Omelia (03-01-2010) |
padre Lino Pedron |
Il vangelo di Giovanni è la più acuta interpretazione dell'evento-Gesù, che gli ha fatto meritare il nome di "vangelo spirituale" (Eusebio). Il prologo, o introduzione, che oggi leggiamo, descrive, in forma poetica, l'opera di Gesù-Verbo e persona divina nell'ampio orizzonte biblico del piano della salvezza, che Dio ha tracciato per l'uomo. Il prologo è il riassunto concentrato del contenuto del vangelo di Giovanni, che può essere paragonato al tema che viene dato all'inizio di un'opera musicale. Giovanni colloca il Verbo in Dio, presentandone la preesistenza eterna, l'intimità di vita con il Padre e la sua natura divina. Il termine "Verbo" ha come sottofondo la letteratura sapienziale e il tema biblico della parola di Dio nell'Antico Testamento, dove sia la Sapienza che la Parola vengono presentate come "persona" legata a Dio e mandata da Dio nel mondo per orientarlo verso la vita. Il Verbo è forza che crea, rivelazione che illumina, persona che comunica la vita di Dio. Il Verbo non solo è vicino al Padre, ma rivolto verso il Padre in atteggiamento di ascolto e di obbedienza. Giovanni afferma con chiarezza, fin dalle prime parole del suo vangelo, che nel Dio unico esiste una pluralità di persone. Per l'uomo della Bibbia "la parola" è l'espressione più profonda e intima di una persona, e lo stesso Dio non sarebbe Dio se non comunicasse la sua Parola dal fondo del suo essere. Anche per l'evangelista Giovanni è così. Il Verbo è generato eternamente dal profondo del seno del Dio-Amore; egli è il volto del Padre, è l'uguaglianza nella diversità delle due persone che si amano e si comunicano. Con questi primi versetti Giovanni ci introduce nel mistero della rivelazione eterna di Cristo. Dopo i primi due versetti introduttivi, Giovanni ci presenta il ruolo del Verbo nella creazione dell'universo e nella storia della salvezza: "Tutto accadde per mezzo di lui e senza di lui non accadde nulla (v.3). Il Verbo spinge tutte le cose all'essere e alla salvezza in quanto esse partecipano alla comunione di vita con lui. Tutta la storia appartiene a lui. Tutte le cose sono opera del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret. Ogni uomo è fatto per la luce ed è chiamato ad essere illuminato dal Verbo con la luce eterna di Dio, che è la vita stessa del Padre donata al Figlio. La luce di Cristo splende su ogni uomo che viene nel mondo e le tenebre lottano per eliminarla. Tuttavia l'ambiente del male, che si oppone alla luce di Dio e alla parola di Gesù-Verbo, non riesce ad avere il sopravvento e a vincere. La luce venuta nel mondo è preceduta da un testimone, Giovanni il Battista, che ha la missione di parlare a favore della luce. Questo uomo mandato da Dio ha un compito ben definito nel piano della salvezza, e lo stesso suo nome "Giovanni" lo rivela: annunciare che "Dio è pieno di amore misericordioso" per tutta l'umanità. Il ruolo del Battista è unico: "venne come testimone, per dare testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo" (v. 7). Giovanni è il testimone di Gesù che riceve la testimonianza che il Padre dà al Figlio nel battesimo e che vede lo Spirito scendere e rimanere su Gesù (Gv 1,32-34). Egli è colui che conduce l'uomo alla fede in Gesù-Luce. Gesù è la luce autentica e perfetta che appaga le aspirazioni umane; la sola che dà senso a tutte le altre luci che appaiono nella scena del mondo. Questa luce divina illumina ogni uomo che nasce in questo mondo. E' la luce che si offre nell'intimo di ogni essere come presenza, stimolo e salvezza. Gesù-Verbo, presente tra gli uomini con la sua venuta, è vicino ad ogni uomo. Benché fosse già nel mondo come creatore e come centro della storia, "il mondo non lo riconobbe" (v. 10), cioè gli uomini non hanno creduto nel Verbo incarnato e nella sua missione di salvatore. Al rifiuto del mondo, Giovanni ne aggiunge un altro ancora più grave: "E' venuto tra la sua gente e i suoi non l'hanno accolto" (v. 11). In altri termini: la Parola del Signore è venuta nel popolo ebraico, ma Israele l'ha respinta. E' presente qui il lungo cammino dell'umanità che, nonostante il progetto di amore e di vita voluto da Dio, ha perso col peccato l'orientamento di tutto il suo essere e non ha riconosciuto il piano amoroso e salvifico di Dio. Se il comportamento dell'umanità, e in particolare quello d'Israele, è stato di netto rifiuto di Gesù-Verbo, tuttavia, un gruppo di persone, un "resto di Israele", l'ha accolto e ha dato una risposta positiva al suo messaggio, stabilendo un nuovo rapporto con Dio: "A quanti l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio" (v. 12). Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella sua persona divina diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio e non da elementi umani. Questo dono della figliolanza divina si accoglie credendo nel Cristo e approfondendo la nostra vita di fede in lui. Accogliere il Verbo significa "credere nel nome" di Gesù, ossia aderire pienamente alla sua persona, impegnare la propria vita al suo servizio. Il versetto 14 è come la sintesi di tutto l'inno: si afferma solennemente l'incarnazione del Figlio di Dio. Il vangelo afferma che "il Verbo divenne carne", cioè che la Parola si è fatta uomo, nella sua fragilità e impotenza come ogni creatura, nascendo da una donna, Maria. E' questo l'annuncio da credere per essere salvati: "Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio" (1Gv 4,2-3). L'espressione "e pose la sua tenda in mezzo a noi" sottolinea lo scopo dell'incarnazione: Dio dimora con il suo popolo stabilmente e per sempre (cfr Ap 7,15). La sua presenza è nella vita stessa dell'uomo e nella carne visibile di Gesù (cfr Gv 2,19-22). I discepoli hanno contemplato nella fede il mistero di Gesù-Verbo, cioè la gloria che egli possiede come Unigenito venuto da presso il Padre (v. 14). Gesù è la rivelazione di Dio, ma in un modo nascosto e umile. Nel vangelo di Giovanni la gloria del Signore è qualcosa di interiore che solo l'uomo di fede può comprendere. La "gloria" di Cristo è la verità del suo mistero: la rivelazione nell'uomo-Gesù del Figlio di Dio venuto da presso il Padre. La "grazia della verità" (v.14) nel linguaggio biblico è il dono della rivelazione che Dio ha offerto all'uomo. La verità, in Giovanni, indica la rivelazione piena e perfetta della vita divina. Il Verbo incarnato è "pieno della verità", ossia è tutto quanto rivelazione. Gesù è "la verità" (Gv 14,6) ossia la rivelazione definitiva e totale. E questa verità è la "grazia" del Padre, il dono supremo che ci ha fatto il Padre. Tutta la vita di Gesù è manifestazione di Dio, ma per l'evangelista il momento centrale in cui si manifesta la gloria di Dio un tutta la sua potenza è la croce: l'innalzamento di Gesù è la sua glorificazione. Può sembrare paradossale dire che la croce è la glorificazione, ma tutto diventa luminoso se pensiamo che Dio è amore (1Gv 4,8) e la sua manifestazione è dunque là dove appare l'Amore. E' sulla croce che l'amore di Dio rifulge in tutta la sua penetrante luce e pienezza. I credenti sono coloro che hanno ricevuto "dalla pienezza" ( v. 16) di Gesù-Verbo il dono della rivelazione, che sostituisce ormai quella della legge antica. Ogni credente può attingere a piene mani da questa fonte di vita ed essere partecipe del dono della verità che è in Gesù. La vita di figlio di Dio entra nell'uomo mediante la fede. Il Figlio di Dio infatti si è fatto uomo per rendere tutti gli uomini partecipi della sua realtà di Figlio e introdurli nella vita di Dio. "Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto una grazia al posto di un'altra grazia" (v. 16). Quali sono le due grazie di cui si parla? Il v.17 ci aiuta a comprenderne il senso. Le due grazie sono la legge di Mosè e quella di Cristo. Per Giovanni, la storia della salvezza abbraccia due momenti fondamentali: il dono della legge nella rivelazione provvisoria del Sinai e "la grazia della verità" nella rivelazione definitiva di Gesù. Le due tappe della rivelazione non sono in contrasto tra loro: Mosè è il rivelatore imperfetto della legge e il mediatore umano tra Dio e Israele, Gesù invece è il Rivelatore perfetto e definitivo della Parola e il Mediatore umano-divino tra il Padre e l'umanità. Infine il versetto finale del prologo offre un'ulteriore spiegazione del perché Gesù è il compimento della legge di Mosè: perché Dio si rivela in Gesù. Solo il Figlio unigenito ha potuto rivelare il Padre perché nessuno ha mai visto Dio se non il Figlio unigenito che ce l'ha rivelato ( v. 18). Il "seno" del Padre nel linguaggio biblico è l'immagine tipica dell'amore e dell'intimità: tutta la vita di Gesù si svolse come vita filiale in un atteggiamento di ascolto e di obbedienza al Padre, in un rapporto di amore con il Padre e come manifestazione del Padre. |