'Oriente, li coinvolge e li seduce guidandoli attraverso questo straordinario astro della volta celeste. Non si tratta di... maghi propriamente detti, ma di sapienti studiosi della volta celeste e dei fenomeni astrali, dalla speculazione sottile e raffinata, abituati ad interpretare la realtà empiricamente attraverso la posizione degli astri e le presunte interferenze delle stelle sulla vita degli uomini. Potremmo paragonarli agli attuali astrologi o astronomi e comunque possiamo definirli dei pensatori scientisti e razionalisti, del tutto estranei alla prospettiva della Rivelazione e lontani dall'idea di una Trascendenza personale. Insomma degli filosofi speculativi agnostici. Che osservassero un fenomeno galattico del tutto speciale come la Cometa non deve affatto stupire, visto che era loro consuetudine lo studio degli elementi celesti, ma che essi in siffatto fenomeno astrale riscontrino un contenuto di provenienza divino deve affascinarci ed entusiasmarci. Infatti, proprio loro nonostante la loro innata miscredenza e distanza dal mondo religioso, a differenza di tanti altri "credenti" da sempre abituati al linguaggio religioso teologico e da sempre orientati verso una determinata concezione di vita secondo la volontà di Dio, affrontano un viaggio privo di certezze e forse anche ignari della loro destinazione, avendo come unica guida quell'astro che li conduce, loro malgrado a percorrere chilometri e chilometri di strada fino alla sperduta e sconosciuta cittadina insignificante di Betlemme. E proprio loro, una volta giunti, prostrati in adorazione, depongono le offerte più emblematiche e allusive si sensibilità di fede e di amore verso l'Assoluto, riconosciuto il Verbo fatto Bambino: 1) oro, il simbolo della regalità che afferma appunto il carattere regale di questo Bambino; 2) incenso, che simboleggia la divinità e riconosce quindi nel Fanciullo il Re dell'universo; 3) mirra, il materiale con il quale si imbalsamavano i cadaveri e che richiama l'attenzione sulla futura morte dello stesso Re per la Resurrezione. Da tutto questo risulta evidente anche il termine stesso Epifania (epi-faino): si tratta infatti della rivelazione o manifestazione di Dio su di noi. Non per niente nella Chiesa delle origini veniva celebrata lo stesso giorno del Natale: Dio che si Incarna, si manifesta automaticamente. Epifania è insomma la manifestazione di Dio che nella vita di tutti i giorni ci interpella invitandoci ad abbandonare la fissità e l'ostinazione dei nostri canoni di vita e di pensiero per orientarci sempre verso di sé e per instaurare con sé una comunione di amore che ci coinvolga inesorabilmente e senza esclusioni; è l'apparire di Dio nella storia dell'uomo convincente e dirompente che non fa violenza a nessuno ma che allo stesso tempo mostra le sue perfezioni e le sue garanzie. Conseguentemente, l'Epifania è anche il mettersi in discussione e il cercare dell'uomo che si interroga sulla verità e, riscontrando che nella rivelazione la Verità stessa lo ha raggiunto Essa per prima, vi aderisce spontaneamente con l'apertura del cuore e l'omissione delle ostentazioni delle sua certezze presunte. Il cercare dell'uomo conseguente alla manifestazione di Dio è paragonabile al viaggio dei Maghi che si mettono in discussione e intraprendono ambiti fino ad allora del tutto estranei alle loro consuetudini e aspettative. In questa Solennità riscopriamo la necessità di rinnovare la nostra convinzione quotidiana che Dio è presente nella nostra vita, e che la Sua Compagnia già in se stessa è prerogativa atta a colmare i nostri vuoti e le nostre lacune infondendo certezza e speranza nel presente e nel futuro... Quindi a valutare maggiormente l'efficacia della Parola; rimane tuttavia il fatto che questo costituisce pur sempre una questione di cuore, vale a dire: finché ci si preclude e ci si nasconde dietro alle nostre certezze l'Epifania non apporterà mai nulla di nuovo in noi. Quindi, sulla scia dei Magi occorre rompere i legami eccessivi della razionalità e degli ambiti umani e lasciare spazio alle esigenze del cuore, eseguendo un atto di affidamento libero e spontaneo al Mistero una volta che Questo ci si è reso presente nell'ottica della fede e della speranza... E anche noi andremo a Betlemme. |