Omelia (03-01-2010)
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COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Daniele Salera


L'autore del Siracide scriveva nel II secolo a.C. a coloro che pur appartenendo al popolo d'Israele, vivevano la loro fede nella diaspora, a contatto con popolazioni per lo più di cultura greca la cui influenza sembrava caratterizzare e illanguidire fortemente la fede dei padri. Il capitolo 24 (di cui troviamo un estratto nella Liturgia della Parola di questa domenica) apre la sezione relativa all'elogio della Sapienza, che l'autore del testo ci mostrerà poi aver messo le sue radici oltre che nella creazione, anche nella storia del popolo eletto. Ben Sira riconosce cioè nel mondo creato e nella storia dei credenti, la prova che attesta il progetto di Dio di trasfigurare tutto ad immagine Sua - noi cristiani diciamo poi oggi, ad immagine del Figlio -. Nel mondo e nella storia della comunità pellegrina e credente, la Sapienza incarnata ha lasciato le sue tracce ed attestando questo, l'autore del libro intendeva difendere e custodire il dono della fede rivelata, perché la lontananza dalla propria terra ed il contatto con il politeismo non provocassero la perdita della relazione con il Dio creatore e liberatore, il Dio che ascolta il grido del popolo oppresso dalla schiavitù e lo salva. Come per la festa della Santa Famiglia dunque, vogliamo ribadire l'importanza del fare memoria: Ben Sira lo propone come "pentagramma" su cui leggere il canto della Sapienza che conduce a Dio, noi vogliamo coglierlo oggi come invito e consiglio per non esser ciechi nei confronti del Dio che è presente e agisce nella storia.
Nella lettera agli Efesini s. Paolo prega affinché: "il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi". La preoccupazione dell'apostolo sembra così legata al fatto che la comunità di Efeso possa conoscere il Dio della rivelazione attraverso lo "spirito di sapienza"; e ancora Giovanni ci esorta nel suo prologo ad accogliere "la luce vera, quella che illumina ogni uomo".
Sapienza, luce, illuminazione degli occhi della mente...e se tutto ciò che l'uomo attende fosse già qui? E se solo ci mancasse uno "sguardo illuminato" che evidentemente Paolo e Giovanni hanno sperimentato e Ben Sira a sua volta aveva colto e collegato alla Sapienza? L'incarnazione, che mistero semplice e nascosto allo stesso tempo! È mistero nascosto anzitutto dal nostro istintivo non voler riconoscere nel presente e nel nostro dato umano personale e comunitario la Betlemme in cui il Figlio si fa carne per noi. Ma anche è mistero nascosto dal nostro cercare ciò che vogliamo anziché ciò che ci è offerto; nascosto inoltre dal nostro "desiderio impazzito e frammentato", dal virtuale che supera il reale, dal delirio d'onnipotenza dell'uomo appartenente al primo mondo, quello del benessere. È invece mistero svelato dall'umiltà, dalla semplicità e da occhi e orecchi attenti. Se abbiamo fatto del nostro Avvento 2009 "una scuola di rieducazione dell'udito e della vista", potremmo ora gustare e accogliere la pienezza dei tempi che è già qui in mezzo a noi. A noi cogliere e dare un nome a quelle membrane invisibili all'occhio umano ma non a quello dell'uomo spirituale che ci stanno ancora impedendo di cantare il "gloria a Dio nell'alto dei cieli".